Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25043 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2011, (ud. 27/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO

PELLICO 44, presso lo studio dell’avvocato DE SIMONE ANTONIO

FERDINANDO, rappresentata e difesa dall’avvocato ARCELLA ROBERTO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FIUME DELLE

PERLE 11, presso lo studio dell’avvocato DE ANGELIS ROSSELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CIANNELLA SERGIO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, giusta

delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 13754/2007 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 04/05/2007 r.g.n. 17925/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato ARCELLA ROBERTO;

udito l’Avvocato CIANNELLA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., C. C., premesso che con ordinanza del giudice dell’esecuzione era stata disposta, in favore della ex moglie G.A., l’assegnazione nei limiti di un quinto della pensione d’invalidità Inps di cui era titolare per il pagamento degli assegni divorzi le e di mantenimento della figlia e che l’istituto aveva invece trattenuto un importo superiore e, in particolare, fino alla metà della prestazione ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 8 evocò in giudizio l’Inps avanti al Tribunale di Napoli, chiedendo che venisse dichiarata l’illegittimità della trattenuta così come operata; nel corso del giudizio venne disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della G..

Con sentenza del 19.1 – 4.5.2007 il Tribunale di Napoli in funzione di Giudice del Lavoro dichiarò l’impignorabilità della pensione de qua oltre il limite di un terzo del suo ammontare e l’illegittimità delle trattenute operate dall’Inps in misura superiore. A sostegno del decisum, per ciò che qui rileva, il Tribunale ritenne che:

– l’azione doveva qualificarsi come opposizione all’esecuzione, a seguito dell’azione esecutiva diretta intrapresa dalla ex moglie ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 8 per l’inadempimento all’obbligo di versamento degli assegni divorzile e di mantenimento della figlia;

– sussisteva la competenza del Giudice del Lavoro, posto che l’azione esecutiva riguardava il trattamento pensionistico erogato dall’Inps;

– la previsione del regime di parziale pignorabilita nei limiti della metà contenuta nella L. n. 898 del 1970, art. 8, comma 6, come modificato dalla L. n. 74 del 1987, non riguarda la prestazione pensionistica, ma solo quella retributiva, pubblica e privata;

– dalla natura prevalentemente assistenziale dell’assegno divorzile discende la sua ricomprensione nel novero dei crediti di natura alimentare per i quali a mente del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 128 e L. n. 180 del 1950, art. 2, comma 2, nella formulazione derivante dalle pronunce della Corte Costituzionale nn. 22/69, 1041/88 e 506/2002, è prevista la pignorabilità fino alla concorrenza di un terzo al netto della ritenute.

Avverso l’anzidetta sentenza G.A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi e illustrato con memoria.

C.C. ha resistito con controricorso, eccependo altresì la non impugnabilità in cassazione della sentenza di prime cure. L’Inps ha depositato procura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con riferimento all’eccezione in rito sollevata dal controricorrente C. e relativa all’applicabilità alla fattispecie dell’art. 616 c.p.c., nel testo sostituito con decorrenza dal 1 marzo 2006, dalla L. n. 52 del 2006, art. 14 che stabiliva l’inimpugnabilità delle sentenze che definiscono i giudizi di opposizione all’esecuzione, la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte ha avuto modo di precisare che, in difetto di una disciplina transitoria e di esplicite previsioni contrarie, trova applicazione il principio dell’immediata applicabilità della legge processuale, che ha riguardo soltanto agli atti processuali successivi all’entrata in vigore della legge stessa, non incidendo su quelli anteriormente compiuti, i cui effetti restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere; pertanto, alle sentenze che hanno deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del 1 marzo 2006 il regime applicabile resta quello della normale appellabilità, mentre solo quelle pubblicate successivamente sono soggette alla nuova regola della inimpugnabilità; la disposizione transitoria di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 2che ha ripristinato l’immediata appellabilità delle sentenze ex art. 616 c.p.c. è applicabile esclusivamente “ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge” (ossia 4 luglio 2009), e, nel caso in esame, a tale data il giudizio di prime cure si era ormai concluso ed era stato già notificato il ricorso per cassazione (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 994/2009; Cass., nn. 17440/2002; 20414/2006; 3688/2011). Va data continuità al suddetto indirizzo ermeneutico, non essendo state svolte argomentazioni che già non siano state scrutinate dalla ricordata giurisprudenza di legittimità; l’eccezione all’esame va pertanto disattesa.

