Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25045 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. un., 07/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25045

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Primo Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Presidente aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente aggiunto –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4585-2013 proposto da:

TODINI COSTRUZIONI GENERALI S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio degli avvocati FEDERICA IANNOTTA e

GREGORIO IANNOTTA, che la rappresentano e difendono, per delega in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ALTAREA SCA (già Altarea sa), ALTAREA ITALIA S.R.L., in persona dei

rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA FLAMINIA 318, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO FIORAVANTI, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCESCO RUFFINO, per deleghe in calce al

ricorso successivo;

– ricorrenti successivi –

contro

F.P., L.M., V.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio

dell’avvocato PASQUALE FRISINA, che li rappresenta e difende, per

deleghe in calce ai controricorsi;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA depositata il

10/09/2012 – r.g.v.g. n. 50941/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

uditi gli avvocati Gregorio IANNOTTA, Fabrizio FIORAVANTI e Caterina

MERCURIO per delega dell’avvocato Pasquale Frisina;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IACOVIELLO

Francesco Mauro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

e rimessione alla Sezione semplice per l’ulteriore corso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma, con ordinanza depositata il 10.9.12, ha parzialmente accolto il reclamo, ex art. 814 c.p.c., comma 3, e art. 825 c.p.c., avverso il decreto di liquidazione delle competenze arbitrali compiuta dal Presidente del Tribunale della stessa città, riducendo la somma liquidata dal primo in favore degli arbitri L.M., V.S. e F.P. e posta a carico solidale delle parti del giudizio arbitrale ripartita tra di esse nella misura di 2/3 a carico della Todini Costruzioni Generali SpA e di 1/3 a carico di Altarea sca, società di diritto francese, e Altarea Italia srl, con compensazione delle spese del procedimento.

La Corte territoriale ha affermato,in particolare, che l’abrogazione delle tariffe forensi, ad opera del D.L. n. 1 del 2012, in attesa del decreto attuativo ex art. 9 detto Decreto, non impediva di servirsi di quelle, come strumento equitativo per valutare l’adeguatezza del compenso liquidato agli arbitri, ancor più perchè questi formavano un collegio misto, e senza che potesse rilevare, in quella sede, l’asserita inesistenza o nullità dell’attività arbitrale.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la società Todini Costruzioni Generali SpA, con due mezzi articolati sulla premessa di una rimeditazione, da parte di questa Corte, dell’ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost.

Contro tale ricorso hanno resistito, con controricorso, gli arbitri L.M., V.S. e F.P..

Hanno altresì proposto “controricorso” le società condebitrici Altarea sca e Altarea Italia srl, chiedendo la cassazione del provvedimento impugnato.

Avverso tale “controricorso” hanno resistito, con controricorso, i predetti arbitri.

Sono state depositate memorie dalla Todini spa e dagli arbitri resistenti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va osservato che la Prima Sezione civile di questa Corte ha ritenuto che il controricorso delle società Altarea dovesse essere qualificato come ricorso per cassazione, avendo con esso le “società controricorrenti” richiesto la cassazione del provvedimento impugnato. Ha osservato a tale proposito che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che “un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 in relazione agli artt. 365, 366 e 369 c.p.c. ed in particolare, la richiesta – anche implicita – di cassazione della sentenza specificatamente prevista dall’art. 366 c.p.c., n. 4…”.

Ha quindi proceduto a qualificare il ricorso in esame come incidentale disponendone la riunione con quello principale.

Queste Sezioni Unite fanno propria la decisione su tale punto della Prima Sezione che appare conforme all’orientamento già espresso da questa Corte.

2. Ciò posto, con il primo motivo di ricorso si contesta che la Corte d’appello abbia considerato non applicabili le tariffe forensi di cui al D.M. n. 127 del 2004, nonostante il D.L. n. 1 del 2012 e il D.M. n. 140 del 2012, art. 41 avessero escluso l’applicazione di quest’ultimo ai procedimenti giudiziari già conclusi prima della entrata in vigore del decreto di soppressione delle tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004.

Con il secondo motivo lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto che il valore della controversia dovesse stabilirsi sulla base della domanda (620 milioni di Euro) anzichè di quanto effettivamente accertato in giudizio (10 milioni di Euro).

