Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25049 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. II, 10/10/2018, (ud. 08/03/2018, dep. 10/10/2018), n.25049

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14901-2016 proposto da:

B.F.G., B.A.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO NERI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

ASL N. (OMISSIS) UMBRIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO BELLUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO BIOLI;

ASL N (OMISSIS) UMBRIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E.

GIANTURCO 1, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PAZZAGLIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO MARCUCCI;

REGIONE UMBRIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F. STACCI,

2/B, presso lo studio dell’avvocato DANIELE GUIDONI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLA MANUALI;

– controricorrenti –

e contro

COMUNE DI GUALDO TADINO, C.A.S. VED F.C.,

F.C.M., BU.CO., E.B.E.,

EU.BR.ED., B.M.E., B.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 717/2015 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 19/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/03/2018 dal Consigliere ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio;

udito l’Avvocato.

Fatto

RILEVATO

che, con atto di citazione notificato il 10 febbraio 2010, B.A.F. e B.F.G., assumendosi eredi del Monsignor Ca.Ro., adivano il tribunale di Perugia per ottenere la retrocessione dei beni donati dal medesimo alla Congregazione di Carità di Gualdo Tadino con atto di donazione del 1 dicembre 1919, consistenti in un fabbricato ad uso ospedale civile, una farmacia, nonchè due terreni e tutto quanto contenuto nei fabbricati;

che, a fondamento della domanda, gli attori deducevano che nel 2007 l’ospedale era stato chiuso e l’immobile lasciato in stato di abbandono, il che integrava la fattispecie prevista da una delle condizioni risolutive cui la donazione era sottoposta, ossia che l’immobile adibito ad ospedale mantenesse sempre tale destinazione d’uso;

che il tribunale dichiarava il difetto di legittimazione attiva degli attori e passiva dei convenuti con sentenza resa il 18 gennaio 2013;

che gli attori soccombenti impugnavano la sentenza di primo grado davanti alla corte di appello di Perugia, la quale accoglieva il gravame solo in punto di quantificazione delle spese processuali liquidate in primo grado a carico degli attori, delle quali riduceva l’ammontare;

che in particolare la corte di appello riteneva che B.A.F. e B.F.G. non avessero offerto la prova della loro qualità di eredi di Mons. Ca.;

che, al riguardo, la corte d’appello argomentava che, in relazione alle diverse chiamate ereditarie in cui si risolveva la linea di successione da Mons. Ca. ai signori B.A.F. e B.F.G., non risultavano dichiarazioni espresse di accettazione, nè potevano presumersi accettazione tacite (per possesso dei beni ereditari, ai sensi dell’art. 485 c.p.c.);

che, con riferimento a quest’ultimo argomento, la corte territoriale argomentava, per un verso, che non vi era prova del fatto che al momento della diverse successioni susseguitesi nel tempo i chiamati fossero nel possesso dei beni ereditari e, per altro verso, che, per quanto specificamente riguardava il passaggio testamentario da Ca.Ma.Ad. alle nipoti M. e E.B.L., non risultava l’accettazione formale della chiamata testamentaria e, inoltre, che gli stessi appellanti assumevano che Ca.Ma.Ad. aveva venduto alle suddette nipoti i beni che ella aveva ricevuto per successione a Mons. Ca., spogliandosene in vita e, così, facendoli uscire dal proprio asse ereditario, con conseguente impossibilità di collegare al possesso di tali beni l’accettazione tacita dell’eredità di Ca.Ma.Ad. da parte del nipoti M. e E.B.L.;

che la corte territoriale, inoltre, rilevava la avvenuta prescrizione del diritto degli appellanti, odierni ricorrenti, di accettare l’eredità di Ca.Ma., argomentando che la dichiarazione “di accettare l’eredità in questione” – svolta da B.A.F. e B.F.G. nella citazione introduttivo del giudizio, risalente al febbraio 2010 – risultava tempestiva rispetto alla successione di E.B.L., deceduto nel (OMISSIS), e quindi idonea a conferire loro la qualità di eredi della medesima, ma tardiva rispetto alla successione di Ca.Ma.Ad., deceduta il (OMISSIS), e quindi inidonea a conferire loro la qualità di eredi di quest’ultima;

che i sigg.ri F.G. ed B.A.F. hanno impugnato per cassazione la sentenza della corte d’appello di Perugia,sulla scorta di due motivi di ricorso;

