Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2505 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. III, 03/02/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 03/02/2010), n.2505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

SUPERBETON SPA in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA DI PRISCILLA 4, presso lo studio

dell’avvocato COEN STEFANO, rappresentata e difesa dagli avvocati

GRANZOTTO LUCA, LONGANESI CATTANI ROBERTO, STERN PAOLO, giusta

mandato a margine della comparsa di costituzione in data 22.1.2008;

– ricorrente –

contro

HEBEL PRIDE SHIPPING CO. Ltd.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 446/2008 del Tribunale di TREVISO – Sezione

Distaccata di CONEGLIANO, depositata il 06/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. LANZILLO Raffaella;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO Rosario Giovanni.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. La s.p.a. Superbeton ha proposto istanza di regolamento di competenza avverso la sentenza del 9 dicembre 2008, con cui il Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Conegliano ha declinato la propria competenza a favore di quella del Tribunale di Trieste, sulla controversia introdotta tempestivamente ai sensi dell’art. 669 octies c.p.c. – sul presupposto che nella circoscrizione del Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Conegliano, si radicasse il foro generale della convenuta Superbeton ai sensi dell’art. 19 c.p.c., per avervi la medesima la sua sede – dalla Hebel Pride Shipping Company Limited ai fini del giudizio di merito, dopo che quest’ultima aveva ottenuto nei confronti dell’istante la misura cautelare di cui all’art. 437 c.n., dal Tribunale di Trieste.

Il Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Conegliano, dopo aver rilevato d’ufficio, con ordinanza riservata del 6 marzo 2008, nella quale invitava le parti a precisare le conclusioni, nella motivazione di essa la propria incompetenza “funzionale”, per essere il Tribunale di Trieste, correttamente adito ai sensi dell’art. 437 c.n., “il solo competente a decidere il successivo giudizio di merito” e, nel dispositivo di essa, la propria incompetenza “per materia”, ha declinato la competenza a benefico di quella del Tribunale di Trieste sulla base di una motivazione che si e’ dapprima articolata con l’affermazione che “il principio, ricavabile dall’art. 669 ter c.p.c., comma 1, dell’identita’ dell’ufficio che ha emesso il provvedimento cautelare e che in seguito deve delibare il merito della causa, di tal che alla parte che per scelta o per legge ha individuato come competente un ufficio giudiziario ad emettere la cautela richiesta, non sia consentito, una volta ottenutala, di scegliersi diverso ufficio per conseguire la relativa tutela di merito (pare inconcepibile a chi scrive, dato il legame sussistente tra procedimento cautelare e giudizio di merito, che il Tribunale di Conegliano ex art. 669 novies o decies c.p.c., possa confermare, modificare, revocare o, comunque, rendere inefficace il provvedimento cautelare emesso dal Tribunale di Trieste)�; e, quindi, con l’ulteriore rilievo “che l’eccezione di incompetenza, impropriamente definita per materia, ma funzionale o di territorio inderogabile, come gia’ emergeva dalla motivazione dell’ordinanza 06.03.2008, e’ stata rilevata tempestivamente nell’ambito della prima udienza di trattazione ex art. 183 c.p.c., e non oltre l’udienza medesima�.

L’intimata non ha svolto attivita’ difensiva.

2. Il ricorso e’ soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioe’ dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2).

Essendosi verificate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., e’ stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che e’ stata notificata all’avvocato della ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

La trattazione e’ stata fissata per l’adunanza del 3 dicembre 2009, successivamente alla quale l’istanza di regolamento di competenza e’ stata decisa. Il Presidente riteneva necessario, tuttavia, riconvocare il Collegio, che nell’adunanza del 21 gennaio 2010 procedeva a nuova decisione nei termini di cui si da di seguito atto.

Il Presidente riteneva di sostituire altro consigliere presente all’adunanza della Corte il 3 dicembre 2009 al consigliere relatore, ai fini della redazione della presente motivazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si e’ prospettata l’infondatezza dell’istanza di regolamento di competenza all’esito della valutazione di infondatezza dei tre motivi (corredati dai prescritti quesiti di diritto) su cui essa e’ fondata.