Con l’unico motivo di ricorso incidentale le società Altarea lamentano anch’esse l’erronea determinazione dei compensi agli arbitri in quanto le tariffe forensi non risultavano applicabili, stante la composizione mista del collegio arbitrale in cui uno dei componenti non era avvocato, per cui si sarebbe comunque dovuto far riferimento eventualmente anche a quelle di altri ordini professionali e comunque applicando principi generali di equità attinenti alla fattispecie quali il pregio e l’importanza dell’opera svolta, la complessità del giudizio ed il valore della controversia nella specie non applicati correttamente.

3. La prima questione da esaminare è quella sollevata dai controricorrenti arbitri concernente l’ammissibilità o meno del ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento di liquidazione del compenso agli arbitri.

Si rammenta a questo proposito che queste Sezioni Unite (Sez. U., 03/07/2009, nn. 15586 e 15592) hanno in un primo momento ritenuto che il procedimento di cui all’art. 814 c.p.c. (nella formulazione anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006) previsto per la liquidazione del compenso agli arbitri svolge “una funzione giurisdizionale non contenziosa” che si conclude con una ordinanza di natura essenzialmente privatistica, perciò carente di vocazione al giudicato ed insuscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7.

Tale orientamento è stato confermato successivamente da Sez. U., 31/07/2012, n. 13620, seppure con un diverso ordine di considerazioni, “attinenti all’esigenza di assicurare un sufficiente grado di stabilità agli indirizzi giurisprudenziali formatisi riguardo all’interpretazione di norme che, come l’art. 814 c.p.c., presentano in proposito margini di opinabilità”.

Tale orientamento interpretativo richiede una necessaria rivisitazione alla luce della intervenuta modifica della disciplina normativa in materia di arbitrato come introdotta dalla novella di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, con particolare riferimento agli artt. 814 e 825 c.p.c. apparendo ormai superato il tradizionale enunciato secondo cui l’arbitrato è sempre atto di autonomia privata.

Invero le stesse Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 25/10/2013, n. 24153) hanno recentemente affermato, in materia di arbitrato estero e in via più generale – attraverso una rivisitazione della natura stessa dell’istituto -, la compiuta giurisdizionalizzazione dell’arbitrato a seguito della novella recata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, operando un consapevole “overruling” dei profili processuali. A tale proposito è stato altresì successivamente affermato che “l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione”(Cass Sez. U. 06/11/2014, n. 23675).

Queste Sezioni Unite ritengono di doversi conformare al più recente orientamento espresso dalle appena citate sentenze che trova il proprio fondamento sulle disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n 40, da cui si desume con ogni evidenza la natura giurisdizionale dell’arbitrato.

Il provvedimento, dunque, della Corte d’appello di Roma che ha accolto parzialmente il reclamo avverso il provvedimento di liquidazione delle competenze arbitrali effettuato dal presidente del tribunale di Roma deve ritenersi a tutti gli effetti un provvedimento giurisdizionale.

Ciò posto, al fine di esaminarne la ricorribilità con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., occorre valutare se ricorrono i due requisiti della decisorietà e della definitività. Come è noto i caratteri di definitività e decisorietà del provvedimento (al di là della forma adottata di ordinanza o decreto) che comportano l’efficacia di giudicato, si ravvisano quando la decisione incide su situazioni soggettive di natura sostanziale, senza che ne sia possibile la revoca o la modifica attraverso l’esperimento di alcun altro rimedio giurisdizionale. Nel caso di specie, oggetto della controversia è la determinazione del compenso per lo svolgimento di una attività quale quella di arbitri svolta da professionisti qualificati che va necessariamente qualificata come professionale.

Non pare pertanto seriamente contestabile che il riconoscimento e la determinazione di un compenso per l’attività svolta investa una controversia su diritti soggettivi.

A tale proposito è appena il caso di rammentare analoghi procedimenti per la liquidazione di altre prestazioni professionali riguardo ai quali la giurisprudenza è costante nel riconoscerne carattere contenzioso e per i quali è perciò consentito l’accesso in cassazione.

