Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25047 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. un., 07/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25047

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Presidente aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente aggiunto –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2005-2016 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PORTA

PINCIANA 6, presso lo studio dell’avvocato BENIAMINO CARAVITA DI

TORITTO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIO

BRUTO GAGGIOLI SANTINI ed ALBERTO ZITO, per delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 44,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CORBYONS, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati MARIO RAMPINI e ROBERTO BALDONI,

per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

AGES EX – AGENZIA AUTONOMA GESTIONE ALBO SEGRETARI COMUNALI E

PROVINCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

e contro

REGIONE UMBRIA, UFFICIO CENTRALE REGIONALE, UFFICIO UNICO

CIRCOSCRIZIONALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5720/2015 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 17/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

dell’11/10/2016 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

uditi gli avvocati Beniamino CARAVITA DI TORITTO, Mario Bruto

GAGGIOLI SANTINI e Mario RAMPINI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.C., prima dei non eletti del “Partito democratico” alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale dell’Umbria tenutesi nei giorni 9 e 10 giugno 2015, impugnava davanti al TAR Umbria la proclamazione a consigliere di B.G., candidato per la lista “Umbria più uguale Sinistra ecologia e libertà – La sinistra per l’Umbria”, facente parte della medesima coalizione collegata al candidato presidente risultato eletto: d.ssa Ca..

Secondo la ricorrente il seggio in consiglio era stato illegittimamente attribuito al controinteressato, la lista del quale non aveva raggiunto la soglia di sbarramento del 2,5% dei “voti validamente espressi nell’intera circoscrizione” L. n. 108 del 1968, ex art. 15, comma 6, (“Norme per la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale”), come modificato dalla L.R. 14 L.R. Umbria n. 4 del 2015 (Modificazioni ed integrazioni alla L.R. 4 gennaio 2010, n. 2 norme per l’elezione del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale), non potendo quindi la medesima lista concorrere al riparto dei seggi consiliari spettanti alla coalizione di maggioranza.

Il TAR adito, con sentenza 458/15, accoglieva il ricorso, statuendo che per voti espressi nell’intera circoscrizione regionale dovevano intendersi anche i “voti assegnati solamente ai candidati alla presidenza della Giunta”. Su questa premessa, rilevato che la cifra elettorale della lista “Umbria più uguale Sinistra ecologia e libertà – La sinistra per l’Umbria”, pari a 9.009 voti, si attestava al di sotto della soglia di sbarramento (il 2,5% dei 373.679 voti complessivamente espressi era infatti pari a 9.342), il giudice di primo grado procedeva a correggere conseguentemente il risultato elettorale, proclamando alla carica di consigliere regionale la ricorrente in sostituzione del B..

Quest’ultimo proponeva appello, al quale resisteva la C..

Si costituivano in giudizio anche gli uffici del procedimento elettorale (centrale regionale e unico circoscrizionale) per chiedere la conferma della statuizione del giudice di primo grado con cui era stato riconosciuto il loro difetto di legittimazione passiva.

Il Consiglio di Stato,con sentenza 5720/15, ha rigettato l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il B. sulla base di due motivi, illustrati con memoria,cui resiste con controricorso la C..

Si è costituita in giudizio l’AGES ex (Agenzia autonoma gestione albi segretari comunali e provinciali).

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i due articolati motivi di ricorso il B. prospetta l’eccesso di potere giurisdizionale sotto diversi profili.

In particolare, lamenta che il giudice amministrativo avrebbe dato prevalenza al dato letterale della norma rispetto alla ratio legis ad essa sottesa, in violazione dell’art. 12 preleggi, per cui il Consiglio di Stato avrebbe creato una norma nuova ed in precedenza inesistente dando luogo ad un diniego di giustizia. Inoltre deduce la violazione dei principi costituzionali ed in particolare quelli posti a tutela delle minoranze per cui si duole altresì del fatto che non sia stata sollevata questione di costituzionalità sul punto.

2. Il ricorso è infondato sotto entrambi i profili evidenziati nei due motivi che lo compongono.

E’ principio consolidato quello secondo cui in tema di limiti al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è figura di rilievo meramente teorico, in quanto postulando che il giudice applichi, non la norma esistente, ma una norma da lui creata – potrebbe ipotizzarsi solo a condizione di poter individuare, in luogo di una attività interpretativa avente funzione meramente euristica, un’attività di produzione normativa inammissibilmente esercitata dal giudice in quanto creativa della volontà della legge nel caso concreto (Cass. Sez. un., 24175/04; Cass. Sez. un. 11091/03).

In tal senso l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora si possa affermare che il giudice abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, ponendo in essere un’attività di produzione normativa che non gli compete. Nulla di tutto ciò sussiste, invece, quando il medesimo giudice si sia attenuto al compito d’interpretazione che gli è proprio, ricercando nell’ordinamento gli elementi da cui desumere la volontà della legge applicabile nel caso concreto (Cass. Sez. un 20698/13; Cass. Sez. un. n. 11347/13; Cass. Sez. un. 22784/12: Cass. Sez. un 21 novembre 2011, n. 24411; Cass Sez. un., 28 gennaio 2011, n. 2068; Cass. Sez. un., 30 dicembre 2004, n. 24175; Cass. Sez. un., 15 luglio 2003, n. 11091).

Nel caso in esame l’assunto secondo il quale il giudice amministrativo avrebbe invaso la sfera di attribuzioni proprie del legislatore, creando una norma di nuovo conio laddove nessuna corrispondente disposizioni di legge sussisterebbe, non trova riscontro alcuno nella motivazione dell’impugnata sentenza, il Consiglio di Stato, infatti, come già ricordato nell’esposizione del fatto, ha ancorato la propria decisione all’esegesi di norme ben presenti nell’ordinamento.

