Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25035 del 16/09/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/09/2021, (ud. 06/07/2021, dep. 16/09/2021), n.25035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11685/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

L.G.;

-intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania, sezione distaccata di Salerno, n. 9604/2/2014, depositata

il 7 novembre 2014.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 luglio 2021

dal Consigliere Luigi D’Orazio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno (n. 521/1/2011), che aveva accolto il ricorso proposto da L.G. contro il diniego di rimborso dell’Agenzia delle entrate alla sua richiesta di restituzione delle ritenute Irpef, per l’anno 2006, quantificate in Euro 7614,00, operate sulla somma erogata una tantum dal Fondo pensioni per il personale della Banca Commerciale Italiana, a titolo di pagamento di capitale, in sostituzione della rendita originaria. Per il contribuente, in pensione dal 1997, che aveva ricevuto nel 2006 la somma di Euro 67.500,34, il Fondo pensioni non avrebbe dovuto operare, quale sostituto d’imposta, le ritenute del 4% su tale somma, in quanto le somme erano imponibili nella misura del 87,50%, perché rappresentative del provento sostitutivo del valore attuale di una prestazione periodica, essendo state erogate in sostituzione della stessa. Il giudice d’appello rigettava il gravame dell’Agenzia, in quanto la rendita periodica era stata convertita in capitale. Le indennità percepite una tantum in correlazione alla cessazione del rapporto di lavoro, a titolo definitivo, dovevano essere assimilate alle prestazioni periodiche.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

3. Resta intimato il contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 17 Tuir, (nella versione ratione temporis vigente) nonché del D.Lgs. n. 47 del 2000, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Per l’Agenzia il Fondo pensioni per il personale della Banca Commerciale Italiana – Comit, fino al 1954 aveva operato in sostituzione del regime generale di previdenza obbligatoria per invalida vecchiaia, mentre successivamente ha iniziato a svolgere la sua funzione di previdenza integrativa, finanziata mediante un contributo sulle retribuzioni. Pertanto, dal 1 gennaio 1955, quando è cessato il funzionamento del fondo in regime sostitutivo, i dipendenti della banca sono stati scritti all’assicurazione generale obbligatoria presso l’Inps, con l’attivazione dei corrispondenti obblighi contributivi. Per evitare una doppia contribuzione ai dipendenti, sia per il fondo sia per l’Inps, il carico dei contributi da versare a favore del Fondo pensioni è stato oggetto di vari accordi tra la banca le organizzazioni sindacali. Pertanto, dal 1955 al 1994, la banca si è assunta l’onere di pagare la contribuzione obbligatoria dovuta all’Inps, gravante, invece, per legge sui lavoratori dipendenti; di contro i dipendenti hanno versato l’intera quota contributiva al fondo pensioni per il personale della banca, con trattenute in busta paga. Tale meccanismo contabile ha determinato un incrocio contributivo detto “chassé-croisé”, che ha evitato la doppia contabilità, sia per i contributi previdenziali destinati all’Inps, che erano del 7,75% e che dovevano essere versati, invece dai lavoratori, ma che effettivamente, sono stati pagati dalla banca, sia per i contributi destinati al Fondo. Pertanto, per effetto di tale ripartizione di entrambe le contribuzioni ogni dipendente ha sostenuto il solo onere dei contributi al Fondo pensioni integrativo, al fine di percepire due pensioni: quella dell’Inps e quella, integrativa, del Fondo. E’ stato poi stipulato un accordo tra la banca e le organizzazioni sindacali, in vigore dal 1 gennaio 1995, in base al quale il carico relativo alla contribuzione Inps è stato ripartito tra la banca e i lavoratori, mentre la banca si è assunta integralmente l’onere dei contributi da versare al Fondo dal contribuente che, dunque, per effetto di tali accordi, non ha versato alcun contributo obbligatorio al Fondo e nessun contributo è rimasto fiscalmente a suo carico. In aggiunta, si evidenzia che il fondo era costituito sulla base di un accordo sindacale tra le parti, con obbligo di contribuzione, non in virtù di una disposizione legislativa, ma in base al predetto accordo di natura privatistica. Tali contributi erano, in definitiva, pacificamente finalizzati alla capitalizzazione di un montante contributivo per l’erogazione di una pensione e non di un’indennità. Pertanto, potevano essere detratti dall’importo lordo soltanto i contributi dovuti per legge, ma non quelli assunti volontariamente. Inoltre, alle somme versate ai dipendenti non può essere applicata l’imponibilità ridotta al 87,50%, non essendo le stesse inquadrabili tra le prestazioni periodiche, ma essendo assoggettata d’imposta per il loro intero ammontare essendo erogazioni una tantum.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. Il contribuente, pensionato dal 1 gennaio 1997, ha presentato istanza di rimborso per la somma di Euro 7614,00, per l’anno 2006, fondata sulle asserite maggiori ritenute subite, nella misura del 4 %, sulla prestazione erogata di in forma capitale, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro con la Banca Commerciale Italiana. Secondo il L. il Fondo (OMISSIS) non ha scomputato dall’imponibile i contributi versati dal lavoratore stesso nel periodo di contribuzione compreso tra il 1955 e 31 dicembre 1996. Inoltre, l’importo non poteva essere tassato integralmente, ma solo nella misura dell’87,5%, trattandosi di importi sostitutivo di prestazioni periodiche.