In primo luogo, il procedimento in esame può confrontarsi con lo speciale procedimento camerale di tipo sommario previsto per la liquidazione dei diritti e degli onorari degli avvocati, che viene pacificamente considerato contenzioso perchè incidente su diritti soggettivi di credito dei professionisti, con la conseguenza che il regime delle impugnazioni segue il criterio della prevalenza della natura sostanziale del provvedimento sulla forma, consentendo l’impugnazione vuoi con il mezzo dell’appello, vuoi con quello del ricorso straordinario in cassazione (Cass Sez un 182/1999; Cass. 960/09; Cass. 1666/12; Cass. 4002/16).

In secondo luogo, può paragonarsi al procedimento di opposizione al decreto di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice, avverso il quale è ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, in virtù del rinvio al procedimento speciale per la liquidazione degli onorari di avvocato (Cass 24959/11).

Infine, può rapportarsi con i procedimenti di liquidazione dei compensi in materia fallimentare. In tale ambito, infatti, si ritiene pacificamente impugnabile con ricorso straordinario il decreto del tribunale emesso in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato di liquidazione dei compensi al difensore della procedura ovvero al consulente, in quanto connotato da un carattere definitivo (non essendo soggetto ad ulteriore impugnazione) e da un effetto decisorio incidendo su diritti soggettivi (Cass. 7782/07; Cass. 15941/07; Cass. 13482/02; Cass. 16136/11).

Nel caso di specie, inoltre, non appare possibile alcun riferimento alla disciplina di cui agli artt. 1339 e 1349 c.c. che concernono l’integrazione della volontà negoziale delle parti da parte del terzo cui queste abbiano conferito tale compito. L’art. 814 c.p.c. prevede infatti una disciplina del tutto diversa in quanto nel caso di specie è una delle parti che determina l’ammontare del compenso dovuto e non già un terzo.

Ciò del resto corrisponde al principio secondo cui è il professionista che determina la propria parcella che deve essergli corrisposta dai propri clienti o assistiti salvo poi, in caso di mancata accettazione da parte di questi ultimi, esauriti gli eventuali procedimenti interni ai vari ordini professionali, ricorrere al giudice per la determinazione.

Nessun atto di carattere negoziale interviene quindi nella fattispecie in esame non sussistendo alcun preventivo accordo tra le parti del rapporto in tal senso.

Sotto un ulteriore profilo non appare a tale proposito contestabile che le parti e gli arbitri possano direttamente ricorrere per la determinazione del compenso degli arbitri ad un ordinario processo di cognizione o ad un procedimento monitorio. Da ciò deve necessariamente concludersi che il procedimento speciale previsto dall’art. 814 c.p.c., quale via alternativa al processo ordinario, necessariamente effettua un accertamento che coinvolge diritti avendone la medesima natura giurisdizionale.

Tale natura del resto non potrebbe essere negata in ragione delle forme semplificate che lo contraddistinguono, poichè l’utilizzo di procedimenti sommari non esclude la loro funzione di risolvere una controversia tra parti contrapposte.

Quanto alla definitività, questa attiene come è noto alla mancanza di diversi rimedi impugnatori e nel caso di specie deve ritenersi che, una volta conclusosi il procedimento di reclamo innanzi alla Corte d’appello, nessuna ulteriore impugnazione sia possibile se non il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..

A ciò non osta la circostanza che, come in precedenza osservato, sussiste per gli arbitri la possibilità di sottoporre la medesima controversia in sede di giudizio ordinario in quanto tale facoltà non esclude che, se gli arbitri optano per il diverso procedimento sommario di liquidazione da parte del presidente del tribunale con possibilità di successivo reclamo innanzi alla Corte d’appello, questo secondo procedimento rivesta anch’esso carattere giurisdizionale.

Il rapporto tra i due procedimenti giudiziari resta in tal modo regolato dal principio del giudicato per cui, una volta formatosi quest’ ultimo in uno dei due giudizi, resta preclusa all’altro la possibilità di emanare pronuncia sulla stessa controversia.

4. Venendo all’esame dei due motivi del ricorso principale e di quello incidentale, gli stessi, tra loro collegati, possono essere trattati congiuntamente e gli stessi si rivelano fondati nei termini che seguono.

Si osserva in primo luogo che la Corte d’appello ha effettivamente ritenuto che le tariffe del D.M. n. 147 del 2004 fossero state abrogate.

