Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25048 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. II, 10/10/2018, (ud. 28/02/2018, dep. 10/10/2018), n.25048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29238-2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

PIETRALATA 320-D, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA

RICCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIANO

SCIALINO;

– ricorrente –

contro

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RODI,

32, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA COLALEO, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIANFRANCO ZIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 440/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 28/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/02/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto di 1-4-5 motivo,

inammissibilità in sub rigetto del 2-3 motivo del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 18/10/2004 il tribunale di Udine – sezione distaccata di Palmanova – ha rigettato la domanda proposta da S.G. con citazione notificata il 03/6/2001 volta a sentire accertare l’acquisto per usucapione di un fondo in (OMISSIS), assegnato giusta atto di divisione dell’11/08/1967 in proprietà al fratello S.F. e continguo ad altro assegnato giusta lo stesso atto in proprietà all’attore, su entrambi i fondi restando usufruttuari i genitori delle parti.

2. Con sentenza depositata il 22/09/2009 la corte d’appello di Trieste ha dichiarato inammissibile, perchè tardiva, l’impugnazione proposta da S.G..

3. Con ordinanza depositata il 05/04/2001 n. 7761 questa corte ha cassato con rinvio la predetta sentenza, su ricorso di S.G., in accoglimento di motivo relativo all’erronea rilevazione della data di notificazione dell’appello.

4. Riassunto il giudizio in sede di rinvio da S.G., con sentenza depositata il 28/07/2014 la corte d’appello di Trieste ha rigettato l’appello.

4.1. A sostegno della decisione, la corte territoriale ha rilevato:

– che, essendo deceduta la madre delle parti, signora M.A., nel 1993, e non essendovi alcun elemento idoneo a far ritenere solo formale l’usufrutto a essa attribuito unitamente a S.L., padre delle parti deceduto nel 1974, l’usufrutto si era estinto nel 1993, essendo il “periodo successivo all’estinzione dell’usufrutto…non… sufficiente a fondare l’usucapione, essendo stata l’azione proposta nel 2001” (pp. 7-8 e 11);

– che, “anche a prescindere dalla questionè concernente l’attendibilità dei testi” (che il tribunale aveva risolto dando credito ai testi non legati da parentela), l’attore non aveva avuto il possesso almeno fino al 1993, “risalendo la materiale disponibilità all’autorizzazione alla tolleranza…, da valutarsi tenendo conto dello stretto legame di parentela esistente degli usufruttuari”;

– che anche le altre risultanze documentali (dichiarazione congiunta sottoscritta dalle parti nel 1993) e dell’interrogatorio formale del convenuto potevano essere valutate nel medesimo senso.

5. Ha proposto ricorso per la cassazione di detta sentenza S.G. in base a cinque motivi, cui ha resistito S.F. con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando non avere la corte d’appello esaminato il primo, il secondo e il quinto motivo d’appello, relativi rispettivamente: a) alla mancata considerazione da parte del tribunale delle deposizioni dei testi indotti dall’attore; b) all’erronea considerazione quali attendibili dei soli testi indicati dal convenuto; c) all’erronea valutazione di conservazione del possesso da parte di S.F. pur in mancanza di relazione materiale con il fondo.

1.1. Il motivo – in effetti articolato su tre diverse censure – è nel suo complesso infondato.

1.2. Fermo restando che in astratto effettivamente, come da giurisprudenza pacifica (v. recentemente Cass. n. 6835 del 16/03/2017), l’omessa pronuncia su un motivo di appello può integrare la violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine ai profili a) e b) di cui innanzi, relativi entrambi a presunte omissioni di pronuncia su motivi d’appello con cui si contestavano opzioni discrezionali del giudice di prime cure circa le valutazioni di attendibilità dei testimoni, la corte territoriale è non già incorsa nel predetto error in procedendo, bensì ha dichiarato assorbito l’esame della relativa questione, insita nei due motivi cennati (v. il passaggio testuale “anche a prescindere dalla questione concernente l’attendibilità dei testi”, cui segue per completezza il richiamo delle argomentazioni del tribunale, pur non riesaminate); a tal fine, la corte d’appello ha ritenuto sufficienti ai fini della decisione argomentazioni basate sulla valenza probatoria della documentazione (esistenza dell’usufrutto e dichiarazioni a fini amministrativi) e sull’interrogatorio formale.

1.3. E’ in proposito ferma la giurisprudenza di questa corte (v. ad es. Cass. n. 1360 del 26/01/2016) nel senso che il vizio d’omessa pronuncia, configurabile allorchè manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, deve essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione (nel caso di specie esistente), in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza.

