Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25044 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. II, 10/10/2018, (ud. 19/04/2018, dep. 10/10/2018), n.25044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21310-2015 proposto da:

L.S.M., L.S.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ASIAGO, 1, presso studio dell’avvocato

WALTER CONDOLEO, rappresentati e difesi dall’avvocato MICHELE

MONCELLI;

– ricorrenti –

contro

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 140, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA FERRETTI,

rappresentato difeso dall’avvocato VINCENZO LIUZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 904/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2018 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito il P.M. in persona del. Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE FULVIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato FERRETTI Anna Maria, con delega orale dell’Avvocato

LUIZZI Vincenzo, difensore del resistente che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Gli eredi di L.S.P. ( M. ed A.) con ricorso notificato il 27 luglio 2015 hanno chiesto a questa Corte di Cassazione l’annullamento della sentenza n. 904 del 2014 con la quale la Corte di Appello di Bari confermava sia pure con diversa motivazione, la sentenza del Tribunale di Bari che, su domanda di risoluzione del contratto preliminare di vendita del 5 gennaio 1994, avanzata da L.S.P. (promittente venditore) nei confronti di C.A. (promissario acquirente), aveva accertato la sussistenza di una simulazione relativa (bene diverso da quello effettivamente oggetto del contratto) e il contratto dissimulato era nullo perchè voluto in frode alla legge. Secondo la Corte distrettuale, il contratto di cui si dice era nullo, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40 perchè il fabbricato, oggetto di vendita, era stato costruito senza concessione edilizia.

La cassazione della sentenza è stata chiesta per un unico motivo.

C.A. ha resistito con controricorso. All’adunanza camerale del 17 febbraio 2017 questa Corte rinviava la causa alla Pubblica Udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.= Con l’unico motivo di ricorso gli eredi di L.S. Pietro lamentano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto. I ricorrenti ritengono che la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere che alla accertata nullità del contratto non fosse ricollegabile alcuna indennità per occupazione.

1.1.= Il motivo è inammissibile per novità della domanda.

Come è noto, la nullità non produce alcun effetto in base al principio quod nullum est nullum producit effectum, e, dunque, retroagisce al momento della conclusione dell’accordo, con la conseguenza che l’occupazione dell’immobile sarebbe priva di giustificazione ab origine con tutti gli effetti derivanti dal dato temporale.

Tuttavia, va qui evidenziato che la situazione di possesso originata da un contratto preliminare di vendita nullo va, comunque, regolarizzata e, ciò sulla base delle norme che disciplinano i rapporti di fatto, prima di tutto, per la specifica determinazione dell’indennità di occupazione, in ragione delle norme sull’indebito arricchimento, ex art. 2041 c.c.. Sulla base dell’art. 2041 c.c., il proprietario avrebbe diritto ad un equo ristoro da calcolarsi per l’appunto attraverso le norme di cui agli artt. 1223, 1226 e 2056, a partire dal momento in cui ha chiesto la restituzione del bene, trasformandosi da quel momento il possesso di buona fede dello pseudo promissario acquirente, in possesso di mala fede, con la precisazione che l’indennizzo in questione, poichè ancorato all’azione generale di arricchimento senza causa, non comporterebbe alcun riconoscimento del c.d. lucro cessante non previsto per tale tipo di azione (cfr. Cass. 18785/2005).

Ora, nel caso in esame, come ha chiarito la Corte di prossimità, il promittente venditore aveva chiesto la risoluzione del contratto preliminare e il conseguente risarcimento del danno, ma non aveva, invece, chiesto, come per altro ammetterebbe lo stesso ricorrente (pag. 5 del ricorso), la restituzione del bene per nullità del contratto, nè il pagamento dell’indennità per l’occupazione del terreno sine titulo, non potendo ritenersi questa ricompresa nella richiesta di risarcimento danni, essendo le relative azioni diverse per natura ed effetti.

Pertanto, la richiesta del pagamento dell’indennità formulata in sede di appello, come emerge dalla stessa sentenza, integrava gli estremi di una domanda nuova. La stessa Corte distrettuale, avendo ritenuto che la domanda di cui si dice era nuova, ha provveduto a dichiararla inammissibile, sia pure indirettamente, cioè non esaminandola.

I ricorrenti, dunque, avrebbero dovuto, e non sembra lo abbiano fatto, censurare la declaratoria di inammissibilità della domanda o di omessa pronuncia su una specifica domanda e, non avendolo fatto, hanno formulato una censura inammissibile, fondata su un presupposto errato, cioè, ritenendo che la richiesta di indennità per occupazione del terreno sine titulo, fosse ricompresa nella domanda di risarcimento danni.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e i ricorrenti, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ. condannati in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione, che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali pari al 15% dei compensi ed oltre accessori nella misura di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile di questa Corte di Cassazione, il 19 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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