Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25050 del 07/11/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 25050 Anno 2013
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

Data pubblicazione: 07/11/2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello ha motivatamente condiviso le
valutazioni espresse dal primo giudice – e, cioè, l’esigenza
di distinguere con riferimento a tutti i pretesi miglioramenti
l’epoca in cui sarebbero stati apportati e, nel contempo,
l’inidoneità, sul piano istruttorio, delle prove articolate

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dalla parte istante a dimostrare «in modo univoco sia l’epoca
delle opere, sia il consenso preventivo del proprietario»

segnatamente evidenziando: a) che per i miglioramenti
apportati nel vigore dell’art. 17 della legge n. 203/1982
occorreva la dimostrazione del preventivo accordo tra le parti

legge; b) che per i miglioramenti apportati tra il 1971 e il
1982 occorreva, in considerazione della specifica procedura
prevista dall’art.11 della legge n. 11/1971, pur sempre la
dimostrazione del consenso preventivo da parte del locatore
«di

cui non è stata fornita la prova»;

applicabile l’art. 1651 cod. civ.

c) che neppure era

(ergo non era riconoscibile

il diritto all’indennizzo per miglioramenti non previamente
autorizzati) abrogato dall’art.29 della legge n. 11/1971,
perché il relativo diritto, riconoscibile solo per i
miglioramenti anteriori al 1971, era prescritto per
intervenuto decorso della prescrizione decennale decorrente da
ciascuna annualità agraria. In particolare la Corte
territoriale ha posto in luce come

«sotto tali aspetti»

la

decisione del Tribunale non fosse stata neppure oggetto di
censura da parte degli appellanti principali, avendo costoro
limitato la loro impugnazione all’omessa considerazione da
parte del Tribunale del valore della scrittura privata del
30.03.1974 «che in quanto espressione della volontà negoziale
delle parti, deve coordinarsi con la disciplina legislativa ed

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o il rispetto della particolare procedura prevista dalla

anche superare quest’ultima nel rispetto dell’autonomia
contrattuale che l’ordinamento riconosce ai privati».
2. Parte ricorrente senza porre in discussione le
argomentate valutazioni della Corte territoriale relativamente
all’inutilizzabilità della richiamata scrittura del

difetto di istanza di verificazione e, in ogni caso, per
l’inidoneità dello stesso atto a consacrare una volontà
testamentaria o una donazione si duole della mancata
applicazione ai miglioramenti di cui trattasi della disciplina
di cui agli artt. 1592, 1632 e 1633 cod. civ., per inferirne
l’applicabilità della prescrizione decennale dalla risoluzione
del rapporto, segnatamente formulando due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia: erronea
qualificazione giuridica e/o erronea individuazione del regime
applicabile alla fattispecie prospettata, sin dalle prime cure
e in sede di gravame dai signori Cusani, con conseguente
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1592, 1632 e
1633 cod. civ., da parte della Corte investita del gravame ai
fini e per gli effetti dell’art. 360 comma l, n. 3 cod. proc.
civ.. Con il quesito ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc.
«se ai miglioramenti apportati

civ. si chiede a questa Corte:

al fondo, anteriormente al vigore della L. 11.2.1971 n.11, dal
conduttore-affittuario, con il consenso del concedenteproprietario, siano applicabili gli artt. 1592, 1623 e 1633

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30.03.1974, in considerazione del suo disconoscimento e del

c.c. e se la prescrizione del diritto all’indennità spettante
al conduttore-affittuario decorra dalla cessazione del
rapporto, a partire dalla quale può esercitarsi il diritto».
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia omissione
e/o insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione ai

istanze istruttorie articolate in prime cure e reiterate in
appello.
3. Il ricorso, avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009), è soggetto alla disciplina di
cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg. come risultanti per
effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006; si applica, in
particolare, l’art. 366 bis cod. proc. civ., stante l’univoca
volontà del legislatore di assicurarne ultra-attività
multis,

(ex

cfr. Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194), atteso che la

norma resta applicabile in virtù dell’art. 27, comma 2 del
cit. d. Lgs ai ricorsi per cassazione proposti avverso le
sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere
dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo
2006, senza che rilevi la sua abrogazione, a far tempo dal 4
luglio 2009, ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47,
comma l, lett- d), in forza della disciplina transitoria
dell’art. 58 di quest’ultima.
Si rammenta, con riguardo alla consolidata giurisprudenza

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sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. relativamente alle

elaborata sul punto, che il quesito di diritto deve essere
specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un.,
5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia,
tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta
affermazione di principio da parte del giudice di legittimità

pertanto essere astratto ed avulso dalla fattispecie concreta,
ma deve, imprescindibilmente, attenere al

decisum

ed essere

specificamente riferito al motivo cui accede contrapponendosi
direttamente alla regola di diritto – che si ritiene
erroneamente applicata – ed indicando sia pure sinteticamente
il principio di diritto che dovrebbe essere applicato nella
fattispecie. Mentre

«la

chiara indicazione»

del fatto

controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a
giustificare la decisione, deve consistere in una parte del
motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente
destinata (il c.d. quesito di fatto, omologo del quesito di
diritto) in maniera da non ingenerare incertezze in sede di
formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (Cass. SS.UU. 20603/2007; conf.,

ex multis,

4303/2008, 8897/2008).
3.1. Ciò premesso e considerato che la questione relativa
alla mancato ingresso delle prove richieste, proposta con il

