Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25050 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. I, 16/09/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 16/09/2021), n.25050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21425/2015 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallimentare

Dott. S.M., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato Strinat Carlo, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., Z.R., F.C.,

O.F., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi

dall’avvocato Cimino Mauro, giusta procura in calce all’istanza di

fallimento;

– controricorrenti –

contro

(OMISSIS) s.r.l. in Liquidazione, R.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 896/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/03/2021 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La vicenda giunta adesso all’esame di questa Corte può essere sintetizzata – per quanto viene qui ad assumere un diretto interesse nei termini che seguono.

2.- Con decreto datato 1/3 ottobre 2014, il Tribunale di Macerata ha rigettato per incompetenza il ricorso di concordato preventivo presentato, ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, dalla s.r.l. (OMISSIS) s.r.l.; nella stessa data del 3 ottobre, il Tribunale ha emesso sentenza dichiarativa del fallimento di questa società.

3.- In proposito, il giudice ha rilevato che la s.r.l. (OMISSIS) aveva trasferito la propria sede sociale dalla località di (OMISSIS) a quella di (OMISSIS) in data (OMISSIS); che tale trasferimento era avvenuto in epoca anteriore di oltre un anno alla presentazione della domanda di concordato prenotativo (come avvenuta nel settembre 2014); che quindi la competenza, per questo proposito, apparteneva al Tribunale di Teramo, nel cui circondario rientra la località di (OMISSIS).

Diversamente ha ritenuto per la dichiarazione di fallimento, riscontrando che istanze al riguardo erano state proposte (dai signori M., O., Z. e F., dipendenti della società) già nel novembre del 2013 (e poi pure nel marzo del 2014); di conseguenza, la fattispecie risultava per quest’altro proposito governata dal disposto della norma della L. Fall., art. 9, comma 2,

4.- Avverso questi provvedimenti, la s.r.l. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante, e R.A., suo legale rappresentante, hanno presentato reclamo avanti alla Corte di Appello di Ancona.

Con sentenza depositata in data 7 agosto 2015, la Corte territoriale ha accolto il reclamo.

5.1.- Nel contesto della propria pronuncia, la Corte marchigiana ha in via preliminare affrontato l’eccezione sollevata dalla difesa della curatela della società fallita di “nullità/inammissibilità del reclamo per difetto dei poteri gestori e di rappresentanza processuale della società reclamante in capo all’amministratore R.A. e la conseguente nullità di tutti gli atti posti in essere dal predetto, nonché nullità della determinazione L. Fall., ex art. 152, di accesso alla procedura di concordato preventivo e conseguente nullità del ricorso per accesso alla procedura depositati in data 30 settembre avanti al Tribunale di Macerata”.

Nel concreto, questa eccezione è stata fondata sull'”intervenuta dichiarazione di fallimento personale di R.A. a seguito di sentenza del Tribunale di Macerata del marzo 2009, quale socio illimitatamente responsabile” di s.a.s. dichiarata fallita e sulla rilevazione che, nella specie, “doveva farsi applicazione del disposto di cui all’art. 2382 c.c., applicabile anche in tema di società a responsabilità limitata, che stabilisce quale causa di decadenza ex lege dell’amministratore, la dichiarazione di fallimento dello stesso”.

5.2.- Nel respingere l’eccezione in quanto infondata, la pronuncia ha ritenuto che la disposizione dell’art. 2382 c.c., non può applicarsi alla fattispecie in esame riguardante una società a responsabilità limitata, “in ragione di quanto affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 18904/2013, secondo cui la disciplina delle società a responsabilità limitata, a seguito della novella di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, non regolamenta le cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori, sicché, rispetto a essi, non trovano più applicazione, neppure per analogia, le norme dettate, per la società per azioni, dall’art. 2382 c.c., con la conseguenza che – salva diversa disposizione statutaria – il fallimento dell’amministratore di società a responsabilità limitata non ne determina l’incapacità alla carica sociale”.

6.1.- Ciò rilevato, la Corte marchigiana ha nel prosieguo esaminato l’assunto della reclamante società (OMISSIS), per cui il “Tribunale di Macerata avrebbe dovuto dichiarare la propria competenza in ordine alla procedura di concordato preventivo, avendo riconosciuto la propria competenza quanto alla pronuncia di fallimento”, così “facendo applicazione del disposto di cui agli artt. 39 e 40 c.p.c.” e “consentendo a tutti i creditori di ottenere soddisfazione in unica sede oppure ricorrendo al principio di prevenzione”.

