Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25029 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. I, 09/11/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 09/11/2020), n.25029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17957/2018 proposto da:

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., n. (OMISSIS), in persona dei curatori

avv. N.V., e Dott. S.G., elettivamente

domiciliato in Roma, Via Cicerone n. 60, presso lo studio

dell’avvocato Altamura Fabio, rappresentato e difeso dall’avvocato

Sorrentino Giancarlo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Fisciano, in persona del sindaco pro tempore, domiciliato

in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Basso Paola, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di SALERNO, depositato il

03/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2020 dal Cons.Dott. NAZZICONE LOREDANA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS Stanislao, che ha concluso per l’inammissibilità del primo

motivo, accoglimento del secondo motivo, assorbiti i restanti;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Sorrentino che si riporta.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Escluso dallo stato passivo del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., il Comune di Fisciano ha presentato opposizione allo stato passivo dinanzi il Tribunale di Salerno ai fini dell’ammissione del complessivo importo di Euro 4.044.746,96, per somme dovute a titolo di penale, spese necessarie per il completamento di opere non ultimate dalla (OMISSIS) s.r.l. e spese sostenute per procedure espropriative, in relazione ad una convenzione conclusa tra il Comune di Fisciano e la società, avente ad oggetto la costituzione del diritto di superficie su aree comunali al fine della realizzazione di un intervento edilizio di entità rilevante.

Il g.d. aveva, infatti, interamente respinto la pretesa, avendo rilevato non potersi escludere la corresponsabilità dell’ente territoriale nei ritardi e negli inadempimenti addebitati alla società appaltante, posto che gli interventi edilizi erano previsti su suolo di proprietà del Comune, il quale doveva fornire il necessario supporto amministrativo e burocratico.

Il Tribunale di Salerno con Decreto 3 maggio 2018, n. 1346, ha ammesso il credito del Comune nella misura di Euro 2.001.354,03, in chirografo.

Avverso questo decreto propone ricorso la procedura, sulla base di sette motivi, cui resiste il Comune con controricorso.

Le parti hanno depositato le memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso propone sette motivi, come di seguito riassunti:

1) difetto di giurisdizione, per essere la controversia affidata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 11,L. n. 1034 del 1971, artt. 5 e 7,. 33 e 34 D.Lgs. n. 98 del 1998, artt. 33 e 34, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000; disposizioni poi trasfuse nell’art. 133 c.p.a., del quale rilevano le lettere a) n. 2, b), c) ed f) del comma 1, venendo in rilievo la concessione del diritto di superficie per la realizzazione di interventi di edilizia residenziale pubblica, si è in presenza di una concessione di beni pubblici, che ha anche valenza attuativa e sostitutiva di provvedimenti amministrativi, afferente pure all’urbanistica;

2) vizio di ultrapetizione, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 1453 c.c. e segg., in quanto il Comune non ha mai chiesto la risoluzione del contratto, nè agito assumendo che la stessa fosse intervenuta ipso iure, avendo solo richiesto dati importi per l’inadempimento del concessionario;

3) vizio di ultrapetizione in relazione alla L. Fall., art. 72 e violazione degli artt. 1453 c.c. e segg., in quanto l’orientamento giurisprudenziale formatosi sulla prima disposizione reputa che, intervenuto il fallimento, l’altro contraente non possa più chiedere la risoluzione contro la curatela;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1372,1453 c.c. e segg., L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 37, in quanto il Tribunale avrebbe dovuto pronunciare non la risoluzione del contratto, ma la decadenza del concessionario, con gli effetti e conseguenze previste dall’art. 19 della convenzione inter partes; inoltre, sono stati violati gli artt. 113 e 114 c.p.c., quanto alla ritenuta operatività ex nunc della risoluzione, ai sensi dell’art. 1458 c.c., alla permanenza in capo al fallimento del diritto di superficie ed all’esclusione dell’indennizzo; infatti, l’art. 19 citato ed i precetti di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 37, prevedono l’estinzione del diritto di superficie in capo al concessionario ed il subentro dell’ente concedente nei rapporti necessari per il completamento degli interventi medesimi; inoltre, il 16 giugno 2016 la curatela ha esercitato la facoltà di sciogliersi dai contratti;

5) violazione delle norme in ordine all’esercizio delle responsabilità pubbliche e ai compiti del Comune in materia edilizia residenziale pubblica, nonchè delle norme a tutela della massa fallimentare: invero, la decisione del Tribunale esonera il Comune dall’assolvere i propri compiti nei rapporti di edilizia residenziale pubblica, finendo per premiare la sua inerzia; la soluzione ipotizzata circa la vendita degli alloggi ai promissari acquirenti è distonica rispetto alla natura stessa del fallimento, che, a tutela della par condicio, cura l’interesse primario alla massima capitalizzazione del patrimonio;

6) violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1372,1382,1453 c.c. e segg., art. 2697 c.c., L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 37 e dei principi in materia di risarcimento del danno ed ammissione dei crediti di natura risarcitoria al passivo, perchè il credito ammesso non avrebbe potuto superare l’importo della penale contemplata dall’art. 19, della convenzione, mentre la c.t.u. aveva ritenuto la penale comprensiva di ogni danno; inoltre, il Tribunale avrebbe dovuto accogliere l’eccezione di prescrizione, formulata dal fallimento nella comparsa di risposta con riguardo al maggior credito ex art. 19 cit., determinato dal c.t.u. in Euro 6.203.514,50 e conseguente alla retrocessione del diritto di superficie in capo al Comune; nè il Comune ha speso alcunchè a titolo di costi per il mancato completamento delle opere di urbanizzazione e per procedure espropriative; di conseguenza, sono state ammesse al passivo voci di danno pro futuro, prive dei requisiti necessari per l’ammissione e in violazione della par condicio creditorum;

7) violazione dell’art. 91 c.p.c., in quanto la riforma del decreto comporterà la liquidazione delle spese di lite secondo il principio di soccombenza.