1.4. Quanto al profilo sub c), relativo alla presunta omissione di pronuncia su motivo d’appello attinente all’asseritamente erronea valutazione di conservazione del possesso da parte di S.F., pur in mancanza di relazione materiale con il fondo, valgono mutatis mutandis le considerazioni sopra svolte, trattandosi stavolta non già di assorbimento bensì di reiezione implicita del motivo d’appello, incompatibile con le statuizioni – come sopra riportate – assertive del possesso, almeno fino al 1993, dei genitori delle parti, quali usufruttuari.

2. Con il secondo e con il terzo motivo il ricorrente deduce omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio lamentando, quanto all’uno, il “difetto di una motivazione adeguata” in ordine alla trattazione da parte della corte d’appello del terzo motivo di gravame, concernente l’apprezzamento delle risultanze dell’interrogatorio formale, quanto all’altro, in relazione al quarto motivo di appello, l’asseritannente erronea esclusione della configurabilità di un possesso ad usucapionem “automaticamente… sulla base della semplice esistenza su di un bene di una riserva di usufrutto” (rectius, di un usufrutto).

2.1. I motivi sono inammissibili. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ai procedimenti in cui le sentenze impugnate sono state depositate dopo l’11:settembre 2012, il motivo di ricorso per “omesso esame”, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve indicare; oltre al “fatto storico” il cui esame sarebbe stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque presoò in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

2.2. Ciò posto, non è chi non veda come i motivi facciano riferimento solo parzialmente a fatti storici (il cui esame non viene peraltro dedotto come omesso), facendo per il resto riferimento a profili valutativi di fatti; poichè i fatti storici effettivi (le situazioni di fatto di disponibilità del fondo) alla base della vicenda processuale risultano pacificamente valutati nella sentenza impugnata, non potrebbe versarsi in una fattispecie di “omesso esame”. Come è consegueniiale al rilievo precedente, i motivi comunque non indicano i “dati”, testuali o extratestuali, da cui i fatti asseritamente pretermessi risultino esistenti (proprio perchè esaminati), nè per taluni prcfili vi è specifica indicazione del “come” e “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale. I motivi, poi, richiamano in massima parte le risultanze istruttorie; va dunque solo ribadito al riguardo, confermandosi l’inammissibilità, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. giurisprudenza cit.).

3. Con il quarto motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1158 e 1165 c.c.. Si assume che la dichiarazione congiunta sottoscritta dalle parti nel 1993 sarebbe stata erroneamente apprezzata dalla corte territoriale quale elemento di prova dell’insussistenza del possesso del fondo in capo al ricorrente, posta la tassatività degli atti interruttivi dell’usucapione.

3.1. Il motivo è inammissibile. Con esso, il ricorrente non specifica in quale parte la sentenza impugnata avrebbe qualificato la dichiarazione in questione quale atto interruttivo dell’usucapione ai sensi dell’art. 1167 c.c.. Solo per completezza, può rilevarsi che risulta piuttosto dalla lettura della sentenza che la corte d’appello, lungi dall’affermare un qualsiasi possesso del ricorrente suscettibile di interruzione, ha inserito la valutazione del documento in un più ampio coacervo di risultanze probatorie precostituite (atto di divisione e, appunto, dichiarazione in questione) e costituende (interrogatorio formale e prova per testi: per quest’ultima in particolare pp. 8-11 della sentenza) ritenute idonee a sorreggere l’esclusione del sussistere di un siffatto possesso utile all’usucapione.

4. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ritenendo ingiusta la condanna alle spese. per soccombenza pronunciata dalla corte d’appello e invocando (p. 25 del ricorso) una compensazione, stante l’errore contenuto nella prima sentenza della corte territoriale, che aveva imposto al ricorrente il precedente ricorso per cassazione che lo aveva visto vittorioso.

4.1. Il motivo è infondato. Invero – ciò di cui peraltro la stessa parte ricorrente si mostra consapevole (v. p.”24-25 del ricorso) – il criterio della soccombenza, al fine. di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole, anche ottenendo la correzione di valutazioni in fatto o in diritto operate da giudici dei precedenti procedimenti (v. ad es. Cass. n. 6369 del 13/03/2013). Tale criterio unitario e globale – come specificato ad es. da Cass. n. 15787 del 14/12/2000 e n. 20289 del 09/10/2015 – trova applicazione anche nel caso in cui il giudizio venga definito in sede di rinvio a seguito di cassazione pronunciata su ricorso della parte che, vittoriosa in sede di legittimità, infine rimane soccombente.

5. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.000 per compensi, oltre

spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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