“Parte reclamante” – ha aggiunto la pronuncia – ha in specie “dedotto che la decisione oggetto di impugnazione si porrebbe in contrasto con il principio di unitarietà della procedura concorsuale”.

6.2.- Accogliendo questa doglianza, la sentenza ha rilevato che la “giurisprudenza formatasi nella vigenza della precedente disciplina del concordato affermava che le pronunce riguardanti il concordato preventivo (nella specie, rigetto della omologazione) e la dichiarazione di fallimento costituivano statuizioni legate da un rapporto di connessione” (così richiamando, in specie, la pronuncia di Cass. Sezioni Unite, 23 gennaio 2013, n. 1521).

“Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità” si è aggiunto nella medesima prospettiva – “quello della unitarietà della procedura concorsuale diretto a tutelare l’interesse dei creditori alla concentrazione delle procedure”. Facendo applicazione di tale principio – si è ricordato – la Cassazione ha ritenuto che, “proposta l’istanza di per la dichiarazione di fallimento avanti al tribunale nella cui circoscrizione l’imprenditore ha la sede principale, spetta a quel tribunale, in pendenza della relativa procedura, il potere-dovere di esaminare per la determinazione dello stato di insolvenza tutte le situazioni a esso relative, senza che abbiano rilievo le successive vicende riguardanti la sede dell’impresa, che non possono modificare, per il principio della perpetuatio iurisdictionis, una situazione processuale già radicata” (in proposito, sono state richiamate le decisioni di Cass., 24 maggio 2004, n. 9959 e di Cass., 9 aprile 1988, n. 3673).

La fattispecie in esame risulta “sovrapponibile” a questa, poiché alla data di deposito della istanza di fallimento sussisteva la competenza territoriale del Tribunale di Macerata, posto che “alla data di deposito dell’istanza di fallimento non era ancora decorso il termine di un anno dall’intervenuto trasferimento della sede legale della società reclamante”. Perciò, il giudice del primo grado avrebbe dovuto ritenere la propria competenza territoriale anche in relazione alla successiva istanza di concordato preventivo: “la presentazione di istanza di fallimento nei confronti di un imprenditore ha l’effetto, per l’evidente esigenza di unicità della procedura fallimentare, di rendere irrilevanti i successivi trasferimenti della sede dell’impresa ai fini della determinazione della competenza”.

7.- In esito a questo ragionamento, la Corte marchigiana ha revocato entrambi i provvedimenti emessi dal Tribunale di Macerata (sopra, n. 2). Altresì rimettendo gli atti al medesimo Tribunale per l'”adozione dei provvedimenti conseguenti alla istanza di concordato preventivo prenotativo in relazione alla quale si era dichiarato incompetente”.

8.- Avverso questo provvedimento ha presentato ricorso il Fallimento della s.r.l. (OMISSIS), svolgendo due motivi di cassazione.

Hanno presentato controricorso, adesivo al ricorso principale, i signori M., Z., O. e F..

La s.r.l. (OMISSIS) e R.A. non hanno svolto difese nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

9.- I motivi di ricorso risultano intestati nei termini che si vengono a trascrivere.

Primo motivo: “violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., nn. 2 e 3, con particolare riferimento alla L. Fall., artt. 161 e 162, nonché alla L. Fall., artt. 9,9 bis, 15,16 e 17 – correttezza della declaratoria di inammissibilità del concordato preventivo per incompetenza territoriale”.

Secondo motivo: “violazione o falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, con particolare riferimento agli artt. 2382,2394,2477,2489,2491,2497 c.c., nonché L. Fall., art. 146 – nullità degli atti compiuti da amministratore di società a responsabilità limitata dichiarato fallito personalmente”.

10. Seguendo l’ordine logico, il secondo motivo di ricorso risulta precedere l’altro motivo e va perciò trattato prima di questo.

10.1.- Il secondo motivo di ricorso riprende l’eccezione formulata dal Fallimento avanti alla Corte di Appello di Ancona, per cui – posto che R.A. era stato personalmente dichiarato fallito (quale socio accomandatario di una s.a.s.) – questi non poteva essere considerato come amministratore e legale rappresentante della s.r.l. (OMISSIS), con la conseguenza ulteriore della nullità del reclamo a suo tempo presentato avverso la sentenza dichiarativa del fallimento di tale società (sopra, n. 5).

