Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25035 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 09/11/2020), n.25035

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1783-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

O.RIB S.N.C., – OFFICINA APPLICAZIONI RIBALTABILI DI

F.B. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore,

nonchè B.F. in proprio, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIALE PINTURICCHIO 214, presso lo studio dell’avvocato ALDO

VERINI SUPPLIZI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 267/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 08/07/2014 R.G.N. 169/14.

 

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Genova, con sentenza pubblicata in data 8.7.2014, ha respinto il gravame interposto dalla Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro-tempore, nei confronti di O.RIB S.n.c. Officina Applicazioni Ribaltabili di B.F. & C., in persona dei suoi soci B.F. e Ba.Va., e di B.F. in proprio, avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede n. 671/2014, con cui era stato accolto il ricorso proposto da questi ultimi e revocato l’atto di irrogazione della sanzione n. (OMISSIS), emesso dalla Agenzia delle Entrate, Ufficio di Genova (OMISSIS), notificato il 22.12.2010, con il quale era stata contestata ai medesimi la mancata regolarizzazione di un lavoratore dipendente, non registrato sul libro matricola;

che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando un motivo;

che O.RIB S.n.c. Officina Applicazioni Ribaltabili di B.F. & C., in persona dei suoi soci B.F. e Ba.Va., e B.F. in proprio hanno resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso, si censura, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 36-bis, del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 20 perchè i giudici di merito avrebbero errato nel dichiarare l’avvenuta prescrizione del diritto alla riscossione delle sanzioni oggetto della controversia, ritenuto che alla fattispecie non fosse applicabile il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20, comma 1, considerandolo un istituto diverso rispetto a quello della prescrizione, in quanto, secondo la ricorrente, anche prescindendo dalla prevalenza della lex specialis che varrebbe anche tra i due istituti quando regolino in modo incompatibile la stessa fattispecie, comunque l’art. 20 si sostituirebbe integralmente al regime della L. n. 689 del 1981; nè costituirebbe conferma della tesi avversata il comma 3 cit. art., ove prevede lo stesso termine quinquennale della citata L. n. 689, art. 28 per la prescrizione, poichè, al contrario, detto comma confermerebbe la totale differenziazione del regime delle sanzioni tributarie, dal momento che la prescrizione non corre dalla data della violazione, ma da quella della irrogazione della sanzione; si deduce, pertanto, che, poichè è pacifico che la violazione è stata commessa e riscontrata in data 6.5.2005 e che la notifica dell’atto con cui la sanzione è stata irrogata è avvenuta il 22/12/2010 entro il quinto anno prolungato al 31.12.2010, il termine di decadenza è stato rispettato;

che il motivo non è fondato; correttamente e condivisibilmente, infatti, la Corte di merito ha escluso che il principio evocato dalla Agenzia delle Entrate a sostegno dei propri assunti – lex specialis derogat generali – possa trovare ingresso nel caso in esame, in cui non vi è un contrasto tra norme giuridiche che regolano la medesima fattispecie: ed invero, nella stessa rubrica del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 20 si parla di “decadenza e prescrizione” e tale norma, al comma 1, che prevede una particolare disciplina in tema di decadenza, non può, pertanto, prevalere sulla disciplina del diverso istituto della prescrizione, con funzioni e finalità diverse rispetto al primo (ciò trova, altresì, conferma nella disposizione di cui al comma 3 medesimo articolo, a norma del quale: “Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni…”;

che, infine, la dedotta “natura tributaria e non amministrativa” della sanzione di cui si discute costituisce una questione in ordine alla quale la parte ricorrente non specifica se sia stata proposta in primo grado (e riproposta in sede di gravame); e, dunque, appare nuova in questa sede;

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va respinto; stante la maturata prescrizione a dicembre del 2010;

che le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto specificato in dispositivo

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00 per compenso professionale ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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