2. Con il primo motivo, denunciando violazione degli art. 70 c.p.c., n. 2, artt. 50 bis, 737, 738 e 739 c.p.c. e nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la ricorrente assume la natura “matrimoniale” (ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9) della presente controversia, l’applicabilità del rito camerale, la competenza collegiale e l’obbligatorietà dell’intervento del pubblico ministero.

2.1 La controversia che ne occupa non è relativa “alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli artt. 5 e 6” (secondo il dettato della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1), ma, giusta quanto già esposto nello storico di lite, concerne l’ammontare della percentuale della pensione Inps che può essere versata direttamente al coniuge divorziato; si tratta quindi non già di una causa “matrimoniale”, non essendo in discussione l’ammontare degli assegni fissati a favore dell’ex coniuge e della figlia dell’originario ricorrente, ma di una controversia derivante dall’applicazione di norme relative a forme di previdenza e assistenza obbligatorie e quindi attinente alle prestazioni erogate dall’ente previdenziale, per (e quali, a mente dell’art. 442 c.p.c., è prevista la competenza del Giudice del lavoro.

Il motivo all’esame non può pertanto essere accolto.

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione della L. n. 898 del 1970, art. 8, L. n. 180 del 1950, artt. 1 e 2, artt. 3 e 29 Cost., nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), deducendo l’applicabilità alla fattispecie del ridetto L. n. 898 del 1970, art. 8, coma 6 siccome riferibile non soltanto ai crediti di natura retributiva, ma anche a quelli pensionistici, con conseguente possibilità di versamento fino alla metà delle somme dovute al coniuge obbligato.

3.1 la L. n. 898 del 1970, art. 8 e successive modificazioni prevede, per quanto qui di rilievo, che:

“Il coniuge cui spetta la corresponsione periodica dell’assegno, dopo la costituzione in mora a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento del coniuge obbligato e inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento in cui è stabilita la misura dell’assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato con l’invito a versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al coniuge inadempiente” (comma 3);

“Lo Stato e gli altri enti indicati nell’art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nonchè gli altri enti datori di lavoro cui sia stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell’assegno e l’invito a pagare direttamente al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest’ultimo oltre la metà delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti accessorI (comma 6). Il D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1, comma 1 e successive modificazioni e integrazioni, prevede a sua volta che “Non possono essere sequestrati, pignorati o ceduti, salve le eccezioni stabilite nei seguenti articoli ed in altre disposizioni di legge, gli stipendi, i salari, le paghe, le mercedi, gli assegni, le gratificazioni, le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie che lo Stato, le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e qualsiasi altro ente od istituto pubblico sottoposto a tutela, od anche a sola vigilanza dell’amministrazione pubblica (comprese le aziende autonome per i servizi pubblici municipalizzati) e te imprese concessionarie di un servizio pubblico di comunicazioni o di trasporto nonchè le aziende private corrispondono ai loro impiegati, salariati e pensionati ed a qualunque altra persona, per effetto ed in conseguenza dell’opera prestata nei servizi da essi dipendenti. Fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro e del relativo rapporto previdenziale, i trattamenti di fine servizio (indennità di buona uscita, indennità di anzianità, indennità premio di servizio) non possono essere ceduti; l’inciso “ed in altre disposizioni di legge” è stato aggiunto dal D.L. n. 35 del 2005, art. 13 bis convertito, con modificazioni, in L. n. 80 del 2005;

l’inciso “nonchè le aziende private” è stato inserito dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 137; l’ultimo periodo, da “Fino alla data…” a “ceduti”, è stato aggiunto al D.L. n. 225 del 2010, art. 2, comma 49, convertito, con modificazioni, in L. n. 10 del 2011.

3.2 Non può dubitarsi – in linea, del resto, con quanto è già stato ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 3817/1991; 13630/1992) – che nella locuzione “terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato” (L. n. 898 del 1970, art. 8, comma 3), vadano ricompresi anche gli enti previdenziali tenuti alla corresponsione di trattamenti pensionistici, giusta le pronunce della Corte Costituzionale n. 1041/1988 (“Dinanzi alla esigenza di tutelare i crediti alimentari, non vi è alcuna ragione di concedere ai titolari di pensioni Inps un trattamento privilegiato rispetto a coloro che fruiscono di pensioni dello Stato o di altri enti pubblici, cui diverse leggi relative alle Casse di previdenza di professionisti equiparano questi ultimi quanto alla pignorabilità degli assegni corrisposti per crediti alimentari dovuti per legge, fino alla concorrenza di un terzo. La illegittimità del regime generale di impugnabilità delle pensioni corrisposte dall’Inps – che coinvolge anche quelle di invalidità, aventi intrinseca natura di trattamento previdenziale – emerge anche sotto il profilo della violazione dei diritti della famiglia, tutelati dall’art. 29 Cost. Va, pertanto, dichiarata la illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 128 e della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 69 nella parte in cui non consentono, entro i limiti stabiliti per i dipendenti pubblici dal D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 2, comma 1 la pignorabilità delle pensioni corrisposte dall’I.N.P.S. per crediti alimentari, cui vanno equiparati quelli di assegno di mantenimento, nei limiti in cui questo abbia carattere alimentare”) e n. 506/2002 (“E’ costituzionalmente illegittimo il R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 1 convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 1936, n. 1155, nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, anzichè prevedere l’impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte”).