2. – Il decreto impugnato ha ammesso il credito del Comune nella misura di Euro 2.001.354,03, in chirografo, avendo affermato come, in conseguenza dei gravi inadempimenti degli obblighi assunti nei termini stabiliti, dedotti dal Comune in capo alla società in bonis (pagamento dei costi dell’esproprio, realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, ed altro), rimasti non contestati, sussistano i presupposti per la risoluzione della convenzione per inadempimento della società, con esclusione, peraltro, della retroattività della risoluzione con riguardo alle prestazioni già eseguite, alla stregua dell’art. 1458 c.c., essendosi ormai consolidate le situazioni degli assegnatari con contratto definitivo ed, altresì, quelle dei titolari di contratti preliminari di compravendita, non risultando neppure al riguardo che la procedura abbia esercitato il diritto di sciogliersi dal rapporto, ai sensi della L. Fall., artt. 72 e 72-bis.

Di conseguenza, la risoluzione della convenzione urbanistica non ha comportato la retrocessione del diritto di superficie al Comune di Fisciano, anche perchè sui suoli relativi sono maturati diritti in favore di terzi di buona fede; la mancata retrocessione comporta, inoltre, che tutti i diritti restano in capo alla società e che nessun indennizzo le compete.

Regolando gli altri effetti della dichiarata risoluzione per inadempimento, ha quantificato la somma complessiva della penale contrattuale, pattuita per ogni mese di ritardo nella consegna (Euro 230.000,00), ed ha liquidato altresì il danno per l’inadempimento all’obbligo di sostenere i costi di esproprio (Euro 1.253.065,70) e quelli per le spese di urbanizzazione (Euro 518.288,33).

3. – Il primo motivo è inammissibile, sussistendo al riguardo il giudicato interno.

Come rilevato dal Procuratore generale, la questione di giurisdizione è stata affrontata e risolta dal tribunale in sede di opposizione, dove la questione era stata posta dal Fallimento (con le note conclusive del 14 febbraio 2016); dunque, il giudice del merito non ha osservato il principio consolidato, secondo cui la statuizione di merito comporta una pronuncia implicita sulla giurisdizione ed il giudice dell’impugnazione non può riesaminare d’ufficio quest’ultima, in assenza di specifico gravame sul punto.

Invero, il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione e le parti abbiano (come nella specie) prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando (con l’atto di opposizione ovvero con la prima memoria difensiva) il decreto sotto questo profilo (Cass. n. 13750 del 2019).

Pertanto, la prospettata questione di giurisdizione impone di accertare il consolidamento in capo al giudice ordinario del potere di giudicare, per effetto della formazione di un giudicato implicito sulla relativa attribuzione (così Cass., sez. un., n. 24150 del 2013).

E “(l’)a L. Fall., art. 99, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso impugnatorio, esclude l’ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, e di nuovi accertamenti di fatto, sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione che solleciti l’esame di questioni, di fatto o di diritto, non prospettate, ritualmente e tempestivamente, nel giudizio di opposizione” (Cass. n. 22006 del 2017; nonchè es. Cass. 25 febbraio 2020, n. 4952, non massimata).

3. – Il secondo, terzo e quarto motivo, che possono congiuntamente essere trattati, in quanto si dolgono, sotto vari profili, della pronuncia risolutoria da parte del giudice del merito, sono fondati, nei limiti di seguito esposti.

Invero, il Comune di Fisciano aveva chiesto innanzi al T.a.r. Campania, come risulta dal ricorso, di accertare l’inadempimento dello (OMISSIS) s.r.l. e la condanna della medesima all’esatto adempimento, o, in mancanza, all’adempimento per equivalente, nonchè la condanna al risarcimento del danno, nella misura della penale indicata nell’art. 19 della convenzione; e tali domande furono riproposte innanzi al giudice fallimentare, come risulta dal decreto impugnato.

Tuttavia, il giudice del merito ha pronunciato sulla risoluzione del rapporto, in violazione dell’art. 112 c.p.c..

Alla diversità di azioni si accompagna la diversità dei presupposti e degli effetti, con la conseguenza che si appalesa privo di pregio il rilievo svolto nel controricorso ove si deduce la carenza di interesse del Fallimento a far valere il dedotto vizio di ultrapetizione.

Con riguardo, in particolare, al quarto motivo, giova osservare che esso denunciando correttamente l’errore di diritto e di fatto nell’interpretazione della convenzione, è del pari fondato, posto che la convenzione, per il caso di inadempimento, non prevedeva la risoluzione, ma la decadenza di (OMISSIS) s.r.l. dal diritto di superficie, con la restituzione al Comune dei terreni in contestazione, nonchè un indennizzo in favore della fallita per i costi sopportati per l’acquisizione delle aree e l’edificazione, indennizzo che il curatore ha eccepito in compensazione.

4. – I rimanenti motivi restano assorbiti.

5. – Il decreto impugnato va dunque cassato, con rinvio al Tribunale di Salerno, in diversa composizione, affinchè, emendato il vizio processuale ed applicando la convenzione, pronunci sulla domanda di ammissione del credito vantato dal Comune.

Al medesimo Ufficio si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo ed accoglie il secondo, il terzo ed il quarto, dichiarando assorbiti gli altri; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, innanzi al Tribunale di Salerno, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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