Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25050 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 09/11/2020), n.25050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 273-2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e

quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI,

EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO;

– ricorrenti –

contro

SVEVIAPOL S.R.L., EQUITALIA SUD S.P.A.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1281/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 17/06/2014 R.G.N. 1428/2012.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva annullato la cartella esattoriale con la quale era stato intimato a SVEVIAPOL s.r.l. il pagamento di importi a titolo di tassa di ingresso alla mobilità ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 4, ritenendo la pretesa impositiva prescritta per il decorso del termine quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3 sul presupposto che detta tassa di ingresso avesse natura di contributo previdenziale;

2. per la cassazione della sentenza l’INPS ha proposto ricorso, anche per SCCI s.p.a., cui SVEVIAPOL s.r.l. ed Equitalia sud s.p.a non hanno opposto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. l’istituto previdenziale deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 4 e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 1, sostenendo che gli oneri posti a carico delle imprese che collocano propri lavoratori in mobilità non siano da annoverarsi nella categoria della contribuzione previdenziale e siano, pertanto, assoggettati al termine di prescrizione ordinario decennale;

4. il ricorso non è fondato, dovendosi dare continuità all’orientamento già espresso da questa Corte nella sentenza n. 2121 del 29.1.2018, che ha ritenuto la natura di contributo previdenziale degli importi in questione ai fini dell’assoggettabilità alla prescrizione quinquennale;

5. si è ivi condivisibilmente argomentato come, sul piano letterale, sia agevole rilevare anzitutto che le somme in oggetto previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 5 siano qualificate come “contributi” alla stessa L. n. 223, art. 3, comma 3. Nella rubrica della L. n. 223 del 1991, art. 5 si parla di oneri (in generale) a carico del datore, per ricomprendervi il rispetto di ulteriori requisiti (di natura formale, procedurale e sostanziale) e non per distinguere le somme in questione dai contributi. Inoltre, il D.M. n. 142 del 1993, art. 4, comma 6, assoggetta il mancato pagamento degli importi in questione alle sanzioni civili di cui al D.L. n. 536 del 1987, art. 4 convertito in L. n. 48 del 1988, riguardanti il mancato versamento dei contributi alle gestioni previdenziali ed assistenziali;

6. si è aggiunto che, sul piano causale, si tratta di somme che devono essere versate allo scopo di finanziare il pagamento di una prestazione previdenziale come “l’indennità di mobilità”, che fa fronte al bisogno derivante dalla perdita del lavoro a seguito di licenziamento collettivo, ai sensi dell’art. 38 Cost., comma 2, e che è sostitutiva di ogni diverso trattamento stabilito contro la disoccupazione involontaria. Esse affluiscono, secondo la legge, nella “gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 37”;

7. si è ancora argomentato che, come si verifica per i contributi in generale, in base al principio dell’automaticità delle prestazioni, per i lavoratori in mobilità non ha rilievo se l’imprenditore provveda o meno a pagare le somme a suo carico;

8. la L. n. 223 modula inoltre il contributo per l’indennità di mobilità con due diverse modalità (al momento dell’apertura della procedura ed a prescindere da essa): a) la somma di cui all’art. 16 è posta a carico di tutte le imprese i cui dipendenti possano beneficiare dell’indennità di mobilità ed i contributi vanno calcolati sulla retribuzione assoggettabile al contributo integrativo per la assicurazione di disoccupazione; b) inoltre l’indennità di mobilità è finanziata dagli imprenditori che mettono effettivamente in mobilità i lavoratori allo scopo di porre una remora ai licenziamenti e l’entità della somma varia a seconda se prima della messa in mobilità si sia utilizzata o meno la Cigs; avendo la legge voluto incentivare l’uso della Cigs prima della messa in mobilità. Il fatto che la somma in questione conviva con quella prevista dall’art. 16 a carico di tutti i datori di lavoro rientranti nell’orbita della disciplina della mobilità della cui natura contributiva nessuno dubita – non ha rilievo ai fini della qualificazione di cui si discute; poichè anzi entrambe le somme servono al finanziamento dell’indennità di mobilità ed affluiscono alla stessa gestione degli interventi assistenziali di sostegno alle gestioni previdenziali di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 37;

