Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25036 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17195-2007 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato MARCHETTI ALBERTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati CANTISANI DANIELA, IARIA

CARMELO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE DELLA SICILIA, AGENZIA

DELLE ENTRATE DIREZIONE DEL PERSONALE, AGENZIA DELLE ENTRATE DI

MESSINA, AGENZIA DELLE ENTRATE DI MILAZZO, in persona dei rispettivi

legali rappresentanti pro tempore, tutti domiciliati in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 177/2007 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 29/03/2007 R.G.N. 964/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

Udito l’Avvocato IARIA CARMELO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Messina ha dichiarato l’illegittimità del decreto della Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Sicilia del 16.10.2000, con cui C.G. era stato rimosso dall’incarico di Capo del 2^ Reparto dell’Ufficio IVA di (OMISSIS), ordinando all’Agenzia delle Entrate di reintegrare il ricorrente in mansioni ritenute equivalenti a quelle svolte in precedenza dal lavoratore presso il suddetto Ufficio e condannando l’Amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali subiti dal ricorrente per effetto del demansionamento.

La sentenza, su appello dell’Agenzia delle Entrate, è stata riformata dalla Corte d’appello di Messina, che ha rigettato la domanda del C. ritenendo che il provvedimento di revoca fosse giustificato alla luce di una valutazione complessiva delle numerose violazioni dei doveri d’ufficio commesse dal dipendente e dei risultati negativi della gestione del reparto, osservando altresì che non vi era comunque prova che le nuove mansioni assegnate al C. non rientrassero tra quelle proprie della qualifica rivestita dal ricorrente.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione C.G. affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Amministrazione intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si lamenta il vizio di motivazione su più punti decisivi della controversia, tutti attinenti alla ritenuta legittimità del provvedimento di revoca, sostenendo che la motivazione della sentenza si risolverebbe in una serie di affermazioni apodittiche assolutamente inidonee a dimostrare Pattribuibilità al C. di manchevolezze e negligenze nell’espletamento dei suoi compiti.

2.- Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 1, 2, 4 e 5 in relazione all’art. 97 Cost., agli artt. 17, 18 e 19 del ccnl comparto Ministeri e all’art. 2106 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, e L. n. 300 del 1970, art. 7 sostenendo che il provvedimento di revoca dell’incarico sarebbe stato adottato in contrasto con i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione e, dato il suo carattere sostanzialmente disciplinare, costituirebbe esercizio illegittimo del potere sanzionatorio del datore di lavoro.

3.- Con il terzo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, e art. 52 in relazione all’art. 2103 c.c., assumendo che l’attribuzione delle funzioni di Capo Nucleo Verifica, conferite al C. successivamente alla rimozione dall’incarico di capo reparto dell’Ufficio IVA, avrebbe comportato un illegittimo trasferimento della sede di lavoro del ricorrente.

4.- Il primo motivo è infondato, dovendo ritenersi, come più volte affermato da questa Corte, che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si configuri soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, vizio che non è certamente riscontrabile allorchè il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte. Nella specie, la Corte territoriale, è pervenuta a ritenere giustificato il provvedimento di revoca dell’incarico, adottato dall’Amministrazione nei confronti del ricorrente, sulla base di un esame complessivo delle manchevolezze riscontrate nella gestione del reparto al quale il C. era preposto, manchevolezze ritenute “di esiziale importanza, in quanto relative alla principale finalità istituzionale dell’Agenzia delle Entrate”, oltre che reiterate in un arco temporale inferiore ad un anno, osservando che il ritardo nell’invio di numerosi atti di contestazione e avvisi di accertamento alla firma del Dirigente non poteva trovare alcuna valida giustificazione, considerato anche “il rischio derivante dal ritardo nell’attività di riscossione” e “il pregiudizio che ne risente l’attività amministrativa, gravemente penalizzata dalla necessità di avviare alla notifica, in prossimità della scadenza, una gran mole di atti che ben potevano, invece, se correttamente gestiti, essere scaglionati nel tempo”. Altrettanto grave e ingiustificato era il calo di produttività del reparto, che si attestava intorno al 74% e che, date le proporzioni, non poteva essere spiegato con le pur lamentate carenze di organico.

Si tratta, come è evidente, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile in cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, dovendo rimarcarsi, al riguardo, che il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poichè in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n. 6064/2008).

5.- Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile, sotto entrambi i profili sottoposti all’esame di questa Corte (inosservanza dei principi di correttezza, imparzialità e buon andamento nell’esercizio del potere di revoca; natura sostanzialmente disciplinare del provvedimento di revoca), in quanto con la denuncia del vizio di violazione di legge viene, in realtà, prospettata una ricognizione della fattispecie concreta che non trova rispondenza nella sentenza impugnata (la contrarietà del provvedimento di revoca agli obiettivi di “efficienza, efficacia ed economicità” dell’organizzazione degli uffici e la natura sostanzialmente disciplinare dello stesso provvedimento) e che avrebbe dovuto essere fatta valere, se del caso, sotto il profilo del vizio di motivazione, trattandosi di allegazione che impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, esclusivamente sotto l’aspetto del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. ex plurimis Cass. n. 9908/2010, Cass. n. 8730/2010, Cass. n. 11094/2009, Cass. n. 4178/2007, Cass. n. 10313/2006); e tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione che il ricorrente non ha riportato nel ricorso il contenuto del provvedimento di cui sostiene la natura disciplinare, nè quello delle note alle quali fa riferimento nel corpo del secondo motivo, con violazione, quindi, del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, da ritenere valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, anche per quello previsto dal n. 3 dello stesso articolo (Cass. n. 9076/2006, Cass. n. 6972/2005).

6.- Del pari inammissibile deve ritenersi il terzo motivo, con cui si denuncia la violazione dell’art. 2103 c.c. sotto il profilo della insussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive tali da legittimare il trasferimento del lavoratore, posto che, anche in questo caso, non viene riportato nel ricorso il contenuto del provvedimento di revoca dell’incarico, nè quello di assegnazione alle nuove mansioni di Capo Nucleo Verifica, impedendo così a questa Corte la possibilità di una verifica della effettiva portata e consistenza di tali provvedimenti, con ulteriore violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in forza del quale deve ritenersi precluso al giudice di legittimità ricercare negli atti gli elementi fattuali utili per la decisione della controversia. Nè può sottacersi che la statuizione della Corte territoriale risulta, comunque, anche sotto questo profilo, immune dalle censure che le vengono mosse in questa sede di legittimità, in quanto, sia pure implicitamente, aderente ai principi più volte ribaditi da questa Corte (cfr. Cass. n. 4265/2007 e, più recentemente, Cass. n. 14875/2011), secondo cui il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità aziendale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all’art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) del lavoratore trasferito, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per la sanzioni disciplinari, e con l’ulteriore conseguenza che, in questi casi, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative produttive deve essere diretto ad accertare soltanto la corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa e non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, nè questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.

7.- Il ricorso deve essere pertanto respinto con la conferma della sentenza impugnata.

8.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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