10.2.- Il motivo svolto dal ricorrente sostiene, in proposito, l'”applicazione analogica alle s.r.l. del dettato di cui all’art. 2382 c.c. (disciplina delle s.p.a.)”.

“Ragioni di coerenza del sistema” impongono di adottare questa soluzione, si sostiene: “non vi è ragione alcuna” perché le s.r.l. non debbano essere governate “con le medesime regole basilari della altre società” e perché i “soggetti terzi non debbano essere tutelati rispetto alle possibili condotte pregiudizievoli di un amministratore che di fatto sia patrimonialmente irresponsabile perché dichiarato fallito”.

Nei fatti, il regime predisposto per la s.p.a. – di ineleggibilità del fallito e di sua decadenza automatica dalla carica – vale anche per la società in accomandita per azioni; nelle società di persone poi, ferma la regola per cui amministratori possono essere solo i soci illimitatamente responsabili, si applica la regola per cui la dichiarazione di fallimento personale del socio comporta di diritto la sua esclusione (cfr. l’art. 2288 c.c.).

10.3.- Non può convincere – si prosegue – l’opposta soluzione adottata da Cass., 8 agosto 2013, n. 18904, che la Corte territoriale ha richiamato a proprio conforto.

L’argomento letterale della mancanza per la s.r.l. di una norma di rinvio all’art. 2382 c.c., formulato da questa pronuncia, “non sembra affatto espressione di una precisa volontà del legislatore di consentire al soggetto fallito di amministrare una società a responsabilità limitata”. D’altra parte, “analizzando l’art. 2382 c.c., ben si vede che l’ineleggibilità/decadenza dalla qualifica di amministratore è prevista non solo per i falliti, ma anche per l’interdetto e l’inabilitato”; né “pare in alcun modo possibile sostenere che il legislatore della riforma societaria 2003, omettendo per le s.r.l. un rinvio all’art. 2382 c.c., abbia voluto deliberatamente consentire agli incapaci e agli infermi di mente di mettersi alla guida delle società a responsabilità limitata”.

Ancora più debole si manifesta – così si incalza – l’altro argomento esposto dalla sentenza citata, per cui il mancato richiamo all’incapacità del fallito alla carica di amministratore di s.r.l. si armonizza con l’idea di un neonato favor per il reinserimento del fallito, mostrato anche dall’avvenuta eliminazione del registro delle imprese e del divieto di iscrizione del fallito nel registro delle imprese. Di là dal fatto che le dette eliminazioni sono intervenute anni dopo la riforma societaria così si argomenta -, se pure si “volessero sottolineare le maggiori possibilità di reinserimento del fallito nell’attività imprenditoriale”, “non si potrebbe comunque dimenticare che tutti i divieti previsti per il fallito dal codice civile (cfr. per gli altri tipi societari) sono rimasti invariati nonostante essa novella”.

11.- Il motivo non merita di essere accolto.

La soluzione accolta dalla richiamata decisione di Cass., n. 18904/2013 è corretta. A questa soluzione si deve dunque dare continuità.

12.- In proposito, conviene muovere l’analisi proprio da una delle osservazioni svolte dalla pronuncia n. 18904/2013. Ha dunque osservato questa pronuncia che il legislatore della riforma del 2003, se non ha regolamentato le cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori della s.r.l., “neppure ha disposto al riguardo un rinvio alle norme dettate dall’art. 2382 c.c., per la società per azioni, previsto dal previgente art. 2487 c.c.”.

Nei fatti, con la riforma del 2003 la normativa della s.r.l. è passata dall’espresso rinvio che il comma 2 del previgente art. 2487 c.c., faceva a una serie di disposizioni direttamente scritte per l'”amministrazione” del tipo s.p.a. – tra cui, appunto, quella dedicata alle “cause di ineleggibilità e decadenza” dei soggetti amministratori – al “silenzio” attuale. Ora, se si considera sul piano oggettivo il transito così compiuto, non sembra corretto confinarlo sbrigativamente al livello delle mere dimenticanze ovvero a quello delle modifiche prive di un qualsiasi rilievo sostanziale.

