Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25030 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. III, 08/10/2019, (ud. 20/03/2019, dep. 08/10/2019), n.25030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2463-2016 proposto da:

D.I., elettivamente domiciliato in ROMA, V.G.G.BELLI 36,

presso lo studio dell’avvocato ANNESE PIETRO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

109, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO BERTOLONE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3470/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/03/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PIETRO ANNESE.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25/9/2015 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dal sig. D.I. in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 4946 del 2012, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dal sig. P.A. di risoluzione del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione stipulato nel luglio 2009 ed avente ad oggetto immobile sito in (OMISSIS), nonchè di condanna al pagamento di somma a titolo di risarcimento danni.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il D. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

Resiste con controricorso il P., che ha presentato anche memoria.

Già chiamata all’udienza del 5/10/2017, essendo successivamente alla camera di consiglio stata emessa la sentenza n. 23601 del 2017 delle le Sezioni Unite di questa Corte (che si sono pronunziate sulla questione della tardività della registrazione del contratto di locazione, affermando il seguente principio di diritto: “Il contratto di locazione di immobili, sia ad uso abitativo che ad uso diverso, contenente ab origine l’indicazione del canone realmente pattuito (e, dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, è nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, ma, in caso di tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, può comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, atteso che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” è coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullità (funzionale) “per inadempimento” all’obbligo di registrazione”), la causa è stata rinviata alla pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 1418 c.c., L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito non abbia dichiarato la nullità del contratto, pur avendo riconosciuto la tardività della registrazione del contratto, laddove “la certificazione dell’Agenzia delle Entrate prodotta da controparte (doc. 5 del fascicolo Cassazione e doc. 11 del fascicolo I del P.) è del 18.6.2010 e non inerisce assolutamente al contratto per cui è causa del luglio 2009”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso il ricorrente pone a relativo fondamento atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, il “ricorso ex art. 447 bis c.p.c.”, il “contratto di locazione ad uso commerciale stipulato nel luglio 2009 (doc. 4 del fascicolo Cassazione, doc. 1 del fascicolo di I di P. e doc. 2 del fascicolo di I di D.)”, la “domanda riconvenzionale”, l'”attestazione dell’Agenzia delle Entrate di registrazione (doc. 5 del fascicolo Cassazione e doc. 11 del fascicolo di I del P.)”, il “contratto per cui è causa… privo di timbro di registrazione (doc. 4 del fascicolo Cassazione doc. 1 del fascicolo di I di P. e doc. 2 del fascicolo di I di D.)”, la sentenza del giudice di prime cure, l’atto di appello, il “4 motivo pagg. 19 e 20 della comparsa di costituzione e risposta dell’11.1.2011 in primo grado e doc. 11 del fascicolo Cassazione)”, il “motivo di gravame in sede di appello (doc. 12 del fascicolo Cassazione, 1 motivo pagg. 14 e 15 dell’atto di appello del 28.3.2012… (doc. 5 del fascicolo Cassazione e doc. 11 del fascicolo di I del P.)”, il “contratto… sottoscritto nel luglio 2009 (doc. 4 del fascicolo Cassazione e doc. 11 del fascicolo di I del P. e doc. 2 del fascicolo di I di D.)”) limitandosi meramente a richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

E’ al riguardo appena il caso di osservare anche ai fini della censura di error in procedendo ex art. 112 c.p.c. il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 deve essere invero dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (come ripetutamente da questa Corte ripetutamente affermato: v., da ultimo, Cass., 9/3/2018, n. 5649, nonchè, con particolare con riferimento all’ipotesi dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), giacchè pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934 e Cass., 25/9/2017, n. 22333).

Va per altro verso posto in rilievo come, al di là della formale intestazione del motivo, il ricorrente deduca in realtà doglianza (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’insufficienza o l’omissione della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Quanto al merito, va osservato come nell’affermare che nella specie “il P. ha… provato, depositando la relativa certificazione dell’Agenzia delle Entrate, che il contratto de quo è stato registrato, anche se con ritardo, per cui non sussiste l’invocata nullità dello stesso” in quanto “la nullità del contratto di locazione prevista dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, rimane sanata con effetto ex nunc dal momento della registrazione e ciò rende valido il contratto” la corte di merito abbia nell’impugnata sentenza fatto invero sostanzialmente corretta applicazione del riportato principio posto da Cass., Sez. Un., n. 23601 del 2017, salvo che in ordine alla decorrenza della sanatoria che è ex tunc (e non già ex nunc), in tal senso dovendo pertanto ex art. 384 c.p.c., comma 4, la medesima correggersi sul punto.

Va al riguardo ulteriormente posto in rilievo come nell’impugnata sentenza la corte di merito abbia d’altro canto escluso, facendo corretta applicazione del principio in argomento affermato da questa Corte di legittimità, che possa ritenersi “motivo di nullità del contratto la previsione di canoni differenziati atteso che è oramai consolidato l’orientamento di legittimità che reputa legittima, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, la previsione pattizia di canoni in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, qualora questa sia ancorata ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendenti dalle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta, ovvero qualora la riduzione iniziale del canone annuo risulti giustificata da una serie di impegni da parte del conduttore e/o per agevolare quest’ultimo nel primo periodo della sua attività economica”, atteso che “nel caso di specie… la riduzione iniziale del canone è stata pattuita proprio “in considerazione dei lavori si straordinaria manutenzione che il conduttore effettuerà sull’immobile e dei costi di avviamento (cfr. art. 3 del contratto di locazione)””.

Non può infine sottacersi che là dove si duole che “la tardiva certificazione di registrazione dell’Agenzia delle Entrate prodotta ex adverso” inerisce ad “altro e diverso contratto di locazione, non oggetto del presente giudizio, mentre il contratto per cui è causa” è “privo del timbro di registrazione” il ricorrente inammissibilmente prospetta in realtà un vizio revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via il ricorrente in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuno del controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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