3.3Quanto alla portata precettiva della L. n. 898 del 1970, art. 8, comma 6, il Giudice a quo l’ha individuata considerando che dalla esplicita contemplazione testuale anche degli “altri enti datori di lavoro” dovrebbe farsi discendere che pure i soggetti indicati con il richiamo al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1 verrebbero in considerazione in quanto anch’essi (giusta appunto l’utilizzo del termine “altri”) siano “datori di lavoro”, con l’ulteriore conseguenza che le somme “dovute al coniuge obbligato” su cui può essere effettuata la trattenuta fino alla metà del loro ammontare sono quelle dovute dai datori di lavoro e, pertanto, i crediti retributivi, e non già, per quanto qui specificamente rileva, anche i trattamenti pensionistici. Si tratta di un’interpretazione che, sotto il profilo strettamente letterale, è percorribile, ma non necessitata, posto che l’utilizzo della locuzione “altri enti datori di lavoro” può anche solo stare ad indicare i soggetti erogatori di corresponsioni in denaro, diversi da quelli precedentemente considerati, in quanto datori di lavoro; i che, fra l’altro, trova una sua logica tenendo conto che “Lo Stato e gli altri enti indicati nell’art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180”, nell’amplissima formulazione utilizzata nel testo legislativo richiamato e tenuto altresì conto delle ricordate pronunce della Corte Costituzionale esauriscono la platea dei soggetti erogatori di trattamenti pensionistici assistenziali e previdenziali obbligatori. Ne discende che la possibile alternativa ermeneutica che il tenore letterale della norma consente, rende indispensabile focalizzare l’attenzione sull’intenzione del legislatore, giusta la previsione dell’art. 12 disp. gen..

3.4 In tale prospettiva va considerato che:

– se davvero il legislatore avesse voluto limitare la portata precettiva della norma all’esame ai soli crediti retributivi avrebbe, verosimilmente, esplicitato tale volontà facendo testuale riferimento al termine retribuzione o ad altro equivalente;

– per converso i soggetti contemplati attraverso il richiamo al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1 sono invece, in tale testo legislativo, quelli che corrispondono non soltanto retribuzioni lavorative, ma anche “le pensioni, le indennità, i sussidi ed i compensi di qualsiasi specie”, – la norma all’esame detta una particolare disciplina per il soddisfacimento diretto degli assegni divorzili (i quali vengono quindi a costituire un credito qualificato, come definito dalla ricordata sentenza n. 506/2002 della Corte Costituzionale), che prescinde perfino dalla considerazione dell’entità delle somme sulle quali può essere esercitato e dalle condizioni soggettive del coniuge obbligato, sicchè resterebbe oscuro perchè soltanto i crediti retributivi – e non anche quelli da pensione indennità o altri compensi in genere, parimenti destinati al sostentamento del beneficiario – dovrebbero essere stati esclusi da tale disciplina. Deve quindi concludersi che non soltanto i crediti retributivi, ma anche le altre prestazioni in denaro, ivi compresi i trattamenti pensionistici, rese dai soggetti di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 1 soggiacciono al prelievo diretto, nella quota indicata dalla L. n. 898 del 1970, art. 8, comma 6 a favore del titolare di assegno divorzile.

La causa va quindi decisa sulla base del suddetto principio di diritto;

essendosene il Tribunale discostato, il motivo all’esame risulta pertanto fondato.

4. In definitiva il primo motivo di ricorso va rigettato, mentre il secondo va accolto.

Per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa con il rigetto della domanda.

Il difforme esito del grado di merito, le oggettive difficoltà ermeneutiche della normativa di riferimento e l’assenza di precedenti specifici di legittimità consigliano la compensazione delle spese relative all’intero processo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo ne merito, rigetta la domanda; spese dell’intero processo compensate.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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