In particolare:

a) in riferimento al primo motivo, con il quale si e’ denunciata la violazione dell’art. 669 ter c.p.c., comma 1, sotto il profilo che, al contrario di quanto opinato dal Tribunale, dal principio che l’azione cautelare si deve proporre al giudice competente per l’azione di merito non consegue che, una volta effettuata la scelta del giudice di merito per la fase cautelare, la competenza per i successivo giudizio di merito risulterebbe vincolata, la relazione ha osservato che andrebbe disatteso sulla base del principio di diritto affermato da Cass. (ord.) n. 5335 del 2007, secondo cui “In tema di procedimento cautelare, ai sensi dell’art. 669 ter c.p.c., prima dell’inizio del giudizio di merito la domanda si propone al giudice competente, in base agli ordinari criteri, a conoscere del merito; in mancanza di proposizione, nel corso del procedimento cautelare, di eccezioni in ordine alla competenza del giudice adito, questa si radica in capo allo stesso e vi permane anche con riferimento al giudizio di merito; atteso che quest’ultimo e’ diretto alla conferma o alla riforma del provvedimento adottato in sede cautelare, in un rapporto di strumentalita’ tra i due procedimenti che, con riferimento alla materia societaria, non viene meno neppure a seguito della riforma di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, che ha previsto la stabilita’ del provvedimento cautelare in caso di mancata instaurazione del giudizio di merito.�;

b) con riguardo al secondo motivo – denunciante la violazione degli artt. 19 e 28 c.p.c. per avere il Tribunale ritenuto la propria incompetenza funzionale, mentre, invece, veniva in gioco una competenza territoriale derogabile e la ricorrente aveva esercitato, nel proporre l’azione di merito, la scelta fra piu’ fori concorrenti – la relazione ha osservato che il principio di diritto sub a) sarebbe rilevante anche quando l’azione cautelare sia stata proposta davanti ad uno dei fori concorrenti;

c) con riferimento al terzo motivo, denunciante che l’incompetenza era stata rilevata d’ufficio dal Tribunale giudice oltre il termine di preclusione di cui all’art. 38 c.p.c., cioe’ oltre la prima udienza di trattazione, la relazione, dopo aver rilevato che nel giudizio di merito la prima udienza aveva avuto luogo il 12 febbraio 2008 ed era stata rinviata alla successiva del 19 febbraio 2008, nella quale il Tribunale aveva assegnato termine per note e, quindi si era riservato sollevando con la relativa ordinanza la questione di competenza, ha osservato che la preclusione si ricollega all’effettivo svolgimento della trattazione (richiamando all’uopo Cass. n. 7078 del 2003 e n. 12272 del 2009) e che nel caso di specie l’effettiva trattazione si era verificata soltanto all’udienza del 19 febbraio 2009.

2. Il Collegio, letta la relazione, non ne condivide le argomentazioni, salvo quella relativa all’insussistenza della violazione dell’art. 38 c.p.c., e, quindi, non ne conferma le conclusioni nel senso della infondatezza dell’istanza di regolamento di competenza, che, viceversa, deve ritenersi fondata.

Queste le ragioni, che la Corte enuncia nell’esercizio dei suoi poteri di statuizione sulla competenza.

2.1. Va preliminarmente rilevato che non appare persuasivo il precedente di questa Corte di cui a Cass. n. 5335 del 2007.

Esso peraltro enunciato in riferimento ad un caso nel quale il giudizio di merito era stato iniziato davanti allo stesso ufficio che aveva emesso la misura cautelare, dopo che della competenza non si era in alcun modo discusso nel procedimento cautelare, e senza una presa di posizione per un caso come quello di cui e’ processo e particolarmente in punto di esistenza di un potere del giudice adito per il merito, quando sia diverso da quello della fase cautelare, di dichiarare la propria incompetenza cautelare – si basa sulla seguente motivazione: “Il proposto ricorso per regolamento di competenza deve essere accolto. Invero, posto che, a norma dell’art. 669 ter c.p.c., comma 1 prima dell’inizio della causa di merito, la domanda si propone al giudice competente, in base agli ordinari criteri, a conoscere del merito, deve rilevarsi che, in mancanza di proposizione, nel corso del procedimento cautelare, di eccezioni in ordine alla competenza del giudice adito, questa si radica in capo a detto giudice, e vi permane anche con riferimento al giudizio di merito. Ne’ contrasta siffatta conclusione il rilievo relativo all’autonomia che connota il giudizio cautelare, rendendolo del tutto indipendente da quello di merito. Ed infatti, il richiamato carattere del primo deve essere inteso nella sua effettiva portata. Al riguardo, e’ pur vero che, come si argomenta dal disposto dell’art. 569 octies c.p.c., il procedimento cautelare non costituisce la prima fase di un unico procedimento che comprende il merito, bensi’ un procedimento distinto ed autonomo rispetto a quello, con la conseguenza che, ottenuta la pronuncia sulla istanza cautelare, si deve iniziare un nuovo procedimento di merito, perdendo altrimenti il provvedimento cautelare la sua efficacia. E tuttavia, deve pure essere considerato che il giudizio di merito e’ diretto alla conferma, ovvero alla riforma, del provvedimento adottato in sede cautelare, che costituisce un effetto anticipatorio del primo;

