Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25027 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 23/10/2017, (ud. 31/05/2017, dep.23/10/2017),  n. 25027

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17183/2016 proposto da:

G.N.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

NOMENTANA 257, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO SORANA;

– ricorrente –

contro

G.I., G.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 438/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata l’1/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 31/05/2017 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

G.N.R. propone ricorso per cassazione contro G.I. ed E., che non resistono con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona che ha rigettato il gravame a sentenza del Tribunale di Ancona, sezione di Fabriano, che, a sua volta, aveva rigettato la domanda di usucapione, in mancanza di prova del decorso del prescritto periodo ultraventennale, non essendo emerso con certezza il dies a quo del possesso dell’attore anzi trattavasi di mera detenzione riconducibile alla messa a disposizione da parte della madre, intestataria dell’immobile.

Il ricorrente denunzia, col primo motivo, violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. e vizi di motivazione, col secondo le stesse violazioni in relazione ai motivi di gravame proposti, col terzo dell’art. 2697 c.c. e art. 112 c.p.c., anche in relazione alla riconvenzionale di G.I., col quarto violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., sulla mancata ammissione della prova.

Le censure, non risolutive, non meritano accoglimento limitandosi a contrapporre una propria tesi alle affermazioni contenute nella sentenza.

Per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n. 11000, Cass. n. 18392/2006, Cass. n. 362/2017), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto, manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. n. 25498/2014, Cass. n. 10894/2013, Cass. 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n. 10652).

Non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione, ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta (Cass. n. 356/2017).

Il sindacato di legittimità sulla motivazione presuppone una violazione dell’art. 132 c.p.c., ipotesi rinvenibile quando la sentenza è del tutto priva di motivazione, non consente di individuare l’iter logico seguito nella decisione, con evidente violazione delle norme sui requisiti minimi della decisione.

Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, deve essere interpretato, alla luce dei canoni di cui all’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione con riferimento alla mancanza assoluta dei motivi, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, alla motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione (Cass. 14324/15, S.U. 8053/14).

La domanda di usucapione è stata correttamente respinta perchè non era stato dimostrato l’inizio del possesso anzi si configurava una mera detenzione riconducibile alla messa a disposizione da parte della madre, intestataria dell’immobile ed il ricorso richiede un inammissibile riesame del merito trattandosi di valutazione delle prove e nemmeno riporta l’articolato di cui si lamenta la mancata ammissione come rilevato nella proposta di rigetto per manifesta infondatezza.

Va peraltro rilevato che tra parenti la prova deve essere più rigorosa per superare la presunzione di tolleranza come da conforme a consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11277/2015, Cass. 20.2.2008 n. 4327 ex plurimis).

In particolare il primo motivo, che lamenta la illegittima riduzione della lista testimoniale, è nuovo.

Qualora una determinata questione giuridica – che implica un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare – “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. nn. 8206/2016 e 25546/2006).

Il secondo motivo si limita a dedurre che il ricorrente aveva fornito la prova del possesso e che la sentenza è contraddittoria ed illogica.

Il terzo motivo rivolge le proprie critiche più alla sentenza di primo grado che a quella di appello, lamentando che il giudice del gravame, investito di un motivo di impugnazione, si sia limitato a dedurre trattarsi di mera detenzione ma non riporta la prova testimoniale invocata mentre è carente di interesse in ordine alla denunziata ultrapetizione rispetto alla riconvenzionale.

Il quarto motivo lamenta la mancata ammissione di una prova non riportata.

Sul punto è il caso di evidenziare che la Corte di appello ha statuito che la espletata prova testimoniale non aveva messo in luce elementi sufficienti da cui desumere l’esistenza di un possesso utile ad usucapionem anzicchè di una mera detenzione, avendo i testi riferito della mera disponibilità dell’immobile, senza indicazione precisa del periodo di decorrenza mentre il capitolo dedotto in appello era inammissibile per il principio di infrazionabilità della prova ed ininfluente ai fini della decisione.

Questa statuizione viene solo genericamente contestata senza spiegare la decisività delle circostanze invocate, nemmeno riportate, per cui la censura si limita a chiedere un tardivo riesame del merito.

In definitiva, il ricorso va interamente rigettato, senza pronunzia sulle spese e senza raddoppio del contributo unificato stante l’ammissione al gratuito patrocinio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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