Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25032 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. III, 08/10/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 08/10/2019), n.25032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29383-2017 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

ACCADEMIA ANTIQUARIA, 23, presso lo studio dell’avvocato MATILDE

COZZOLINO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M.R., D.D.G., A.A.,

MA.EL., MO.PA., V.A.M., S.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI VILLA SACCHETTI 9, presso

lo studio dell’avvocato RENATO MARINI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

S.M., VALUE QUALITY SRL, EDILPOWER SRL, Z.L.,

G.R., R.R., L.D., DGL SRL,

Di.Gi.Do., Di.Gi.Do. SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3397/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/04/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MATILDE COZZOLINO;

udito l’Avvocato RENATO MARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel corso di procedura esecutiva pendente presso il Tribunale di Roma la Di.Gi.Do. srl, in forza di procura rilasciata da V.A.M., Mo.Pa., D.D.G., D.M.R., S.L., A.A., Ma.El., Si.Ma., Value Quality srl, Z.L., G.R., L.D., Edilpower srl, D.G.L. srl, M.G. e R.R., depositò in data 30-4-2010, in vista dell’asta senza incanto del 4-5-2010, offerta di acquisto dell’immobile, di quattro piani f.t. ed un piano seminterrato, sito in (OMISSIS).

Gli aspiranti acquirenti sottoscrissero anche una comune “dichiarazione di intenti”.

In esito alle operazioni di vendita, il Giudice provvide ad aggiudicare agli stessi l’immobile al prezzo offerto di Euro 4.407.500,00.

Con provvedimento 20-10-2010 il G.E. decretò la decadenza dalla detta aggiudicazione per mancato pagamento del saldo prezzo da parte degli aggiudicatari.

V.A.M., D.D.G., S.M., Ma.El., D.M.R., A.A., Mo.Pa. e S.L. convennero, quindi, in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Di.Gi.Do. srl nonchè gli altri coaggiudicatari D.G.L. srl, Edilpower srl, Value Quality srl, M.G. Z.L., G.R., L.D. e R.R. per sentirli condannare al risarcimento del danno subito per il mancato perfezionamento dell’acquisto causato dal mancato pagamento del saldo prezzo; proposero, inoltre, anche domanda di annullamento per dolo degli atti sottoscritti con la società (procure e dichiarazione di intenti) e, nei confronti dei soli convenuti Gi.Do. e Di.Gi.Do. srl, ulteriori domande; in particolare, di risoluzione per inadempimento, di accertamento (che nulla fosse dovuto a titolo di provvigione (con conseguente condanna alla restituzione di quanto versato) e di arricchimento senza causa.

Si costituirono in giudizio D.G.D., in proprio e quale L.R. della D.G.D. srl, la DGL srl, la Edilpower srl, la Value Quality srl, M.G., Z.L., G.R., L.D. e R.R., chiedendo il rigetto della domanda attorea; in particolare la Edilpower srl, la Value Quality srl, M.G. e L.D. sostennero che il mancato perfezionamento dell’acquisto dell’immobile fosse dipeso non da un loro inadempimento, bensì dal rifiuto frapposto dagli attori alla sottoscrizione di un contratto di mutuo, ovvero dalla mancata adesione degli stessi ad una formale proposta di finanziamento.

Con sentenza 2-3-2016 l’adito Tribunale rigettò le domande degli attori e le domande riconvenzionali proposte dai convenuti nei confronti degli attori; condannò la Di.Gi.Do. srl al pagamento della somma di Euro 20.803,50 in favore di Value Quality srl e della stessa somma in favore di Edilpower srl.

Con sentenza 17-5-2017 la Corte d’Appello di Roma, nel rigettare i gravami (principali ed incidentali) proposti dalle parti, ha confermato l’impugnata sentenza.

In particolare la Corte, per quanto ancora rileva, nel respingere l’appello principale proposto da M.G., ha, in primo luogo, confermato l’insussistenza di un rapporto contrattuale tra gli attori ed i convenuti (fatta eccezione per la Di.Gi.Do. srl), precisando, al riguardo, che il Tribunale aveva correttamente evidenziato che ognuno di loro (attori e convenuti), aveva rilasciato, singolarmente, la procura alla società, con cui aveva sottoscritto la dichiarazione di intenti, senza assumere alcun altro impegno nei confronti degli altri; nel respingere la censura dell’appellante, la Corte ha poi precisato che negli atti sottoscritti dalle parti mancava un chiaro accordo scritto in ordine sia al prezzo massimo di aggiudicazione sia alle modalità di versamento del prezzo, pur essendo detti elementi essenziali ai fini del perfezionamento della vendita giudiziaria immobiliare; la Corte, poi, con specifico riferimento alle modalità di versamento del prezzo, ha evidenziato che nella dichiarazione di intenti era previsto il deposito dell’importo di aggiudicazione “con assegno non trasferibile o con impegno bancario”, ed ha quindi ritenuto che sul punto non vi fosse alcun preciso preventivo accordo tra le parti, assolutamente invece indispensabile ai fini del perfezionamento della vendita, atteso che l’unitarietà dell’oggetto di essa (l’intero stabile in un unico lotto) comportava ineluttabilmente l’unitarietà del prezzo, da pagarsi interamente o nell’uno o nell’altro modo (con versamento diretto da parte dell’aggiudicatario ovvero con erogazione a seguito di contratto di finanziamento).