In particolare, va premesso che oggetto della controversia era l’attribuzione o meno alla lista “Umbria più uguale SEL”, e quindi per quest’ultima al ricorrente, di un seggio degli undici conquistati dalla coalizione “PD – Umbria più uguale SEL” di cui dieci erano già stati attribuiti al Partito democratico.

La questione su cui si è pronunciato il Consiglio di Stato riguarda determinazione della cifra elettorale spettante alla lista “Umbria più uguale Sel”.

La sentenza impugnata ha in primo luogo ricostruito il sistema normativo rilevando che ” la cifra elettorale di ciascuna coalizione di liste regionali (o di liste non riunite in coalizione) è data “dalla somma dei voti conseguiti dalle liste collegate allo stesso candidato alla presidenza della Giunta regionale, anche in forza di quanto stabilito dall’art. 11, comma 3, lett. a) “, e cioè, per effetto di quest’ultimo inciso, in virtù del meccanismo di “estensione” del voto attribuito al candidato Presidente (L. n. 108 del 1968, art. 15, comma 3, lett. a), terzo periodo).

La sentenza ha poi rilevato che la cifra elettorale di lista è invece data “dalla somma dei voti di lista validi (..) ottenuti da ciascuna lista nelle singole sezioni della circoscrizione regionale” (art. 15, comma 3, lett. a), secondo periodo)”.

Per quanto riguarda la ripartizione dei seggi tra le varie coalizioni, il Consiglio di Stato, nel ricostruire il sistema, ha osservato che “dopo la proclamazione a presidente della giunta del candidato che ha riportato il “maggior numero di voti validi”, deve essere operato il “riparto dei seggi tra le coalizioni di liste regionali e le liste non riunite in coalizione in base alle rispettive cifre elettorali”, specificandosi che tali cifre sono “comprensive degli eventuali voti assegnati solamente al candidato alla presidenza della Giunta” (art. 15, comma 5, lett. b), secondo periodo)”.

Effettuata tale operazione – continua la sentenza impugnata – “si procede alla ripartizione dei seggi all’interno delle varie coalizioni di liste collegate si aggiunge che, ferme rimanendo le cifre elettorali delle liste regionali ai fini del riparto “esterno” tra liste o coalizioni di liste, al riparto interno “partecipano solamente le liste la cui cifra elettorale espressa in termini di voti validi nell’intera circoscrizione regionale sia pari o superiore al 2,5 per cento dei voti validamente espressi nell’intera circoscrizione”.

Così ricostruito il sistema elettorale, il Consiglio di Stato ha proceduto alla sua interpretazione e per prima cosa si è incentrato proprio sui rilievi sollevati dall’odierno ricorrente in ordine alla finalità del complesso sistema elettorale umbro “di garantire una equilibrata rappresentanza delle varie forze politiche in particolare attraverso correzioni di minoranza per il riparto esterno ed interno dei seggi.” A tale proposito ha osservato che “sovviene in particolare la duplice nozione di cifra elettorale: quella di coalizione da un lato e quella di lista dall’altro, su cui si imperniano gran parte degli assunti del dott. B.. Come sopra rilevato, questa distinzione è tracciata dal citato art. 15, comma 3, lett. a), ed è basata sul computo, nel solo primo caso, dei voti espressi nei confronti del solo candida presidente. Nel secondo caso si fa infatti riferimento alla cifra di lista, senza l’ulteriore specificazione che in essa è compresa la cifra elettorale “conseguita da ciascun candidato alla presidenza della Giunta regionale”.

Dunque la sentenza impugnata si è fatta carico di esaminare la ratio legis nell’ambito della interpretazione del sistema normativo elettorale umbro ritenendo che proprio le norme che si andavano ad applicare nel loro significato letterale davano applicazione alla “protezione delle minoranze”.

La sentenza impugnata peraltro, oltre ad avere dato conto della ratio legis e della interpretazione letterale del testo normativo, ha proceduto anche ad una interpretazione logico sistematica osservando che “E’ infatti evidente che per stabilire la cifra elettorale di coalizione si debba tenere conto dei voti assegnati solamente al candidato alla presidenza, perchè nella determinazione dei rapporti di forza tra forze politiche manifestatasi nell’appoggio al candidato più suffragato, nell’ambito di un sistema elettorale che attribuisce a quest’ultimo un’investitura popolare diretta”……. “Sempre nella medesima linea, è del pari evidente che i rapporti di forza interni alla coalizione, rilevanti ai fini del riparto a valle di quello tra opposte coalizioni, debbano essere misurati esclusivamente dai voti direttamente espressi a favore delle liste che di essa fanno parte, mentre i voti espressi al solo candidato, ma ope legis estesi alla coalizione in virtù dell’art. 11 bis, comma 3, lett. a), ora citato, hanno una connotazione del tutto neutra”.

Da quanto fin qui esposto risulta di tutta evidenza che il Consiglio di Stato si è strettamente attenuto ai canoni di interpretazione della norma giuridica esaminandone dapprima la ratio legis e successivamente il suo tenore letterale in un contesto altresì di carattere logico sistematico.

Nessuna creazione di carattere normativo si è dunque nel caso di specie verificata.

3. Resta da dire del mancato sollevamento della questione di costituzionalità della norma posta alla base della decisione.

E’ di tutta evidenza che tale circostanza esorbita del tutto dall’eccesso di potere giurisdizionale poichè trattasi di valutazione che non comporta in nessun caso la creazione di una nuova norma ma al contrario proprio l’applicazione della norma esistente.

4.Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile.

Segue al rigetto la condanna al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 5000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge e spese forfettarie.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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