sicche’, non puo’ negarsi il carattere di strumentalita’ della domanda cautelare rispetto al giudizio di merito, carattere che da ragione della permanenza, in capo al giudice della cautela, della competenza anche per tale giudizio. Ne’ la rilevata ultrattivita’, o stabilita’, del provvedimento cautelare in materia societaria – che costituisce ulteriore espressione dell’autonomia del procedimento di cui si tratta e che rende non inevitabile lo sbocco del giudizio di merito – risulta elemento idoneo ad escludere la configurabilita’ del sottolineato vincolo di strumentalita’ rispetto al predetto giudizio, che costituisce pur sempre – come esattamente rilevato dal Procuratore generale – la naturale, anche se non necessaria, prosecuzione della fase cautelare.�.

2.2. La riportata motivazione, adottata in un caso nel quale il giudizio di merito era seguito con il rito del c.d. processo societario (ora abrogato), ma certamente di valenza generale, cioe’ riferibile anche al caso che il giudizio di merito debba svolgersi con il rito ordinario, non appare condivisibile per una serie di ragioni.

La prima e’ che ricollega alla cognizione cautelare, che e’ del tutto svincolata da forme puntuali, che sono rimesse sostanzialmente all’individuazione da parte del giudice (il quale “procede nel modo che ritiene piu’ opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto”), la preclusione per le parti e segnatamente per quella convenuta nel procedimento cautelare di ogni questione sulla sussistenza della competenza, sotto tutti gli aspetti, siano essi a rilievo ad istanza di parte, siano essi a rilievo anche d’ufficio, non solo con riferimento allo svolgimento del procedimento cautelare, ivi compresa l’eventuale fase di reclamo, ma anche agli effetti della successiva radicazione del giudizio di merito.

In tal modo, la parte convenuta in cautelare risulterebbe onerata di svolgere le sue difese sulla competenza anche agli effetti della definitiva individuazione della competenza sul merito nell’ambito di una cognizione sommaria, la quale puo’ avvenire con scansioni temporali anche brevissime, se del caso anche per l’eventuale fase di reclamo, e, quindi, senza la possibilita’ di beneficiare dei tempi di rilevazione dell’eccezione fissati nell’ambito del processo di cognizione ordinaria dalla norma dell’art. 38 c.p.c.. Tempi che, per l’eccezione di incompetenza territoriale derogabile sono rappresentati da un termine a difesa di settanta giorni, cioe’ dallo spazio fra la notificazione della citazione ed il momento in cui dev’essere depositata la comparsa di risposta per essere tempestiva.

Mentre per tutte le altre eccezioni di incompetenza sono ancora maggiori, perche’ ricollegati all’esaurimento, se del caso anche tramite la trattazione scritta delle attivita’ di cui all’udienza ai sensi dell’art. 183 c.p.c..

Ora, se il processo di cognizione ordinaria (o, eventualmente il rito speciale a cognizione piena, come quello di lavoro, locativo, agrario, nel quale la tempistica delle difese del convenuto in ordine alle questioni di competenza non risulta meno garantista) deve considerarsi il modello processuale costituzionalmente “dovuto” quanto alla tutela dei diritti alla stregua del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., non sembra conforme a Costituzione un’interpretazione che sottragga – anche solo potenzialmente, cioe’ per il suo silenzio sul punto – al convenuto in cautelare i tempi di difesa sulle questioni di competenza non gia’ agli effetti della sola cognizione cautelare, bensi’ anche agli effetti del successivo giudizio di merito.

Allo stesso modo, ritenere che il potere di rilevazione del giudice in ordine alla incompetenza, siccome previsto dall’art. 38 c.p.c., per la cognizione ordinaria per la competenza per valore, territorio inderogabile e per materia, si consumi nei tempi incerti ed eventualmente ben piu’ ridotti della cognizione cautelare non gia’ limitatamente al procedimento cautelare (riguardo al quale il giudice adito ha il potere di rilevare d’ufficio anche la propria incompetenza per ragioni di territorio derogabile, essendo la sua competenza cautelare funzionalmente collegata a quella sul merito e, sotto tale profilo e limitatamente al giudizio cautelare, percio’ scrutinabile anche d’ufficio), ma anche con riferimento al successivo giudizio di merito, significa disconoscere i normali tempi di esercizio al potere di rilevazione d’ufficio della competenza del giudice civile, in quanto nella logica del processo a cognizione piena presuntivamente ricollegati, per il significato di certi tipi di competenze ai fini dell’effettivita’ dell’esercizio del diritto di azione, all’esigenza di assicurare il giusto processo su diritti.