La Corte, inoltre, ha ribadito anche l’insussistenza, nella specie, di una responsabilità extracontrattuale; ciò sia perchè la stessa, come affermato dal primo Giudice, non era stata validamente prospettata dalle parti (gli attori avevano infatti dedotto l’inadempimento dei convenuti per non essersi recati a versare il saldo prezzo, mentre i convenuti avevano dedotto l’inadempimento degli attori per non avere sottoscritto il contratto di mutuo) sia, comunque, perchè il ricorso al mutuo non costituiva una condotta doverosa delle parti nè sul piano contrattuale (non essendo stato, come detto, siffatto ricorso al mutuo preventivamente concordato tra i partecipanti) nè sul piano del “neminem laedere”, in quanto esso rientrava nelle facoltà di scelta di ciascuno e necessitava di un preventivo accordo (tra gli stessi partecipanti e con la Banca) circa le condizioni del finanziamento.

Avverso detta sentenza M.G. propone ricorso per Cassazione, affidato a dieci motivi.

V.A.M., D.D.G., Ma.El., D.M.R., A.A., Mo.Pa. e S.L. resistono con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 2909 c.c., artt. 327 e 334 c.p.c., si duole che la Corte territoriale, nonostante il passaggio in giudicato dei capi di sentenza con cui il Tribunale aveva ritenuto l’insussistenza di una sua responsabilità, si sia poi pronunciata sui motivi di appello incidentale proposti dagli attori aventi ad oggetto detti capi.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 1325,1370,1473 e 1474 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia considerato il prezzo (peraltro – per alcuni aspetti – determinato, e – per altri – determinabile) quale elemento essenziale dell’accordo tra tutti i mandanti.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 1703,1726,1321 e 1350 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia escluso la configurabilità di un accordo collettivo tra tutti i partecipanti, riscontrando la mancanza tra gli stessi di un chiaro accordo scritto in ordine sia al prezzo massimo di aggiudicazione sia alle modalità di versamento del prezzo; al riguardo evidenzia che per il detto accordo, avente ad oggetto l’obbligazione di pagare il prezzo dell’aggiudicazione secondo una determinata modalità, non era imposta la forma scritta, e che alla base dell’operazione e degli atti sottoscritti doveva ravvisarsi un accordo negoziale in forza del quale ciascuno dei partecipanti, siccome consapevole della rilevanza e dell’interdipendenza delle prestazioni, si era tacitamente impegnato verso gli altri offerenti.

Con il quarto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 111 Cost., comma 5 e art. 132 c.p.c., n. 4, si duole che la Corte non abbia adeguatamente motivato la asserita necessità, nonostante il prezzo di vendita fosse ben noto alle parti e chiaramente determinato, di una ulteriore scrittura di impegno tra i partecipanti stessi e verso il mandatario.

Con il quinto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 1321,1325 e 1470 c.c. nonchè degli artt. 572 e 574 c.p.c., si duole che la Corte abbia ritenuto non perfezionata la vendita a causa del ritenuto mancato accordo sul prezzo e sulle modalità di versamento dello stesso; al riguardo sostiene che la vendita, dal punto di vista astratto, si era già perfezionata al momento dell’aggiudicazione, mentre il trasferimento formale non si era potuto realizzare non perchè mancasse l’accordo ma perchè alcuni, disattendendo le condizioni contenute nell’offerta di acquisto, non avevano voluto consentire il versamento del saldo.

Con il sesto motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 1704 e 1388 c.c. con riferimento all’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., n. 4, si duole che la Corte, basando incoerentemente il proprio ragionamento sull’assenza di accordo tra i partecipanti in ordine al prezzo massimo di aggiudicazione ed alle modalità di versamento, non abbia considerato che la previa opzione alternativa del pagamento in contanti era stata solo prospettata nella dichiarazione di intenti, mentre l’obbligazione di sottoscrivere un finanziamento bancario era sorta, in capo a ciascun partecipante, per effetto dell’attività compiuta dalla mandataria, che, spendendo il potere di rappresentanza, aveva posto come condizione dell’offerta il ricorso ad un finanziamento bancario.