1.3. Il Fondo (OMISSIS) ha operato in regime sostitutivo del regime generale di previdenza obbligatoria per invalidità e vecchiaia per i dipendenti della Banca Commerciale Italiana. Inizialmente, dunque, la partecipazione di essi al Fondo era obbligatoria, costituendo parte integrale del contratto di lavoro con la Banca Commerciale Italiana.

Successivamente dal 1 gennaio 1955, a seguito di decisione governativa di estendere l’iscrizione dei dipendenti della banca all’assicurazione generale obbligatoria presso l’Inps, con attivazione dei corrispondenti obblighi contributivi, il Fondo, da funzione sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria, ha iniziato a svolgere la funzione di previdenza complementare integrativa (Cass., sez. 6, 28 dicembre 2016, n. 27079).

Il Fondo pensione (OMISSIS), dunque, in quanto iscritto all’albo dei fondi presso la (OMISSIS) e assoggettato alla sua vigilanza, costituisce una forma di previdenza complementare, concretizzandosi in una prestazione in forma di rendita realizzata in modo volontario, con lo scopo di integrare la pensione pubblica al fine di garantire all’avente diritto un adeguato tenore di vita all’età pensionabile (in tal senso Cass., sez. 6, 27079/2016, cit.).

Per l’Agenzia, per evitare una doppia trattenuta sulle retribuzioni, una in favore dell’Inps e l’altra favore del Fondo, è stato stipulato dalla banca e dalla Commissione interna, organo di rappresentanza dei lavoratori, un accordo aziendale che ha introdotto il meccanismo dell’incrocio contributivo (chassé-croisé).

Tale meccanismo, secondo la ricorrente, sorto come puro strumento di semplificazione contabile, imputava formalmente alla banca il contributo previdenziale obbligatorio gravante per legge sul lavoratore e destinato all’Inps, mentre imputava formalmente sul lavoratore quello destinato al Fondo (OMISSIS).

1.4. La questione attiene, dunque, all’individuazione del soggetto che ha effettivamente pagato i contributi al Fondo (OMISSIS), ma si innesta inevitabilmente anche sulla natura obbligatoria o facoltativa dei contributi erogati al fondo di previdenza complementare.

1.5. Infatti, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17 comma 1 (indennità di fine rapporto), all’epoca vigente, “il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva. L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni o frazione di anno preso a base di comunicazione, e moltiplicando il risultato per 12”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 2, all’epoca vigente, prevede che “le altre indennità e somme indicate all’art. 16, comma 1, lett. a), anche se commisurate alla durata del rapporto di lavoro e anche se corrisposte da soggetti diversi dal datore di lavoro, sono imponibili per il loro ammontare complessivo, al netto dei contributi obbligatori dovuti per legge, con l’aliquota determinata agli effetti del comma 1”.

Pertanto, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16 (tassazione separata), all’epoca vigente, dispone che la tassazione separata si applica ai redditi indicati nella successiva lett. a), quindi al trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c., e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente.

L’aliquota era invece determinata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1; ciò ai fini della “imposta sostitutiva”.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48 (determinazione del reddito di lavoro dipendente), all’epoca vigente, prevede, al comma 2, che “non concorrono a formare il reddito: a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge”.

1.6. Questa Corte (Cass., sez. 6-5, 1 luglio 2020, n. 13353), con orientamento consolidato (Cass., sez. 6-5, 10 dicembre 2020, n. 28125; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33828), ha ritenuto che la prestazione di capitale in Fondo di previdenza complementare per il personale di un istituto bancario (nella specie, il Fondo di previdenza complementare per il personale della Banca Commerciale Italiana), effettuata in favore di un ex dipendente, in forza di accordo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento pensionistico integrativo in godimento (“zainetto”), costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, reddito della stessa categoria della “pensione integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi, assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la predetta forma di pensione. Ne consegue che la base imponibile su cui calcolare l’imposta è costituita dall’intera somma versata dal Fondo, senza che sia possibile defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, lett. a), nel testo in vigore fino al 31 dicembre 2003, gli unici contributi previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 1215; Cass., sez. 6-5, 4 gennaio 2018, n. 124; Cass., sez. 6-5, 19 dicembre 2019, n. 33827).