9. va pure considerato che una parte della stessa somma, il cosiddetto contributo di ingresso (calcolato su una mensilità di massimale CIGS, per il numero di lavoratori che si intende licenziare) deve essere pagata in anticipo, prima dell’inizio della procedura di mobilità. Possono perciò verificarsi situazioni di saldo a credito per gli imprenditori che abbiano rinunziato a collocare in mobilità i lavoratori o ne abbiano collocati in numero inferiore a quello per cui è stato pagato il contributo di ingresso (posto che la mensilità su cui computare il contributo per ogni lavoratore effettivamente licenziato può essere inferiore, in quanto corrisponde al trattamento mensile iniziale di mobilità). In tal caso, come previsto dalla L. n. 223, art. 4, comma 10, l’impresa in saldo attivo precede al recupero delle somme pagate in eccedenza mediante conguaglio con i contributi dovuti all’Inps; l’operazione di conguaglio o di rimborso va fatta determinando le somme versate in eccedenza e trasmettendo quindi all’ufficio riscossione contributi della sede Inps competente copia della comunicazione all’UPLMO sui risultati della conciliazione sindacale e dell’elenco dei licenziati inviati all’URLMO. Anche la disciplina del conguaglio conduce a considerare unitariamente la natura delle somme pagate dal datore e ad affermare l’assoggettamento ad una medesima disciplina della prescrizione;

10. nel richiamato arresto si è anche rilevato che questa Corte di Cassazione ha sempre qualificato come contributi le somme in questione, parificandone la disciplina a quella dei contributi: ai fini del pagamento di essi da parte di società a capitale misto come i contributi dovuti per la cassa integrazione (Cass. n. 8591/2017); ai fini di evidenziarne la diversità dai rapporti contributivi e la irrilevanza del giudicato in relazione ai diversi periodi di debenza (Cass. n. 7981/2016); per inferire ai sensi della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, commi 11 e 12, che la contribuzione per l’indennità di mobilità non è dovuta dai datori di lavoro che non sono tenuti ai contributi per la disoccupazione involontaria (Cass. n. 8212/2014, posto che l’indennità di mobilità “è regolata dalla normativa che disciplina l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, in quanto applicabile. Ne discende che la contribuzione per la mobilità non è dovuta allorquando non sia dovuta quella per la disoccupazione involontaria”); per determinare le imprese tenute a versare il contributo a loro carico solo con riferimento alle posizioni dei dipendenti posti in mobilità che abbiano diritto all’indennità, ma non con riferimento alle posizioni dei dipendenti posti in mobilità non aventi diritto ad usufruire dell’indennità stessa (Cass. n. 14305/2007);

11. le argomentazioni fatte valere dall’INPS sono state infine confutate, sul rilievo che le somme in questione rientrano de plano nella stessa definizione di contribuzione dedotta dall’INPS in ricorso, trattandosi appunto di “somme di danaro versate da parte del datore di lavoro e/o del lavoratore agli enti previdenziali per la tutela previdenziale rientrante sotto l’art. 38 Cost., comma 2”;

12. nè il fatto che le somme in questione – accanto allo scopo primario di finanziare il pagamento della indennità di mobilità tendano anche a porre un freno ai licenziamenti e siano diminuite ove si raggiunga un accordo sindacale, costituiscono argomenti idonei ad incidere sulla natura sostanziale primaria, facendo loro assumere una qualificazione diversa rispetto alla varietà delle somme qualificate dalla legge come contributi. E lo stesso vale per la mancanza di periodicità nel pagamento o per la base imponibile commisurata al trattamento o per il fatto che nel periodo di mobilità maturi la contribuzione figurativa. D’altra parte, occorre considerare che proprio per la varietà dei tipi di contributi (obbligatori, volontari, figurativi, addizionali, di solidarietà, ritenute, ecc.) e per la diversità funzionale di cui sono contraddistinti, potrebbero sempre farsi valere diversità estrinseche tra le tante figure di contributi regolate dalla legge, allo scopo di affermare che l’una specie risulti dissimile rispetto all’altra; anche in considerazione dei differenti istituti che sono destinati a finanziare ed alla diversa legislazione vigente nel tempo (le quali pure giustificano concezioni differenti sulla natura dei contributi in generale). Tutte differenze che tuttavia non possono incidere sull’appartenenza alla comune ed ampia categoria dei contributi previdenziali;

13. decisivo appare comunque rilevare ai fini di causa che, mentre non esiste una soluzione unica quanto alla definizione della natura e della funzione dei contributi complessivamente considerati, tutti i contributi, pur nella loro varietà tipologica, sono assoggettati alla medesima disciplina della prescrizione (dettata dalla L. n. 335 del 1995, art. 3), alla quale non c’è dunque alcuna ragione logico-giuridica per non sottoporre anche le somme pagate dal datore per la collocazione in mobilità dei lavoratori;

14. alla luce di quanto sopra argomentato, la sentenza si sottrae alle censure formulate col ricorso, che va di conseguenza rigettato;

15. non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate;

16. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

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