Per quanto criptico possa apparire il silenzio tenuto dal legislatore in proposito (ma non si deve dimenticare che molte volte i silenzi del legislatore della riforma della s.r.l. esprimono l’indicazione di lasciare “mano aperta” all’autonomia statutaria), nel detto transito sembra corretto leggere, comunque, una volontà legislativa intesa a non ricalcare più – di certo a non ripeterlo in modo pedissequo, in ogni caso – lo schema normativo adottato per la s.p.a.: a differenziare (anche) per questo aspetto l’un tipo dall’altro, insomma.

In sé stesso non decisivo, il detto transito si manifesta, tuttavia, senz’altro orientativo nel senso della consistenza di un regime non (in toto) sovrapponibile a quello (tuttora) vigente per la s.p.a. e per la s.a.p.a. (per il rilievo della “notevole rilevanza” che per sé possiede, in ordine alla lettura della disciplina della s.r.l. post-riforma, il genere di transito appena sopra descritto v. già l’arresto di Cass., 13 gennaio 2010, n. 403).

13.- Non può essere condivisa, d’altra parte, l’osservazione svolta dal ricorrente con argomento ad absurdum, per cui alla non applicazione della norma dell’art. 2382 c.c., seguirebbe addirittura l’idoneità degli interdetti e degli inabilitati ad amministrare le società a responsabilità limitata (cfr. sopra, n. 16.3., secondo capoverso).

In effetti, un simile argomento non regge: l’incapacità degli interdetti e degli inabilitati a gestire una s.r.l. è sicura indipendentemente da un’eventuale applicazione a questo tipo dell’art. 2382 c.c., perché la stessa discende comunque da un diverso percorso normativo, qual è quello dettato dalla disciplina generale che il codice civile dedica a queste figure di incapacità di agire (artt. 414 c.c. e segg.; appena il caso di aggiungere, per l’inabilitato, che l’amministrazione di società è in sé stessa attività di straordinaria amministrazione e che la relativa carica ha natura personale).

Per questi profili, dunque, il regime di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori è uguale, sia che riguardi una s.p.a., sia che concerna una s.r.l. Così come pure lo è per i minori di età, con la ritenuta eccezione dalla capacità gestoria da riconoscere – tanto per l’un caso, quanto per l’altro – al minore emancipato ex art. 397 c.c., dato che questi ben “può compiere da solo gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, anche se estranei all’esercizio dell’impresa” (così dell’art. 397 c.c., comma 4).

14.- Neppure può essere condivisa l’osservazione svolta in via ulteriore dal ricorrente, secondo cui l’ineleggibilità (e decadenza) del fallito dalla carica di amministratore di s.r.l. risponderebbe all’avvertita necessità di tutelare i “soggetti terzi… rispetto alle possibili condotte pregiudizievoli di un amministratore che di fatto sia patrimonialmente irresponsabile perché dichiarato fallito” (cfr. n. 10.2., secondo capoverso).

Non sembra, per la verità, che questo rilievo si attagli veramente alla fattispecie tipo di cui si discute. Nel senso che l’istituto della cauzione – alla cui prestazione nella versione originaria del codice civile erano tenuti, ai sensi dell’art. 2387 c.c. (testo 1942) e a mezzo il deposito di una somma di denaro, in generale gli amministratori della s.p.a. – è stato abrogato sin dal 1985 (L. n. 281 del 1985, art. 24); né questo istituto è stato mai applicabile al caso degli amministratori della s.r.l. E’ notazione di comune esperienza, d’altra parte, che la circostanza di “non essere falliti” non comporta alcuna sicurezza di capienza patrimoniale dell’amministratore che eventualmente violi i doveri connessi all’espletamento dell’incarico commessogli.

Per altro verso, pure è da notare che la capacità (e responsabilità ex art. 2740 c.c.) del fallito rimane intatta se non altro per i beni che risultano non ricompresi nel fallimento (cfr., in specie, L. Fall., artt. 42,46, art. 104 ter, comma 8; su questo tema v., da ultimo, Cass., 9 luglio 2020, n. 15527).

Soprattutto, non può essere comunque trascurato – attesa la significatività del rilievo (in via convergente con quanto già sopra rilevato, nel n. 12) – che al fallito non è divietato di intraprendere da solo lo svolgimento di nuove attività imprenditoriali, come in più occasioni è stato rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., di recente, Cass., 11 maggio 2018, n. 11541).

15.- Ciò posto, si deve adesso passare al riscontro delle ragioni di “coerenza del sistema societario”, che pure sono state invocate dal ricorrente (cfr. sopra, n. 10.2.).