che di tutti gli intimati (nominati in epigrafe) solo la ASL n. (OMISSIS) Umbria, la ASL n. (OMISSIS) (ex ASL n. (OMISSIS)) Umbria e la Regione Umbria hanno spiegato attività difensiva in questa sede, depositando separati controricorsi;

che la causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio dell’8 marzo 2018, per la quale solo i ricorrenti ed il Procuratore Generale hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva era stata tempestivamente sollevata in primo grado solamente dalla ASL (OMISSIS) e non dagli altre convenuti; con la conseguenza che almeno per quanto riguardava gli altri convenuti, la corte territoriale “avrebbe dovuto allargare il suo esame alle domande svolte nei loro confronti degli attori e, non avendolo fatto, sarebbe incorsa nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (pagina 9, penultimo capoverso, del ricorso);

che il motivo è infondato, perchè l’accertamento del difetto di legittimazione attiva degli attori – per la mancata dimostrazione della loro qualità di eredi di colui che ha elargito la donazione della cui efficacia si discute – preclude l’accesso al merito della controversia; cosicchè sulle domande proposte dagli attori la corte d’appello non ha omesso di pronunciarsi, ma si è pronunciata dichiarando la carenza di legittimazione degli attori alla relativa proposizione;

che, sotto altro aspetto, va comunque sottolineata l’infondatezza dell’assunto degli odierni ricorrenti secondo cui la corte territoriale non avrebbe potuto rilevare il loro difetto di legittimazione attiva se non nei confronti della parte che aveva sollevato tempestivamente la relativa eccezione, giacchè, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 2951/16, la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (riconoscimento, o svolgimento di difese incompatibili da parte dei convenuti, nemmeno dedotti nel motivo di ricorso);

che con il secondo motivo di ricorso, promiscuamente riferito all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 si denuncia la violazione degli artt. 476,480,481,2935 e 2938 c.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; sotto un primo profilo, i ricorrenti censurano la sentenza gravata per non aver considerato che fin dall’atto introduttivo essi avevano dichiarato di accettare l’eredità di Monsignor Ca. e che in tale dichiarazione doveva ritenersi implicita l’accettazione di tutte le eredità apertesi nel tempo in successione a quella; sotto il secondo profilo, i ricorrenti deducono che la corte d’appello avrebbe errato nel rilevare la prescrizione del loro diritto di accettare l’eredità di Ca.Ma.Ad. senza che l’eccezione di prescrizione fosse stato sollevato da alcuna delle parti in causa; i ricorrenti deducono altresì, per un verso, che la decorrenza del termine di prescrizione andava ancorata all’anno 2007, data di chiusura dell’ospedale Ca., e, per altro verso, che la corte d’appello avrebbe dovuto valorizzare, ai fini della prova dell’accettazione dell’eredità nelle successioni susseguitesi nel tempo, la portata quantomeno indiziaria delle dichiarazioni di denuncia di successione da loro prodotte in giudizio;

che il motivo va disatteso, in quanto la sentenza gravata poggia su due autonome rationes decidendi, una relativa alla mancata dimostrazione del fatto che i danti causa degli odierni ricorrenti avessero accettato le eredità loro precedentemente devolute in modo da realizzare una catena successoria congiungente la posizione del Monsignor Ca. a quella dei medesimi odierni ricorrenti; una relativa alla prescrizione del diritto degli odierni ricorrenti di accettare l’eredità di Ca.Ma.Ad.; il motivo di ricorso non attinge efficacemente la prima di tali rationes, non indicando – nella sua promiscua formulazione – in quali errori di diritto o nell’omesso esame di quali fatti (decisivi e oggetto di discussione tra le parti) la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo che gli odierni ricorrenti non avessero soddisfatto l’onere, su di loro gravante, di provare l’accettazione delle eredità devolute in ragione della sequenza di successioni apertesi a partire da quella di Monsignor Ca. fino a quella di Ca.Ma.Ad.; dovendosi peraltro precisare che l’affermazione della corte territoriale sulla inidoneità delle dichiarazioni di successione a comprovare l’accettazione dell’eredità risulta allineata la giurisprudenza di questa Corte (sentt. 2711/96, 4756/99) e che il riferimento contenuto del ricorso all’atto di divisione ereditaria tra E., A., di Ca.Ma.Cl. risulta privo di decisività, non essendo idonea a superare l’argomentazione della corte territoriale in ordine alla mancanza di prova dell’accettazione dell’eredità di Monsignor Ca. da parte del dante causa di dette condividenti, sig. Ca.Ma.Gi.;

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza;

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida, per ciascun contro ricorrente, in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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