Con il settimo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostiene che la Corte abbia omesso di esaminare, vagliare e deliberare sul contenuto dell’offerta di acquisto del 30 aprile 2010 presentata dalla società mandataria in nome e per conto di tutti i partecipanti all’asta e sull’efficacia della stessa nella sfera giuridica dei mandanti; fatto decisivo in quanto dal contenuto di tale offerta discendeva l’obbligo degli stessi di pagare tramite istituto bancario (obbligo disatteso dagli attori).

Con l’ottavo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostiene che la Corte abbia omesso di esaminare e vagliare l’ordinanza del G.E. del 7-9-2010, con la quale era stato acclarato che l’unica modalità di pagamento ammessa per il saldo sarebbe stata il ricorso ad un finanziamento bancario.

Con il nono motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 2043 c.c., si duole che la Corte non abbia considerato che, a causa dell’efficacia della procura rilasciata alla Di.Gi.Do. srl, la modalità di pagamento attraverso il ricorso al finanziamento bancario non era più una facoltà di scelta ma un obbligo omologato dall’ordinanza di assegnazione.

Con il decimo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 111 Cost., comma 5, nonchè art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, si duole che la Corte non abbia adeguatamente motivato in ordine all’asserita insussistenza di un mandato collettivo, quando invece tutte le parti ne avevano sostenuto la sussistenza; il che era indice della congiunta volontà di tutte le parti in ordine al vincolo assunto non solo verso la mandataria ma anche tra loro stesse; la pretesa mancanza di accordo sul prezzo si appalesava, pertanto, al di fuori del “chiesto”.

Il primo motivo, a prescindere da ogni altra considerazione è inammissibile per difetto di interesse in capo al ricorrente; ed invero, la sentenza del Tribunale ha escluso la responsabilità del ricorrente M. e la sentenza della Corte, esaminando nel merito il gravame incidentale proposto sul punto, ha ribadito l’insussistenza di detta responsabilità, sicchè il M. non ha alcun interesse alla declaratoria di inammissibilità dell’appello vertente su tale capo di sentenza.

Tutti gli altri motivi sono tesi, in estrema sintesi, a far sostenere che vi fosse un obbligo degli attori di sottoscrivere un finanziamento bancario, e che il mancato adempimento di tale obbligo avesse comportato la decadenza dall’aggiudicazione.

Siffatti motivi sono inammissibili, atteso che la sussistenza o meno di tale obbligo costituisce accertamento in fatto, non sindacabile in questa sede, e comunque frutto di interpretazione dei negozi in questione (procura, dichiarazione di intenti, offerta di acquisto), senza che sia denunciata la violazione delle regole di interpretazione dei negozi medesimi.

Come infatti ripetutamente affermato da questa S.C., “l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali” (Cass. 27136/2017; conf. Cass. 2465/2015, Cass. 14355/2016).

In ogni modo, in particolare:

il secondo e quinto motivo sono inammissibili anche in quanto non colgono la ratio della sentenza impugnata, che ha escluso la sussistenza di un mandato collettivo per mancanza di qualsiasi accordo tra i soggetti interessati e, in particolare, per mancanza di accordo sulla predeterminazione del prezzo massimo e sulle modalità di pagamento del prezzo; nello specifico, perchè gli atti sottoscritti dalle parti (procura e dichiarazione di intenti) non contenevano gli elementi essenziali dell’operazione in questione (acquisto di un bene mobile all’asta), sicchè non poteva configurarsi siffatto mandato per indeterminatezza dell’oggetto;

Il settimo ed ottavo, con i quali si denunziano vizi motivazionali, non appaiono in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a dedurre il mancato esame del contenuto dell’offerta di acquisto del 30-4-2010 (settimo motivo) e dell’ordinanza del G.E. del 7-9-2010 (ottavo motivo), e quindi il mancato esame di documentazione, senza peraltro riportare in ricorso il contenuto di detta documentazione; al riguardo, pertanto, il ricorso è anche inammissibile, perchè generico e non in linea con quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (v., da ultimo, Cass. S.U. 7074/2017, in motivazione);

il quarto, sesto e decimo motivo, pur denunziando violazioni di legge, si risolvono in una non consentita critica alla motivazione adottata dalla Corte, e sono, quindi (anche per quanto già su precisato) inammissibili.

Nè la motivazione può ritenersi mancante o solo apparente ed in violazione del “minimo costituzionale” di esternazione dei motivi.

Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez unite 8053 e 8054/2014); nella specie la Corte di appello, come agevolmente desumibile dalla su esposta sintesi dell’impugnata sentenza, ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili.

In conclusione, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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