Ne’ puo’ avere alcun rilievo l’evenienza di puro fatto che, in relazione ai tempi di fissazione della comparizione nella fase sommaria ed alla stessa durata dello svolgimento del procedimento cautelare, ivi compresa la fase cautelare, possano risultare assicurati a favore delle parti e segnatamente di quella convenuta i tempi che nella cognizione ordinaria sono reputati sufficienti per la preclusione delle varie questioni di competenza. Le regole processuali in tanto esistono in quanto siano applicabili a situazioni astratte e non possono operare a seconda dell’evenienza di fatto che si verifichi, perche’ questo significa che la regola non si veda assicurato tutto l’ambito di applicazione che dovrebbe avere.

In definitiva, l’atteggiamento delle parti e particolarmente della parte convenuta in sede cautelare, nonche’ quello del giudice adito (e del giudice del reclamo, sempre che si ammetta che esso posa rilevare l’incompetenza cautelare di cui non si sia discusso davanti al primo giudice), di omessa rilevazione della incompetenza, cioe’ della non coincidenza fra quest’ultimo ed il giudice competente per il merito, e’ un’evenienza che non puo’ comportare la cancellazione dell’applicabilita’ davanti al giudice adito successivamente per il merito, sia esso lo stesso ufficio che ha emesso la misura cautelare od altro ufficio, della disciplina dell’art. 38 c.p.c..

Nessuna norma la prevede espressamente e non si comprende nemmeno quale sia la norma, che eventualmente interpretata in via estensiva o analogicamente, la giustificherebbe. L’unica ragione sarebbe che le parti hanno litigato sul cautelare nella supposizione che il giudice adito fosse quello competente sul merito ed il giudice a sua volta ha gestito la lite cautelare senza metterla in discussione, ma per desumere che il legislatore l’abbia assunta a presupposto di una norma e’ necessario appunto individuare dove tale norma stia. Se essa non si rinviene, appare privo di fondamento ritenere che il legislatore abbia fatto una simile scelta.

2.3. L’idea che al silenzio delle parti e del giudice nel procedimento cautelare si debba ricollegare, una volta emessa la misura cautelare, la definitiva consolidazione della competenza sul giudizio di merito in testa all’ufficio adito in sede cautelare, non e’ sostenibile nemmeno a proposito di una competenza debole come quella territoriale derogabile. Essa non potrebbe basarsi sulla circostanza che tale competenza puo’ essere derogata per accordo delle parti (art. 29 c.p.c.) e che, dunque, per quanto attiene alle parti, il loro silenzio nel procedimento cautelare (ed in specie quello del convenuto) si sia risolto in un accordo di deroga sulla competenza anche al solo limitato effetto di escludere il rilievo di alcuni dei fori eventualmente concorrenti. L’art. 29 c.p.c. richiede, infatti, che l’accordo debba attribuire espressamente la competenza esclusiva al giudice individuato. Mentre qui si darebbe rilievo a comportamenti taciti.

2.4. Ai fini di quanto si e’ osservato e’ irrilevante l’autonomia del procedimento cautelare rispetto a quello di merito, nel senso che l’introduzione di quest’ultimo non e’ affidata ad un meccanismo di prosecuzione davanti allo stesso giudice che ha concesso la misura cautelare, disposto dal medesimo d’ufficio. Se anche cosi’ fosse, l’esigenza di assicurare alle parti ai fini della cognizione piena le regole processuali per essa previste comporterebbe comunque che il legislatore debba prevedere che il giudice conceda alle parti termini per adeguarsi alle regole di quella cognizione, con la conseguenza che dovrebbe essere assicurata anche l’osservanza delle regole in ordine ai tempi di rilevazione della incompetenza emergenti dall’art. 38 c.p.c..

2.5. La soluzione qui sostenuta, del resto, la’ dove lascia intatti i poteri delle parti e del giudice davanti al quale il giudizio di merito venga introdotto in ordine alla rilevazione delle questioni di competenza, secondo le regola fissate dall’art. 38 c.p.c., non solo nel caso in cui della competenza si sia discusso nella fase cautelare ed essa sia stata affermata in capo al giudice adito per quella fase (come implicitamente parrebbe ammettere a contrario anche Cass. n. 5335 del 2007), ma anche quando della questione non si sia in alcun modo discusso, non determina alcuna incongruenza ai fini della individuazione della sorte della misura cautelare qualora il giudizio di merito sia introdotto davanti ad un ufficio giudiziario diverso da quello adito in sede cautelare ed il giudice del merito, a seguito di rilevazione d’ufficio dove puo’ farlo o di eccezione di parte in generale, rilevi la propria incompetenza.

