Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25040 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10373-2008 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, PREDEN SERGIO, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.V.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato CONCETTI

DOMENICO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2491/2007 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/12/2007 r.g.n. 1917/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato RICCI MAURO per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito l’Avvocato CONCETTI DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Lecce ha accolto l’appello proposto da M.V.O., nei confronti dell’INPS, contro la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva rigettato la domanda dal medesimo proposta, diretta alla rivalutazione del periodo contributivo in base alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, in relazione al lavoro svolto, dal 24.4.1974 al 23.8.1975 e dal 26.7.1978 al 31.12.1996, come operaio e successivamente come caposquadra addetto alla manutenzione dei reparti, presso lo stabilimento petrolchimico di (OMISSIS), alle dipendenze della ditta Creti Pasquale, poi trasformatasi in Creti s.r.l..

La Corte territorialey rilevava preliminarmente che l’accertamento circa il superamento, nell’esposizione del lavoratore alle fibre di amianto aerodisperse, dei valori limite desumibili dalla normativa prevenzionale, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, doveva essere compiuto mediante il ricorso ad elementi di prova di tipo presuntivo, vista la materiale impossibilità di accertare con CTU il livello di inquinamento all’interno dello stabilimento nel periodo indicato dal lavoratore, per il tempo trascorso e la rimozione delle fonti di inquinamento.

Nella specie doveva ritenersi che una prova adeguata in via presuntiva era rappresentata dalla circostanza che, come era stato accertato dal giudice di primo grado e non aveva formato oggetto di censura in appello, il lavoratore aveva lavorato per tutti i periodi oggetto della domanda presso il complesso petrolchimico di (OMISSIS) svolgendo mansioni ricomprese tra quelle per le quali, secondo l’atto ministeriale di indirizzo, cd. Guerrini, del 7 marzo 2001, doveva essere riconosciuta l’esposizione qualificata all’amianto. A tal fine la Corte ha ritenuto irrilevante la circostanza che l’INAIL avesse annullato la certificazione in un primo momento rilasciata al lavoratore, per un’imprecisione nella redazione del curriculum lavorativo (rappresentata dalla mancata precisazione che in un primo periodo il M. era stato alle dipendenze della ditta individuale Creti e non della poi costituita società), e per la ritenuta non ascrivibilità delle mansioni svolte nel primo periodo a quelle previste dall’atto di indirizzo.

L’Inps ricorre per cassazione con due motivi. Il lavoratore resiste con controricorso. L’Inps ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 18 e dell’art. 2697 cod. civ., l’INPS sostiene che la norma citata ritiene valide, ai fini del conseguimento del beneficio previdenziale, soltanto le certificazioni rilasciate dall’INAIL, che presuppongono non il solo accertamento circa lo svolgimento da parte del lavoratore delle mansioni ritenute a potenziale rischio espositivo nell’atto di indirizzo ministeriale, ma si sostanziano in un più complesso accertamento tecnico volto alla determinazione dell’effettiva consistenza dell’esposizione individuale, mentre la stessa norma non conferisce alcun valore presuntivo agli atti di indirizzo. Il lavoratore, quindi, non era esentato nella specie dal fornire un’adeguata prova circa tutti gli elementi costitutivi del diritto azionato, tra cui la sussistenza di un’esposizione individuale ultradecennale all’amianto superiore rispetto ai limiti di legge.

Il secondo motivo ripropone la stessa questione sotto il profilo dell’insufficiente motivazione, deducendo che non può ritenersi il solo atto di indirizzo idoneo a provare la sussistenza della esposizione individuale, poichè contiene indicazioni generali ed astratte, deputate ad orientare l’Inail nella successiva fase di accertamento delle necessarie condizioni espositive.

Il ricorso, i cui due motivi vengono esaminati congiuntamente stante la loro connessione, non è fondato.

Si può richiamare quanto recentemente osservato da questa Corte (con la sentenza n. 17977/2010) con riferimento ad un caso analogo, in coerenza con la qualificazione giuridica, come atti non autoritativi, degli atti di indirizzo e delle certificazioni dell’Inail in materia di esposizione all’amianto fornita dalle Sezioni unite (sentenza n. 20164/2010).

Si è ricordato la L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 18, comma 8, secondo cui “le certificazioni rilasciate o che saranno rilasciate dall’INAIL sulla base degli atti di indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali antecedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge sono valide ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dalla L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 e successive modificazioni”.

Si è poi ribadito che gli atti di indirizzo del Ministero del lavoro non possono essere utilizzali direttamente come prova della esposizione qualificata, esprimendo criteri di tipo generale e astratto, che devono essere utilizzati dall’Inail ai fini dell’accertamento in concreto della misura e della durata della esposizione ed del rilascio della relativa certificazione. Ma si è ricordato anche che, non costituendo le certificazioni Inail provvedimenti autoritativi, il diritto al beneficio può comunque essere provato in giudizio attraverso gli ordinari mezzi di prova (cfr. Cass. n. 27451/2006, n. 13403/2007, n. 11276/2007, n. 10037/2007), senza che sia esclusa la valutazione anche degli atti di indirizzo ministeriale (Cass. n. 3095/2007).

Ne consegue che tali principi consentono la valutazione da parte del giudice di merito di un atto di indirizzo ministeriale contenente l’accertamento che presso un determinato impianto produttivo sia stata superata l’esposizione qualificata per gli operai con determinate qualifiche e addetti a determinate mansioni, in concorso con l’accertamento della circostanza specifica che il lavoratore ha espletato per un periodo ultradecennale le mansioni descritte nel protocollo, come integrante la prova presuntiva riguardo alla esposizione all’amianto necessaria per il conseguimento del beneficio contributivo per esposizione ultradecennale all’amianto, in difetto di allegazione e prova da parte dell’Inps di ragioni ostative circa l’operare degli elementi indiziati gravi forniti appunto dall’atto di indirizzo ministeriale, che deve ritenersi redatto sulla base di adeguate conoscenze e pertinenti massime di esperienza circa le condizioni di lavoro prese in considerazione, e dall’accertamento in giudizio compiuto circa la specifica posizione individuale.

Il ricorso va dunque respinto.

Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza. Ne è stata ritualmente chiesta la distrazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 30,00 per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre spese generali IVA e CPA, con distrazione in favore dell’avv. Domenico Concetti.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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