Si è chiarito che l’imponibile delle prestazioni erogate dei fondi di previdenza complementare per il personale degli istituti bancari include pertanto anche i contributi versati al dipendente, attesa la natura facoltativa degli stessi (Cass., n. 27078 del 2016; Cass., n. 27079 del 2016). Sono dunque fiscalmente esenti a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, soltanto i contributi previdenziali obbligatori, quelli versati “in ottemperanza a disposizioni di legge”.

1.7. La Commissione regionale, riconoscendo il diritto al rimborso, non si è attenuta agli indicati principi.

1.8. Questione ancora diversa è poi quella relativa alla tassazione delle somme nella misura, non integrale, ma in quella ridotta dell’87,5%.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, comma 1, lett. h-bis (redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente), prevede che “sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente: …h bis) le prestazioni pensionistiche di cui al D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, comunque erogate”.

L’art. 48, comma 7-bis (determinazione del reddito di lavoro dipendente), all’epoca vigente, dispone che “le prestazioni periodiche indicate all’art. 47, comma 1, lett. h-bis, costituiscono reddito per l’87,5% dell’ammontare corrisposto”.

Tale norma e’, poi, transitata nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48-bis, al comma 1, lett. d (“per le prestazioni periodiche indicate all’art. 47, comma 1, lett. h-bis, non si applicano le disposizioni del richiamato art. 48 e le stesse costituiscono reddito per l’87,5% dell’ammontare lordo corrisposto”).

Sul punto, questa Corte (Cass., sez. 5, 26 settembre 2019, n. 24009; Cass., sez. 6-5, 9 gennaio 2018, n. 2201) ha ritenuto che sussiste violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 47 e 48, laddove il giudice d’appello abbia riconosciuto la spettanza della detrazione del 12,50% prevista per le erogazioni periodiche di previdenza complementare, posto che, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, comma 1, lett. h-bis, e art. 48-bis, comma 1, lett. d, all’epoca vigente, l’imponibile è ridotto al 87,50% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico”, ciò in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum, come quella in esame.

Successivamente la disciplina è stata modificata dal D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 10, comma 1, lett. f), entrato in vigore il l’gennaio 2001 e con effetto relativamente ai contributi versati, ai rendimenti maturati, ai contratti stipulati, alle prestazioni maturate e alle rendite erogate a decorrere dal 1 gennaio 2001, con il quale si è previsto che alle prestazioni pensionistiche di cui all’art. 47 Tuir, comma 1, lett. h-bis, non si applicano le disposizioni dell’art. 48. Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e di quelli di cui all’art. 41, comma 1, lett. g-quinquies, se determinabili; analoga disposizione è contenuta nel Tuir, art. 52, comma 1, lett. d) (così numerato il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, art. 48) che, nella formulazione in vigore dal 1 gennaio 2004 e fino al 31 dicembre 2006, disponeva: “d) per le prestazioni pensionistiche di cui all’art. 47, comma 1, lett. h-bis), erogate in forma periodica non si applicano le disposizioni del richiamato art. 48. Le stesse si assumono al netto della parte corrispondente redditi già assoggettate d’imposta e di quelli di cui all’art. 1, comma 1, lett. g-quinquies, se determinabili.

Pertanto, dal 1 gennaio 2004, le prestazioni pensionistiche di cui all’art. 47, comma 1, lett. h-bis, erogate in forma periodica, sono tassabili non già sull’87,5% dell’ammontare lordo corrisposto, a seguito della sostituzione del nuovo testo, ma sull’intero (Cass., 7 maggio 2010, n. 11156; Cass., 12 gennaio 2015, n. 240).

A decorrere dal 1 gennaio 2001 è stato abrogato il riferimento all’imponibile sino al 87,5%, con detrazione del 12,5% sulle prestazioni erogate dal Fondo pensioni e, a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 47, comma 1, lett. h-bis, vigente ratione temporis, l’imponibile è ridotto all’87,5% soltanto per le pensioni complementari erogate “in forma di trattamento periodico”, ciò in ragione di un’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente che viene meno per le dazioni una tantum, come quella in esame (Cass., 30 gennaio 2018, n. 2201; Cass., sez. 6-5, 21 giugno 2019, n. 16677).

Il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 10, lett. f (avente effetto, come detto, dal 1 gennaio 2001) è rimasto in vigore sino al 31 dicembre 2003, essendo stato soppresso dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, a decorrere dal 1-gennaio 2004.

Avendo il contribuente ricevuto le somme nel 2006, non aveva diritto alla detrazione del 12,5 %, con imponibile, quindi, solo sino all’87,5 %.

2. In accoglimento del ricorso, la sentenza va, pertanto, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso proposto dal contribuente.

3.Le spese del giudizio vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico del contribuente intimato e si liquidano come da dispositivo. Compensa tra le – parti le spese delle fasi di merito, sussistendone giusti motivi.

PQM

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso proposto dal contribuente.

Condanna l’intimato contribuente al pagamento in favore della Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Compensa tra le parti le spese delle fasi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2021

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