Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25051 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. II, 10/10/2018, (ud. 22/03/2018, dep. 10/10/2018), n.25051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19778-2017 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

ELETTIVAMENTE DOMICILIATO IN ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, PRESSO

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.S., D.C.G., S.S., C.F.,

M.V., ME.PA., P.F., DE.CO.AL.,

quest’ultimo n.q. di erede di DE.CO.AN., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 1, presso lo studio

dell’avvocato DONATELLA RAPUANO, rappresentati e difesi

dall’avvocato PAOLA SORIANO;

– controricorrenti –

e contro

DE.CO.GI., DE.CO.MA., de.co.gi.,

D.C.R.;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

24/01/2017, Cron. n. 629/2017, RG. n. 57816/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

RITENUTO

che la Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 24/1/2017, accolta la domanda di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo condannò il Ministero della Giustizia a pagare la somma di Euro 6.250,00 in favore di ciascuno dei ricorrenti D.C.G., M.S., S.S., M.V., C.F., Me.Pa., P.F., nonchè, pro quota, in favore di De.Co.Gi., De.Co.Ma., de.co.gi., De.Co.Re. e De.Co.Al. (quali eredi di De.Co.An.) la somma di Euro 5.250,00;

che L’Amministrazione interessata, per mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato propone avverso quest’ultima statuizione ricorso supportato da due motivi di censura, ulteriormente illustrato da memoria;

che M.S., D.C.G., S.S., C.F., M.V., Me.Pa., P.F. e De.Co.Al. si difendono con controricorso;

ritenuto che con i due motivi, entrambi denunzianti violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 fra loro complementari, l’amministrazione ricorrente adduce la consumazione del termine semestrale dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il processo presupposto, non dovendo trovare applicazione la sospensione feriale di cui alla L. n. 742 del 1969, sulla base degli argomenti che seguono: a) la constatazione che “la richiesta indennitaria non può essere riproposta anche se il termine decadenziale semestrale non sia ancora decorso” induce l’Amministrazione ricorrente ad affermare che “trattasi (…) di termine decadenziale per l’esercizio del diritto (…) e non già di termine per l’esercizio dell’azione con cui il diritto viene fatto valere”, così, restando inapplicabile il principio generale, valevole per le decadenze processuali, che l’estinzione del processo non estingue l’azione, il termine in parola resta sottratto “dall’alveo dei termini processuali”, dovendo essere ricondotto “al diverso alveo dei termini sostanziali”; b) anche a volere attribuire natura processuale al termine in parola ad esso non si applica la proroga di cui alla L. n. 742 del 1969, poichè, “trattandosi di procedimento ex L. n. 89 del 2001 “nuovo rito””, è prevista “l’attivazione di un “procedimento monitorio” (inaudita altera parte ed a contraddittorio eventuale – posticipato) che, per le sue caratteristiche di speditezza ed urgenza, mal si concilia – (L. n. 742 del 1969, art. 3) – con la “proroga dei termini” rappresentata dalla sospensione dei termini per il periodo feriale ex L. n. 742 del 1969″;

Diritto

CONSIDERATO

che il pur suggestivo percorso argomentativo del ricorso non può essere accolto, dovendosi osservare che questa Corte ha avuto modo di chiarire, le ragioni, condivise da questo Collegio, per le quali il termine di cui si discute ha natura processuale ed è, pertanto, soggetto alla proroga feriale, essendo stato rilevato che tra i termini soggetti alla sospensione feriale vanno ricompresi non solo quelli inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche quelli entro i quali il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per far valere il diritto stesso, sicchè detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo (Sez. 6-2, n. 5423, 18/3/2016, Rv. 639423; cfr., anche, Sez. 1, n. 5895, 11/3/2009, Rv. 607200, nonchè, S. U., n. 17781, 22/7/2013, Rv. 627247, sia pure, quale premessa motivazionale di altro principio dettato con la forza precipua delle S.U.; e più di recente, Sez. 2, nn. 5423/2016, 10595/2016, 26424/2016, 20974/2017 e svariate successive);

considerato, peraltro, a smentita dell’assunto impugnatorio, che le inferenze tratte dalla introduzione della fase monitoria non appaiono calzanti, poichè la natura processuale del termine deriva dalla constatazione che lo stesso, come sopra ricordato, risulta essere fissato invalicabilmente per l’esercizio del diritto, il quale non può essere soddisfatto senza ricorrere allo strumento dell’accertamento giudiziale, non assumendo rilievo la circostanza che quell’accertamento possa essere definitivamente reso in via monitoria, nel caso in cui non venga avanzata opposizione;

considerato che l’esame del ricorso conduce ad affermare che la Corte locale “ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte” e che, per contro, l’esame dei motivi non offre argomentazioni nuove, sulla base delle quali sorga l’opportunità di una rimeditazione;

che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;

ritenuto che non trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il Ministero ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge, distratte in favore dell’avvocato Paola Soriano, dichiaratasi antistataria.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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