Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25045 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/10/2017, (ud. 27/06/2017, dep.23/10/2017),  n. 25045

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18336/2016 proposto da:

D.A.A., elettivamente domiciliato in ROMA Piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANANTONIO TESTA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 93/34/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE, di MILANO, depositata il 13/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/06/2017 dal Consigliere Dott. LUCA SOLAINI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso in Cassazione affidato a due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, nei cui confronti l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, il contribuente impugnava la sentenza della CTR della Lombardia, in tema di accertamento sintetico del reddito, per una maggiore capacità contributiva accertata dall’ufficio in ragione del possesso di una serie di beni indice, lamentando la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, sul medesimo profilo di censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto erroneamente i giudici d’appello avrebbero ritenuto che le maggiori disponibilità documentate dal contribuente non potessero fare riferimento all’intero nucleo familiare e soprattutto dovessero essere correlate proprio per il sostenimento delle spese di mantenimento o per gli incrementi patrimoniali contestati dall’amministrazione finanziaria, attraverso il redditometro.

Il Collegio ha deliberato di adottare la presente decisione in forma semplificata.

La complessiva censura è infondata.

E’, infatti, insegnamento di questa Corte che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38,comma 6, nella versione vigente ratione temporis, non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta” (Sez. 5, Sentenza n. 25104 del 26/11/2014, Cass. ord. n. 22944/15).

Nel caso di specie, il contribuente non risulta aver provato il collegamento tra la disponibilità finanziaria costituita da redditi esenti o già tassati e il possesso dei beni-indice che gli sono stati contestati dall’ufficio perchè incompatibili con le disponibilità dichiarate, con particolare riguardo alla durata del predetto possesso fino agli anni in contestazione; in particolare, i proventi della vendita del 2001 non appare giustificare le disponibilità del periodo 2006-2007.

Inoltre, la motivazione della sentenza rispetta il parametro del “minimo costituzionale” (Cass. sez. un. n. 8053/14), in quanto, da una parte, i giudici d’appello hanno valutato il lungo lasso di tempo intercorso fra il 2001, quando il contribuente aveva acquisito una certa disponibilità economica e il 2007, quando ha dimostrato una rilevante capacità di spesa e, dall’altra, la mancanza degli elementi probatori sulla riferibilità delle somme approvvigionate nel suddetto atto di cessione d’azienda e le spese oggetto d’accertamento, così correttamente applicando i principi giurisprudenziali regolatori della materia; pertanto, sulla base di tali elementi, i giudici d’appello hanno evidenziato il mancato collegamento tra la spesa dimostrata e le risorse disponibili.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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