La misura cautelare (non diversamente da quanto accadrebbe ove fosse adito proprio l’ufficio che emise la misura cautelare e fosse dichiarata la sua incompetenza), una volta concessa ed esauritasi o mancata la discussione sulla competenza cautelare (anche nella fase di reclamo), non sembra, infatti sensibile alle evenienze del giudizio di merito sulla competenza. La dichiarazione di incompetenza da parte del giudice adito per il merito, sia esso coincidente con quello che emise la fase cautelare, sia esso diverso, non sembra, infatti, idonea a determinare il venir meno della misura cautelare.

Con riferimento alla misura cautelare anticipatoria, cio’ si desume dalla previsione dell’art. 669 octies c.p.c., penultima la quale rende insensibile all’estinzione del giudizio di merito detta misura ed in tal modo suggerisce che una pronuncia declaratoria della competenza sul merito debba avere a maggior ragione lo stesso effetto, tenuto conto che il processo puo’ proseguire.

Con riferimento alla misura cautelare conservativa (come nel caso di specie), induce alla stessa conclusione la combinazione fra il primo e l’art. 669 novies c.p.c., comma 3. Essi ricollegano l’inefficacia della misura cautelare al mancato inizio del giudizio di merito, alla sua estinzione, alla mancata prestazione della cauzione ed alla sentenza, anche non passata in giudicato, che dichiari inesistente il diritto cautelato. Nel silenzio in ordine alle pronunce di rito diverse da quella sull’estinzione, si deve escludere che ricorra una eadem ratio per ritenere che la declaratoria di incompetenza sul giudizio di merito iniziato davanti al giudice che emise la misura cautelare o davanti ad altro giudice possa essere considerata idonea a determinare l’inefficacia della misura cautelare. E cio’, perche’ la declaratoria di incompetenza non preclude la decisione sul merito da parte del giudice davanti al quale le parti vengano rimesse (semmai, si potrebbe applicare una soluzione analoga a quella prevista per l’estinzione a proposito di pronunce di rito che definiscano il giudizio impedendone la prosecuzione (esempio: difetto di procura), ma e’ questione che meriterebbe approfondimento).

D’altro canto, in mancanza di previsione di una norma che imponga di iniziare il giudizio di merito davanti al giudice che ha emesso la misura cautelare, indifferentemente nel caso che della competenza si sia discusso oppure no nel procedimento cautelare, si deve allora escludere che l’inizio del giudizio di merito davanti ad un giudice diverso da quello del detto procedimento possa considerarsi equivalente all’ipotesi del mancato inizio del giudizio di merito.

2.3. Che poi, quando il giudizio di merito venga iniziato davanti a giudice diverso da quello che emise la misura cautelare e nessuna delle parti faccia questione di competenza nei termini di cui all’art. 38 c.p.c. e neppure la faccia il giudice, per quanto attiene alle incompetenze che puo’ rilevare d’ufficio, discenda che il potere di revoca di cui all’art. 669 octies c.p.c. debba, ricorrendone le condizioni, essere esercitato da un ufficio giudiziario diverso da quello che concesse la misura cautelare, e’ circostanza che non puo’ determinare alcuna incongruenza: e’ sufficiente osservare che la misura cautelare, pur concessa da altro ufficio, e’ strumentale rispetto alla decisione sul merito e, dunque, e’ il giudice cui ormai competa il potere di decidere sul merito che, secondo la regola espressa da quella norma, deve provvedere.

3. Conclusivamente, deve dichiararsi la competenza del Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Conegliano, di cui non e’ dubbia la competenza sul merito della controversia secondo uno dei fori territoriale derogabili concorrenti. Detta competenza appare declinata erroneamente sul presupposto che l’adizione di quel Tribunale, in quanto esso non e’ coincidente con quello che emise la misura cautelare, abbia determinato una sua incompetenza funzionale a beneficio di quest’ultimo. Vero e’, viceversa, che il silenzio serbato dalle parti (e segnatamente la mancata eccezione della convenuta) sul profilo della competenza territoriale derogabile ha determinato il consolidarsi della competenza del Tribunale trevigiano ai sensi dell’art. 38 c.p.c., comma 2, sulla quale non poteva aver luogo alcun intervento officioso del giudice.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara la competenza del Tribunale di Treviso, Sezione Distaccata di Conegliano, davanti al quale rimette le parti anche per le spese del giudizio di regolamento di competenza, con termine per la riassunzione sino a mesi tre dalla comunicazione del deposito della presente.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, a seguito di riconvocazione, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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