Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25025 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/10/2017, (ud. 21/06/2017, dep.23/10/2017),  n. 25025

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 614-2012 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati SERGIO PREDEN, GIUSEPPINA GIANNICO, LUIGI CALIULO,

ANTONELLA PATTERI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.F.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato

PAOLO BOER, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ALBERTO BOER, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5126/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2011 R.G.N. 2543/2010.

Fatto

RITENUTO

che B.F.G., dipendente Telecom in possesso dei requisiti per godere della pensione di anzianità, esercitata in data 1.1.04 l’opzione per rimanere in servizio ai sensi della L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 12, chiedeva che nella retribuzione pensionabile fossero inclusi i 2/12 della 13^ mensilità relativa all’anno 2003, i 10/12 della 13^ mensilità relativa all’anno 2004, gli 8/12 della 14^ mensilità del 2004 e i 4/12 della 14^ relativa al 2005″;

che accolta la domanda e proposto appello dall’INPS, la Corte d’Appello di Roma (sentenza 4.07.11) rigettava l’impugnazione, rilevando che per il disposto della L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 12-13, per il calcolo della pensione avrebbe dovuto computarsi la retribuzione in godimento al momento dell’esercizio dell’opzione, considerando non solo le somme effettivamente percepite, ma anche quelle che sarebbero state percepite se il rapporto fosse effettivamente cessato alla data di esercizio dell’opzione;

che propone ricorso per cassazione l’INPS con unico motivo nel quale deduce la violazione e falsa applicazione di legge atteso che ai fini della determinazione della retribuzione pensionabile, a favore dei lavoratori che hanno esercitato l’opzione, si applica il principio generale secondo cui le gratifiche e le mensilità eccedenti la 13^ devono essere computate nel periodo di paga in cui sono effettivamente percepite, secondo il “generale criterio di cassa che regola la contribuzione”; pertanto la contribuzione corrisposta direttamente al lavoratore per effetto dell’opzione, L. n. 243, ex art. 1, commi 12 – 13, includeva i ratei di 13^ e 14^ già maturati i quali non potevano quindi entrare nella retribuzione pensionabile;

che B.F.G. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che secondo la L. n. 243 del 2003, art. 1, commi 12: “Per il periodo 2004-2007, al fine di incentivare il posticipo del pensionamento, ai fini del contenimento degli oneri nel settore pensionistico, i lavoratori dipendenti del settore privato che abbiano maturato i requisiti minimi indicati alle tabelle di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, commi 6 e 7, per l’accesso al pensionamento di anzianità, possono rinunciare all’accredito contributivo relativo all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidita, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e alle forme sostitutive della medesima. In conseguenza dell’esercizio della predetta facoltà viene meno ogni obbligo di versamento contributivo da parte del datore di lavoro a tali forme assicurative, a decorrere dalla prima scadenza utile per il pensionamento prevista dalla normativa vigente e successiva alla data dell’esercizio della predetta facoltà. Con la medesima decorrenza, la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all’ente previdenziale, qualora non fosse stata esercitata la predetta facoltà, è corrisposta interamente al lavoratore.

che il successivo comma 13 stabilisce: “All’atto del pensionamento il trattamento liquidato a favore del lavoratore che abbia esercitato la facoltà di cui al comma 12 è pari a quello che sarebbe spettato alla data della prima scadenza utile per il pensionamento prevista dalla normativa vigente e successiva alla data dell’esercizio della predetta facoltà, sulla base dell’anzianità contributiva maturata alla data della medesima scadenza. Sono in ogni caso fatti salvi gli adeguamenti del trattamento pensionistico spettanti per effetto della rivalutazione automatica al costo della vita durante il periodo di posticipo del pensionamento”;

che la questione oggetto del giudizio attiene alla determinazione della retribuzione pensionabile per il lavoratore che ha esercitato l’opzione e goduto del c.d. bonus relativo al posticipo del pensionamento stabilito dalle norme citate; dovendosi in particolare stabilire se, in seguito al godimento del bonus, la retribuzione pensionabile includa anche il computo dei ratei di 13ma e 14ma già maturati all’atto della domanda di esercizio dell’opzione per il conseguimento del bonus e la prosecuzione del rapporto di lavoro;

che,, a fronte della tesi sostenuta dalla difesa del controricorrente, ed accolta della sentenza impugnata, secondo cui la pensione (e la sua base pensionabile) si cristallizza al momento dell’esercizio dell’opzione, con inclusione dei ratei di 13ma e 14ma maturati e su cui erano dovuti i contributi; si contrappone la tesi dell’INPS secondo la quale nel maturato che integra la base pensionabile non si calcolano i predetti ratei in quanto i contributi sulle componenti extramensili devono essere pagati solo nel periodo di paga (dicembre per la 13ma e giugno per la 14ma) in cui vengono effettivamente corrisposte, secondo il criterio di cassa che regola il pagamento della contribuzione; e che, pertanto, essi erano dovuti al lavoratore nel corso della prosecuzione del rapporto, in conformità al criterio stabilito dalla legge secondo cui con l’esercizio dell’opzione il lavoratore rinuncia alla contribuzione e la somma corrispondente alla contribuzione che il datore di lavoro avrebbe dovuto versare all’ente previdenziale, qualora non fosse stata esercitata la predetta facoltà, viene corrisposta interamente al lavoratore;

che la tesi patrocinata dall’INPS è infondata essendo smentita dalla L. n. 243 del 2003, art. 1, comma 13 dal quale risulta chiaramente che il trattamento pensionistico liquidato a favore del lavoratore che abbia esercitato la facoltà di opzione deve essere ” pari a quello che sarebbe spettato” ove egli non avesse esercitato la stessa facoltà; e, poichè in caso di cessazione del rapporto sui ratei di 13ma e 14ma maturati sarebbero stati versati i contributi, in quanto rientranti nella retribuzione imponibile, lo stesso deve accadere per l’ipotesi di opzione e prosecuzione del rapporto, in base al criterio di parità ed alla fictio iuris previsti dalla norma;

che in conclusione la retribuzione pensionabile equivale alla retribuzione imponibile, mentre il criterio di cassa per il pagamento dei contributi dovuti in relazione a gratifiche, conguagli e premi, stabilito dal D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 6, comma 9 può operare soltanto per i normali rapporti in corso, ma non per quelli cessati prima del mese di corresponsione delle stesse somme;

che la tesi accolta non sarebbe smentita neppure ove la contribuzione di cui si discute, relativa ai ratei delle componenti extramensili della retribuzione (13ma e 14ma) virtualmente maturati nell’anno solare prima della domanda di opzione, fosse stata per errore versata al lavoratore nel mese di corresponsione della somma (secondo il principio stabilito dall’art. 1, comma 12 cit.) venendosi in tal caso a configurare l’ipotesi del pagamento indebito;

che pertanto la sentenza della Corte territoriale si sottrae alle censure di cui al ricorso dell’INPS che va rigettato;

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2200 di cui 2000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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