In proposito, è bene subito mettere in chiara evidenza l’estraneità alla tematica in esame della normativa concernente le società di persone. In particolare, la norma dell’art. 2288 c.c., alla cui sostanza si appella il ricorrente, si ferma sulla materia dei soci, non già su quella degli amministratori. Ne’ la regola ivi dettata – di esclusione del socio che è stato dichiarato fallito – viene a riflettersi in modo necessario sulla disciplina dell’amministrazione.

Non tutti i soci, nelle società di persone, sono per forza anche amministratori (cfr. l’art. 2257 c.c., comma 1; per il particolare dell’accomandita v. poi la norma dell’art. 2318 c.c., comma 2). Anche nei confronti degli accomandanti – che pure non possono amministrare (art. 2320 c.c., comma 1) – trova applicazione la disposizione dell’art. 2288 c.c.. D’altra parte, secondo buona parte della letteratura la società semplice e quella collettiva possono essere amministrati anche da soggetti non soci: che, quindi, neppure potrebbero essere “esclusi”.

Del resto, la ragion d’essere della norma dell’esclusione di diritto di cui all’art. 2288 c.c., non ha – in coerenza con quanto appena rilevato – nulla a che vedere con la materia dell’amministrazione nelle società di persone.

Com’e’ stato puntualmente riscontrato dalla pronuncia di Cass., 18 marzo 2015, n. 5449, questa disposizione intende, in realtà, “evitare alla società l’eventualità pregiudizievole di avere il fallimento nella compagine” sociale. Nel contempo, essa assicura – come pure è stato osservato in dottrina – alla procedura fallimentare del socio il diritto a una piena e pronta monetizzazione del valore della partecipazione del fallito (cfr. l’art. 2289 c.c., con particolare riferimento al suo comma 4).

16.- E’ noto che, nella versione originaria del codice civile, la società a responsabilità limitata era stata concepita come una sorta di “piccola società per azioni”: e così organizzata a mò di ricalco di questo modello normativo, con l’aggiuntivo apporto di semplificazioni e varianti.

Pure è noto che, con la riforma del 2003, il rapporto tra i due tipi societari è assai mutato (di avvenuta “divaricazione” tra i due modelli parla, tra le altre, la decisione di Cass., 8 agosto 2014, n. 13013). Secondo la spiegazione fornita dalla Relazione allo schema della normativa riformata (come poi divenuto D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), l’introdotta disciplina della s.r.l. “muove nella direzione di una integrale revisione” del relativo modello, intendendo “offrire agli operatori economici uno strumento caratterizzato da una significativa e accentuata elasticità e che, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali, si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito delle piccole e medie imprese”.

Posti questi rilievi di base, la linea differenziale che oggi corre tra il modello della s.p.a. e quello della s.r.l. risulta pienamente giustificare la previsione di non coincidenti normative in ordine alle cause di ineleggibilità (e decadenza) dei soggetti destinati a gestire le due diverse forme organizzative dell’attività di impresa.

17.- Quali che siano le ragioni che sorreggono oggi un divieto generale di amministrazione della s.p.a. per i falliti (come divieto che prescinde, cioè, dalle specifiche connotazioni che vengano nel concreto a caratterizzare l’esercizio di attività di impresa in forma di s.p.a.), resta comunque fermo che queste si attagliano a un modello operativo che è istituzionalmente destinato per le imprese di dimensione notevole e che vuol essere provvisto di una disciplina tendenzialmente “rigida”, senza lasciare particolari margini di “adattamento” agli intendimenti e bisogni concreti delle persone dei soci.

Per contro, il modello attuale della s.r.l. appare in sé aperto e disponibile ad accogliere la “considerazione” delle persone che (in uno o in un altro modo) partecipano alla relativa impresa, come pure dei rapporti interpersonali che in proposito vengano a svolgersi. E quindi anche a consentire il reinserimento nell’attività imprenditoriale delle persone dichiarate fallite ovvero a mantenerne la posizione pure per il caso in cui queste vengano (nel futuro) dichiarate fallite: sia come soci, sia pure – e anche distintamente – come amministratori.

18.- Ciò posto, resta ancora da aggiungere – per la miglior completezza dell’esposizione – che l’elasticità del tipo della s.r.l. senz’altro consente l’introduzione di apposite clausole statutarie che predispongano delle particolari cause di ineleggibilità e/o decadenza per gli amministratori della società.