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(v. Cass., 3 agosto 2007, n. 17108). Il quesito non può

secondo motivo di ricorso, è logicamente prioritaria, si
osserva che la questione stessa non può trovare ingresso in
questa sede, giacchè il motivo di ricorso non è corredato dal
necessario momento di sintesi

ex art. 366 bis sopra cit., che

individui in maniera specifica il “fatto controverso” e la sua

Non è superfluo aggiungere che la difficoltà di individuare
“un momento di sintesi” non è che il riflesso
dell’aspecificità della censura, sostanzialmente intesa a
sollecitare una rivalutazione da parte di questa Corte
sull’ammissibilità dei mezzi istruttori, senza evidenziare
alcuna incongruenza e/o carenza nella motivazione in punto di
inidoneità dei capitoli di prova in ordine alla dimostrazione
della data di esecuzione e alle singole migliorie
asseritamente apportate nel tempo.
3.2. Relativamente all’altro motivo denunciante violazione
di legge, si osserva che il principio, sollecitato a questa
Corte con il quesito sopra testualmente riportato, muove da
una duplice premessa e, cioè, che si tratti di

«miglioramenti

apportati al fondo, anteriormente al vigore della L. 11.2.1971
n.11, dal conduttore-affittuario»
apportati «

e che essi siano stati

con il consenso del concedente-proprietario»,

laddove, invece, diversa è la premessa da cui muove la Corte
di appello, e cioè che non sia stata offerta idonea prova
della riferibilità temporale dei singoli asseriti

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“decisività”.

miglioramenti e neppure del consenso del concedente.
Ciò posto e considerato che, anche in ragione di quanto
sopra detto

sub

3.1., il ricorso non attinge questi punti

costituenti il nucleo centrale della decisione, il quesito
stesso si rivela non pertinente e, come tale, inidoneo a

Valga considerare che i miglioramenti eseguiti prima
dell’entrata in vigore della legge 11 febbraio 1971, n. 11
(cui fa riferimento il quesito) sono indennizzabili
alternativamente o dalle norme di cui agli artt. 1592, 1632 e
1633 cod. civ., qualora eseguiti con il consenso del
concedente ovvero, in forza dell’art. 1651 cod. civ., ove
eseguiti senza l’autorizzazione del concedente. In tale ultimo
caso la disciplina applicabile è solo quella dell’art. 1651
cod. civ. e, pertanto, il diritto all’indennizzo è soggetto
alla prescrizione decennale decorrente dalla fine dell’annata
agraria in cui i miglioramenti stessi sono stati eseguiti,
considerato che da tale data il diritto può essere fatto
valere nei confronti del concedente. Va, infatti, rilevato che
il secondo comma di tale articolo dispone(va): «la sussistenza
dei miglioramenti deve essere accertata alla fine di ciascun
anno agrario nel quale sono stati eseguiti, e l’indennità deve
essere subito corrisposta».

Ne deriva che i miglioramenti

vanno accertati alla fine dell’annata agraria; detto
accertamento mira a tutelare sia la posizione del coltivatore

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risolvere la fattispecie concreta, prescindendo dal decisum.

che quella del concedente e costituisce presupposto del
diritto alla indennità. Una volta accertati i miglioramenti, è
rimesso, poi, alla scelta del coltivatore chiedere subito il
pagamento dell’indennità o rimandare la richiesta ad un
momento successivo; il diritto all’indennità sorge, tuttavia,

decorre il termine prescrizionale (cfr. Cass. 19 maggio 2003,
n. 7757; Cass. 15 gennaio 2003, n. 483; Cass. 11 ottobre 2002,
n. 14526).
In definitiva,
territoriale)

che

nella premessa
si

trattasse

(assunta dalla Corte
di

miglioramenti

non

autorizzati (o almeno che non vi fosse la prova
dell’autorizzazione del concedente), la regola di diritto di
cui all’art. 1651 cod. civ. applicata, con riferimento ai
miglioramenti che si assumono eseguiti anteriormente al 1971 è
corretta; correlativamente

l’exordium praescritionis

è

correttamente individuato; mentre il diverso principio di
diritto sollecitato da parte ricorrente si rivela non
pertinente una volta che non è attinto il punto della
decisione che fa gravare sull’affittuario le conseguenze della
mancata prova del consenso del concedente.
3.2. E’ appena il caso di aggiungere che – quand’anche si
ritenesse di integrare e rettificare la motivazione della
decisione impugnata con la precisazione che, solo per le
migliorie apportate successivamente al 1971 la prova del

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alla fine dell’annata agraria ed è da questo momento che

consenso

(quale

costitutivo

elemento

del

diritto

all’indennità) gravava sul concedente, mentre per quelle
antecedenti il consenso influenzava solo la disciplina dei
miglioramenti (e, di conseguenza, quella della prescrizione) non per questo il quesito e il motivo sarebbero suscettibili

impregiudicata l’altra premessa svolta dal giudice del merito
e, cioè, che, oltre alla mancanza di consenso, non era stato, ‘
neppure fornita idonea prova circa l’epoca in cui i pretesi
miglioramenti sarebbero stati effettuati, per individuare a
quale normativa dovessero essere sottoposti; e tale prova
doveva essere fornita dalla parte istante per l’indennizzo.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in C 4.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre
accessori come per legge.
Roma 9 ottobre 2003

di diversa valutazione, giacchè resta, comunque,

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