Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25034 del 28/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 28/11/2011, (ud. 13/10/2011, dep. 28/11/2011), n.25034

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28693-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa,

dall’avvocato PETRACCA NICOLA DOMENICO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1532/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/11/2006 R.G.N. 1746/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2011 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega PETRACCA NICOLA DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Firenze dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro stipulati tra F.M. e la società Poste Italiane in data 14 marzo 2000 ex art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali;

l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato da tale data, condannando la società Poste al pagamento delle retribuzioni dalla costituzione in mora.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 14 novembre 2006, respingeva il gravame proposto dalla società Poste.

Quest’ultima propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, poi illustrati con memoria. La F. restava intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della sentenza.

1- Con i primi due motivi la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23; degli artt. 1362 e segg. nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che la corte di merito, in contrasto con le norme richiamate, non considerò adeguatamente che con la delega contenuta nei citato art. 23, le parti sociali erano libere di individuare nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo determinato, senza altri limiti se non quello dell’osservanza di un limite percentuale dei lavoratori da assumere, sicchè le pattuizioni collettive erano sottratte dal sindacato giurisdizionale, e segnatamente in ordine all’esistenza di un nesso causale tra le ragioni di assunzione e la singola stipula del contratto a tempo determinato.

Lamentava inoltre che i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato che nessun limite temporale, sino all’entrata in vigore del D.Lgs n. 368 del 2001, poteva essere imposto alle pattuizioni sindacali delegate.

Si doleva ancora che la corte di merito, nel valutare l’esistenza di un nesso causale tra le assunzioni disposte e le esigenze di cui all’art. 8 c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali, richiamate in contratto, ritenne irrilevanti le prove articolate sul punto dalla società Poste, senza comunque far uso dei poteri ufficiosi previsti dagli artt. 421 e 437 c.p.c..

2 -I due motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.

La sentenza impugnata, infatti, non ha ritenuto te pattuizioni collettive, in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato L. n. 56 del 1987, ex art. 23 soggette ai requisiti di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 ma solo che esse avessero inteso prevedere un limite temporale alle specifiche esigenze organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l.

26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi. Il limite temporale di efficacia degli accordi intervenuti in materia all’interno della società Poste risulta in linea col consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603), secondo cui dall’esame dei vari accordi in materia si evince che le parti sociali autorizzarono la stipula di contratti a tempo determinato per le causali di cui all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, sino al 30 aprile 1998. Ciò è sufficiente a sorreggere il rigetto del restante motivo.

2. – Con il terzo motivo la società Poste denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. per avere la corte di merito riconosciuto alla lavoratrice le retribuzioni dal giorno della notifica del ricorso, formulando il seguente quesito di diritto: “Se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod. civ.”.

Tale quesito risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4 gennaio 2011 n. 80). Peraltro neppure può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione del motivo risulta del tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra sulla doglianza della mancata verifica da parte della Corte territoriale sul punto, senza che la ricorrente indichi se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato nell’impugnata sentenza) sia stato oggetto di specifico motivo di appello da parte della società (cfr. Cass. 15 febbraio 2003 n. 2331, Cass. 10 luglio 2001 n. 9336).

3.- Per i motivi sopra esposti risulta inammissibile anche la quarta censura mossa alla sentenza impugnata in materia di aliunde perceptum, in ordine al mancato esercizio dei poteri ufficiosi ed al mancato ordine di esibizione della documentazione reddituale dei lavoratori, essendo quest’ultima per un verso rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito (ex plurimis, Cass. 18 settembre 2009 n. 20104), per altro verso dovendosene evidenziare l’inammissibilità ove diretta a fini meramente esplorativi, non potendo supplirsi all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda con la richiesta alla controparte di esibizione di documenti (Cass. n. 20104 del 2009).

Considerato che la censura inerente l’aliunde perceptum è risultata inammissibile, parimenti risulta inammissibile la richiesta, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7.

Ed invero va evidenziato che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici e rituali motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070). Tale condizione non sussiste nella fattispecie.

4. – Con il quinto motivo la società Poste si duole della mancata valutazione dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, valutato l’apprezzabile lasso di tempo tra la risoluzione del rapporto e la manifestazione di una volontà oppositoria da parte dei lavoratori.

Il motivo risulta inammissibile, per la sua genericità, non avendo la ricorrente, neppure nel quesito di diritto formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., chiarito il tempo trascorso dalla risoluzione dei rapporti e l’offerta della prestazione lavorativa, o altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 15 novembre 2010 n. 23057).

5. – Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 40,00 Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2011

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