Così come pure consente, secondo i termini segnati dalla norma dell’art. 2473 bis c.c., di introdurre delle “specifiche ipotesi” di esclusione dei soci per “giusta causa”: e, tra queste, pure quella legata all’eventuale fallimento di uno dei componenti della compagine sociale.

19.- Col primo motivo, il ricorrente Fallimento assume che la Corte di Appello di Ancona ha errato nel fare riferimento al “c.d. principio della unitarietà della procedura concorsuale”: la “novella del 2005/07 ha modificato non poco le carte in tavola”, si è osservato.

Per intendere il sistema attuale – così si è proseguito -, bisogna fare riferimento alla sentenza di Cass. Sezioni Unite, 15 maggio 2015, n. 9935. Questa pronuncia delinea una serie di principi di diritto “che risultano tutti rispettati dal Tribunale di Macerata allorquando ha dichiarato inammissibile la proposta di concordato di (OMISSIS) e ha dichiarato il fallimento” e che, per contro, il successivo intervento della Corte marchigiana ha erroneamente manomesso.

Nei fatti – annota il ricorrente -, i principi stabiliti dalle Sezioni Unite sono che, in pendenza di una procedura di concordato preventivo, il fallimento può essere dichiarato solo quando ricorre uno degli eventi previsti dalla L. Fall., artt. 162,173,179 e 180; che, prima del verificarsi di uno degli eventi previsti da queste norme, il procedimento prefallimentare non è improcedibile, né sospeso, solo non potendosi dichiarare il fallimento (ma ben potendo respingersi il relativo ricorso); che, nel caso di pendenza delle due procedure avanti a giudici diversi, trova applicazione la norma dell’art. 39 c.p.c., comma 2.

Nel caso di specie – si prosegue – anche quest’ultimo principio è stato sostanzialmente rispettato. Sino al giorno di deposito della sentenza dichiarativa del fallimento della s.r.l. (OMISSIS) nessuna domanda di concordato preventivo era stata presentata avanti al Tribunale di Teramo: perciò, non risultava praticabile la strada dell’applicazione dell’art. 39 c.p.c., comma 2.

Di conseguenza, “l’unica cosa che il Tribunale di Macerata poteva e doveva fare, e l’ha fatta, era di dichiarare inammissibile la domanda di concordato presentata a Macerata per difetto dei requisiti di competenza territoriale, come stabilito dalla L. Fall., art. 162, comma 2”.

20.- Il motivo non merita di essere accolto.

21.- Al di là delle affermazioni che viene a formulare, il ricorrente non si confronta, in realtà, con i principi di fondo che la sentenza delle Sezioni Unite n. 9935/2015 ha enunciato.

Quest’ultima è perentoria, infatti, nell’escludere che il sistema attuale sia fisiologicamente orientato ad ammettere una “cieca competizione” tra la procedura fallimentare e quella concordataria, poi “da risolvere decidendo per prima quella che per prima giunge a maturità istruttoria”.

A un simile esito si espone invece, e direttamente, la tesi espressa nel ricorso e accolta, nel primo grado del giudizio, dal Tribunale di Macerata, declinando la propria competenza nei confronti della domanda di concordato e insieme dichiarando il fallimento della società che tale domanda aveva presentato. Che’ a una soluzione di questo tipo fa propriamente riscontro un sistema in cui è evento fisiologico che due diversi giudici vengano, nello stesso frangente temporale, a giungere a decidere il merito delle procedure in questione: uno competente solo sulla domanda di concordato (nella specie, il Tribunale di Teramo); l’altro, invece, competente unicamente per la dichiarazione di fallimento (qui, il Tribunale di Macerata).

22.- Non risponde al vero, d’altro canto, che le riforme del sistema fallimentare intervenute tra il 2005 e il 2007 hanno indebolito, o comunque “diminuito”, la portata e peso del principio delle unitarietà delle procedure fallimentari, come per contro afferma il ricorrente nel censurare la pronuncia della Corte marchigiana, che su questo principio ha basato la propria decisione (affermativa, in specie, del dovere del Tribunale di affrontare il merito della domanda concordataria presentata dalla s.r.l. (OMISSIS): cfr. nei precedenti nn. 6 e 7).