Tale assunto è erroneo in quanto, come del resto concordemente ritenuto dalle parti in causa, il D.M. è entrato in vigore il 23.8.12 per cui, essendosi il giudizio arbitrale esaurito nell’ottobre del 2011, dovevano ancora applicarsi le tabelle dello stesso, poichè il D.L. n. 1 del 2012, art. 9 che ne aveva disposto l’abrogazione, ne aveva altresì prevista l’ultrattività fino alla entrata in vigore del decreto ministeriale attuativo e comunque non oltre 120 giorni dalla conversione del decreto legge stesso.

Nonostante la non corretta affermazione in punto di diritto, la Corte d’appello ha fatto comunque applicazione delle tabelle sotto un duplice profilo: da un lato ha ritenuto di considerare, ai sensi dell’art. 2333 c.c., le tariffe come rientranti nel novero degli usi e, quindi, applicabili come criterio equitativo; dall’altro, ha considerato le stesse applicabili sempre sotto il profilo equitativo in ragione del fatto che il collegio arbitrale era a composizione mista (due avvocati ed un dottore commercialista) onde non sussisteva comunque l’obbligo di fare applicazione della tariffa forense ma questa ben poteva essere applicata in via equitativa.

In sostanza, la decisione di pervenire ad una applicazione in via equitativa appare basata su due rationes decidendi: la prima erronea relativa alla ritenuta non applicabilità del D.M. n. 127 del 2004 e la seconda sulla composizione mista del collegio arbitrale.

Tale seconda ratio, conforme all’orientamento già espresso da questa Corte (v. Cass. 53/03), appare di per sè sufficiente a sostenere la decisione di far ricorso ad un criterio equitativo basato sul riferimento alle tabelle del citato decreto ministeriale.

Ne consegue che le censure circa il ricorso ai criteri equitativi appaiono infondati.

Resta peraltro da valutare la corretta applicazione dei predetti criteri al caso di specie in cui la determinazione degli onorari è avvenuta sulla base del valore della domanda (620 milioni di Euro) e non su quello della somma attribuita con il lodo (10 milioni di Euro) con l’attribuzione da parte del decreto impugnato agli arbitri della somma di euro due milioni e mezzo di Euro.

Ciò posto, la censura rivolta dal ricorso principale avverso il provvedimento impugnato investe la mancata applicazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, comma 1, in ragione del quale: “nella liquidazione degli onorari a carico del soccombente, il valore della causa è determinato a norma del codice di procedura civile… (omissis) nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata”.

Il ricorso incidentale prospetta la medesima questione sotto un profilo più generale sostenendo che il criterio equitativo doveva essere applicato anche nella determinazione del valore reale della controversia derivante dal suo esito anzichè su quello formale della domanda.

Tali censure appaiono fondate.

L’ordinanza impugnata,dopo avere deciso di far ricorso all’equità sulla base delle tabelle di liquidazione di cui al più volte citato D.M. n. 127 del 2004, ha poi fatto applicazione, citando giurisprudenza di questa Corte, del principio di cui all’art. 12 c.p.c. secondo cui il valore della controversia si determina in base al valore della domanda.

Invero la Corte d’appello, una volta fatta applicazione del criterio equitativo in riferimento alle tabelle del D.M. n. 147 del 2004, avrebbe dovuto attenersi alle prescrizioni di quest’ultimo non solo in riferimento alle tabelle di liquidazione ma anche ai criteri generali per la determinazione del compenso in virtù dei quali avrebbe dovuto determinare il valore della controversia in base al disposto dal D.M. 127 del 2004 e, cioè, non sulla base di quanto richiesto dalla parte ma di quanto liquidato con la decisione.

Le tabelle di liquidazione degli importi sono infatti strettamente collegate ai criteri generali di liquidazione onde non è possibile applicare in via equitativa le une prescindendo dagli altri.

In ogni caso, comunque, l’applicazione al caso di specie dell’art. 12 c.p.c., in quanto principio di diritto al di fuori del contesto di valutazione equitativa, risulta erronea perchè, una volta applicati i criteri di legge alla determinazione del valore della causa, dovevano trovare necessariamente attuazione quelli di cui all’art. 6 D.M. citato risultando esso, in ragione di quanto in precedenza detto, ancora in vigore.

6. I ricorsi vanno dunque accolti.

L’ordinanza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale e quello incidentale nei sensi di cui in motivazione, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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