Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25045 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 09/11/2020), n.25045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28231-2016 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’Avvocato PAOLO PANARITI, rappresentata e

difesa dall’Avvocato NICOLA ZARI;

– ricorrente –

contro

CENTRO CASA NELLI ELETTRONICA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BRUNO BUOZZI 59, presso lo studio dell’Avvocato STEFANO GIORGIO,

rappresentata e difesa dall’Avvocato ANDREA ONESTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 544/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 09/06/2016 R.G.N. 200/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con la sentenza n. 544 del 2016 la Corte di appello di Firenze ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, pubblicata il 21.1.2016, con la quale erano state respinte le domande, proposte da C.F. nei confronti del Centro Casa Nelli Elettronica srl, dirette ad ottenere: a) l’accertamento dell’esistenza inter partes di un rapporto di lavoro subordinato dall’1.9.2004 al 30.8.2005 e la condanna della società a corrisponderle, eventualmente ex art. 36 Cost. e ex art. 2126 c.c., l’importo di Euro 13.754,70 a titolo di differenze tra il trattamento retributivo asseritamente dovuto in relazione alla attività di impiegata amministrativa e addetta alle vendite, comunque riconducibile al IV livello del CCNL terziario, da lei svolta, e gli importi effettivamente ricevuti, oltre all’indennità sostitutiva del preavviso, dovuta per essersi dimessa in conseguenza del diniego della datrice di lavoro di regolarizzare la sua posizione assicurativa.; b) la condanna della società alla corresponsione della stessa somma ex art. 2041 c.c..

2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno evidenziato che, in un contesto in cui la compagine sociale era all’epoca dei fatti composta integralmente dai familiari della C., quest’ultima non aveva assolto agli oneri di allegazione e prova circa la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata intercorso tra le parti. Inoltre, hanno sottolineato che, sebbene il primo giudice non avesse esaminato la domanda svolta ex art. 2041 c.c., essa era comunque infondata perchè, indimostrato il vincolo di subordinazione, la prestazione lavorativa svolta trovava di necessità il suo legittimo titolo nel legame sociale, così che la relativa remunerazione restava soggetta alla disciplina di quel rapporto e la C., in difetto di ulteriori accordi, era pertanto creditrice esclusivamente degli utili, ove esistenti, dei quali in causa non vi era questione. Quanto alle spese di lite, la Corte di merito ha precisato che, in ordine a quelle di primo grado, non vi erano gravi ed eccezionali ragioni di compensazione; in relazione a quelle di secondo grado, andava applicato il criterio della soccombenza.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione C.F. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso Centro Casa Nelli Elettronica srl in liquidazione.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione, da parte della Corte di appello, dell’art. 2041 c.c. in ordine alle richieste formulate in via subordinata, evidenziando l’erroneità dell’assunto della gravata sentenza in quanto, perchè vi sia il diritto all’indennizzo dell’opera prestata da un lavoratore, non era necessario che vi fossero degli accordi sociali ad hoc e perchè il diritto agli utili nasceva in conseguenza dell’essere socio mentre quello ex art. 2041 c.c. nasceva in conseguenza di un indebito arricchimento della controparte e spettava in tali limiti, sicchè escludere l’azione ex art. 2041 c.c. perchè titolari di un eventuale diritto agli utili non era supportato da alcun riferimento normativo. Deduce, altresì, di non avere mai beneficiato di un maggiore incremento dell’utile, che anzi da svariati anni non veniva più diviso tra i soci e che parte datoriale nulla aveva allegato al fine di dimostrare la dazione di un maggior utile o la presenza di un accordo secondo cui la C. avrebbe prestato la propria opera a titolo gratuito.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per errata o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. nonchè dell’art. 92 c.p.c., in relazione alla condanna alle spese legali anche del giudizio di 1 grado, confermata in appello, nonostante la Corte territoriale avesse accolto il motivo di gravame di omessa pronuncia su una domanda svolta in prime cure.

4. Il primo motivo non è meritevole di accoglimento sia pure con le integrazioni motivazionali che seguono.

5. Invero, sebbene in astratto possa ipotizzarsi che, qualora il socio di una società di capitale abbia prestato senza corrispettivo la propria attività professionale a favore della società stessa, sia configurabile l’arricchimento senza giusta causa di essa, per l’incremento patrimoniale derivante dalla mancata spesa, con corrispondente danno per il socio (Cass. n. 5616 del 1981), tuttavia occorre pur sempre, ai fini di determinare la misura del richiesto ristoro, che sia evidenziato se e in che misura il vantaggio della società si sia risolto in concreto in un incremento economico per il socio, a titolo di maggiori utili, influendo indirettamente sulla diminuzione patrimoniale subita dal socio e, quindi, sull’indennità a lui spettante ex art. 2041 c.c..

6. La Corte territoriale, in una situazione in cui la C. aveva già percepito un compenso per l’opera svolta, ha comunque rilevato un difetto di allegazione e di prova in ordine ai fatti costitutivi della pretesa azionata (remunerazione della prestazione dedotta in causa, carattere obbligatorio e corrispettivo delle erogazioni, modalità dei pagamenti e individuazione di chi li avrebbe dovuti materialmente eseguiti) i quali, se ritenuti generici nella loro esposizione ai fini di dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro di natura subordinata, lo erano ancora di più in ordine alla formulata domanda subordinata di arricchimento senza giusta causa ex art. 2041 c.c., mancando gli elementi, sopra indicati, dalla giurisprudenza di legittimità per valutarne la fondatezza.

7. Anche il secondo motivo è infondato.

8. In punto di diritto deve evidenziarsi che un problema di violazione dell’art. 91 c.p.c., relativamente al principio della soccombenza, si ha solo se la parte interamente vittoriosa sia stata condannata, anche per una minima quota delle spese di lite (Cass. n. 4201 del 2002; Cass. n. 406 del 2008).

9. Inoltre, va osservato che, in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all’esito finale della lite, sicchè è totalmente vittoriosa la parte nei cui confronti la domanda avversaria sia stata totalmente respinta, a nulla rilevando che siano state disattese eccezioni di carattere processuale o anche di merito (cfr. Cass. n. 18503 del 2014). Analogo principio è stato affermato in tema di raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (cfr. Cass. n. 12103 del 2018), naturalmente al fine della sola verifica dei presupposti processuali di competenza dell’autorità giurisdizionale, come statuito da ultimo dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 4315 del 2020).

10. Infine, deve considerarsi che la soccombenza reciproca può giustificare la compensazione delle spese giudiziali e il suo apprezzamento è rimesso al giudice del merito con valutazione non sindacabile in cassazione (ex plurimis Cass. n. 30592 del 2017).

11. La Corte di appello, pertanto, non violando i suddetti principi, ha condannato la C., che comunque aveva visto respinte le sue pretese, al pagamento delle spese del grado e ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti, da intendersi sotto il profilo processuale, per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

12. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

13. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

14. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

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