Vero è piuttosto che, secondo quanto più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, quello in discorso è principio in sé stesso “desumibile dal sistema e dai principi informatori della legge fallimentare” e che nell’attuale si trova enunciato nella norma della L. Fall., art. 9 bis, come per l’appunto introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 8 (cfr., tra le altre, Cass., 5 novembre 2010, n. 22544; Cass., 15 maggio 2010, n. 13316; Cass., 4 aprile 2016, n. 6423): senza “modificazioni” di sorta rispetto al passato (cfr. Cass., 13 luglio 2011, n. 15440), lo stesso ponendosi comunque (sia prima, che dopo le riforme del 2005/2007) come principio “preminente” (cfr. Cass., 25 settembre 2009, n. 20717).

23.- Collocato il tema dei rapporti tra istruttoria prefallimentare ed esame della domanda concordataria nella prospettiva informante del principio di unitarietà delle procedure concorsuali, la citata pronuncia di Cass. Sezioni Unite, n. 9335/2015 ha poi osservato che il “coordinamento” tra le due distinte procedure va realizzato sulla base del legame strutturale che tra le stesse corre.

Domanda di concordato e istanza di fallimento, dunque, se sono iniziative tra loro incompatibili, si mostrano tuttavia dirette entrambe a governare la medesima situazione di crisi: tra le due cause perciò si pone – così si è precisato – un “rapporto di interdipendenza”, di domande, che tra loro si pongono in relazione di “alternatività” ovvero di “contrapposizione”. Sì che, sul piano propriamente processuale, si viene a conformare un’ipotesi di c.d. “continenza per specularità” (su questa figura v. pure Cass., 3 settembre 2005, n. 17737).

Sul piano dell'”ordine di trattazione delle procedure”, questa alternatività va sciolta – si è rilevato in via di completamento del coordinamento occorrente per le medesime – nel senso che dev’essere necessariamente “assicurato il previo esaurimento della procedura di concordato preventivo”.

“Durante la pendenza di una procedura di concordato, sia essa in fase di ammissione, di approvazione o di omologazione”, perciò, “non può ammettersi il corso di un autonomo procedimento prefallimentare che si concluda con la dichiarazione di fallimento”.

24.- Al complesso delle osservazioni sin qui svolte segue che il tribunale, che – sulla base degli ordinari criteri di distribuzione della competenza territoriale – sia competente per la dichiarazione di fallimento, ma non anche per l’esame della domanda concordataria, non solo non può, rilevata la propria incompetenza per quest’ultima domanda, procedere a dichiarare il fallimento del debitore (cfr. già, sul punto, il n. 21). Ma altresì deve esaminare i termini della domanda di concordato che gli è stata nel concreto presentata: solo all’esito della espressa valutazione negativa di questa potendo, nel caso occorrente, procedere a un’eventuale dichiarazione di fallimento.

Posta la positiva sussistenza della competenza del tribunale rispetto all’istanza di fallimento, l’esame dei termini conformanti la domanda di concordato si pone, in effetti, come passaggio necessario perché risulti possibile realizzare, nel caso, la funzione decisoria che si manifesta connessa alla detta competenza: secondo quanto direttamente discende, per l’appunto, dal necessario rispetto dell’ordine di trattazione delle procedure (sopra, n. 23).

Per contro, il giudice che secondo i parametri ordinari sarebbe competente per la domanda di concordato – è pure da notare per completezza – non potrebbe comunque conoscere l’istanza per la dichiarazione di fallimento.

Ne segue, in definitiva, che il principio della unitarietà delle procedure concorsuali viene – per il particolare tipo di fattispecie qui in esame – a comportare una specie di “adattamento” degli ordinari criteri della competenza territoriale. D’altra parte, come ha rilevato la pronuncia di Cass., 15 luglio 2016, n. 14518 (nei confronti di una fattispecie per certi profili prossima a quella qui presente), la norma della L. Fall., art. 161, “non stabilisce l’inderogabilità” (nel senso della non “insuscettibilità” di questa disposizione ad accogliere gli adattamenti che si rendano necessari) della “competenza territoriale del tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale a decidere sulla domanda di concordato”.

25.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

26.- Posta la mancata costituzione sia della s.r.l. (OMISSIS), sia di R.A., entrambi intimati, e posto altresì il carattere meramente adesivo del controricorso presentato dai signori M., Z., O. e F., non ha luogo a provvedere alle determinazioni relative alle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte respinge il ricorso.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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