Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25042 del 10/10/2018

Cassazione civile sez. II, 10/10/2018, (ud. 19/04/2018, dep. 10/10/2018), n.25042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2018-2016 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GOMENIZZA N 3,

presso lo studio dell’avvocato MICHELINO LUISE, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

B.M., D.S.G., D.S.U.,

elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO BELLI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

D’.CA.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3735/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE FULVIO che ha concluso per l’accoglimento del 2^ motivo del

ricorso e assorbiti gli altri;

udito l’Avvocato LUISE Michelino, difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato BELLI Bruno, difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1 Con atto 5.4.2004, D.S.U., D.S.G. e B.G. convennero S.G. innanzi al Tribunale di Roma per ottenerne la condanna al rilascio di una porzione del terreno di loro proprietà sito in Roma, località (OMISSIS), ed occupato senza titolo dalla convenuta, oltre al risarcimento dei danni.

La convenuta si oppose alla domanda chiedendo in via riconvenzionale accertarsi l’avvenuto l’acquisto a suo favore per usucapione, avendo coltivato il terreno in forma stabile ed ininterrottamente sin dal (OMISSIS), come peraltro riconosciuto da alcune pronunzie rese nel corso di giudizi possessori succedutisi con i danti causa degli attori.

Gli attori chiamarono in giudizio il dante causa Da.Ca. per sentirlo condannare al risarcimento danni in loro favore per l’ipotesi di accoglimento della riconvenzionale, ed il Da. si costituì chiedendo il rigetto della domanda.

Il tribunale respinse la domanda principale ed accolse la riconvenzionale, dichiarando S.G. proprietaria della porzione di terreno in oggetto.

2 D.S.U., D.S.G. e B.G. proposero appello contro tale decisione e la Corte d’Appello di Roma, per quanto ancora interessa, in accoglimento del gravame ha ordinato alla S. il rilascio del terreno.

Ha osservato la Corte d’Appello che il giudicato formatosi sulle precedenti domande possessorie della S. era privo di efficacia nel giudizio di usucapione, difettando un’adeguata prova del requisito temporale, atteso che nel (OMISSIS) la S. aveva dieci anni e quindi era inverosimile l’assunto in base al quale l’appellata, all’epoca, stesse già coltivando un fondo di 4.000 metri quadrati in forma imprenditoriale attraverso un possesso “animo domini”, mentre era ben più plausibile il fatto – allegato dai proprietari ed accertato in sede istruttoria – che costei, vivendo nella casa colonica dei precedenti proprietari, li aiutava a raccogliere i frutti del terreno circostante.

3 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S. sulla base di due motivi a cui resistono D.S.U., D.S.G. e B.M. (unico erede di G.) con controricorso illustrato da memoria.

La causa, avviata alla trattazione camerale, è stata poi rimessa alla pubblica udienza.

I controricorrenti hanno depositato altra memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Con il primo motivo si deduce omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia in violazione dell’art. 948 c.c. (mancata pronuncia sulla domanda di rivendicazione proposta dalla parte attrice) e nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c., comma 1 e art. 156, comma 2, per avere la Corte d’Appello omesso di pronunziarsi sull’avversa domanda di accertamento della proprietà ex art. 948 c.c., necessario presupposto del rilascio, così erroneamente disposto.

Il motivo è inammissibile per due ragioni.

Innanzitutto perchè deduce il vizio di “omessa motivazione” (oramai non più censurabile in cassazione secondo il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

In secondo luogo, per difetto di interesse (ex art. 100 c.p.c.) perchè lamenta l’omessa pronuncia sulla domanda di revindica svolta dall’altra parte, senza una contemporanea contestazione del diritto di proprietà degli attori sul fondo: il motivo infatti si limita ad una sintesi dell’appello e della pronuncia della Corte di merito, a cui fa seguito una parte in diritto sulla natura dell’azione di revindica e sul relativo regime probatorio, ma nessuna contestazione è dato riscontare sul diritto di proprietà vantato dai D.S. – B..

Fuori luogo è poi l’accenno all’intervenuto giudicato sul capo di sentenza che ha respinto la domanda perchè, avendo gli appellanti – attori insistito per l’accoglimento della domanda di rilascio previo rigetto della riconvenzionale (v. svolgimento del processo riportato a pag. 2 della sentenza impugnata), è evidente l’assenza di acquiescenza al rigetto della domanda.

2 Con il secondo motivo, per mero errore materiale distinto sempre col n. 1, si deduce violazione degli artt. 1158 c.c. (in relazione alle affermazioni in diritto ritenute contrastanti con le norme regolatrici dell’usucapione) e nullità del procedimento in relazione agli artt. 112,115 e 116 c.p.c. (per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto necessari, ai fini della prova dell’usucapione, atti di natura negoziale, essendo invece sufficiente il compimento di atti materiali che presuppongono la capacità di intendere e di volere).

Il motivo è infondato.

Innanzitutto, perchè non coglie le ragioni della decisione (ragioni fondate non già sulla necessità del compimento di atti negoziali ai fini della prova dell’usucapione, ma unicamente sul difetto di valida prova dell’animus possidendi); in secondo luogo, perchè investe la motivazione e in particolare l’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione, tutte questioni devolute all’apprezzamento del giudice del merito ed incensurabili in sede di legittimità se la decisione è sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici (cfr. fra le altre Cass. n. 4035/2007; Sez. 6 2, Ordinanza n. 356 del 10/01/2017 Rv. 642317; Sez. 2, Sentenza n. 11410 del 11/05/2010 Rv. 612968), ipotesi senz’altro ravvisabile nel caso in esame e comunque neppure più denunziabile in sede di legittimità per effetto della modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Nè, infine, è dato riscontrare la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.: in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017 Rv. 645828; v. altresì Sez. 2 – Sentenza n. 24434 del 30/11/2016 Rv. 642202).

Nessuna violazione di legge sussiste, dunque, ed il ricorso finalizzato sostanzialmente ad una alternativa valutazione del materiale probatorio – deve essere respinto con addebito di ulteriori spese alla parte soccombente.

Considerato infine che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato respinto per cui sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, comma 1 – quater, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in Euro 3.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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