Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25022 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. III, 08/10/2019, (ud. 18/01/2019, dep. 08/10/2019), n.25022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21899-2017 proposto da:

V.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

LUCIANO SCRIVANO;

– ricorrente –

contro

HDI GLOBAL SE, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZA UNITA’ 13, presso lo studio dell’avvocato

LUISA RANUCCI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLO FERRATI;

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARESCIALLO

PILSUDISKI, 118, presso lo studio dell’avvocato EMANUELA PAOLETTI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCA DI

MARCO;

ALLIANZ SPA, nelle persone dei suoi procuratori speciali,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo

studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e

difende;

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore ad negotia,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso

lo studio dell’avvocato PLACIDI STUDIO, rappresentata e difesa dagli

avvocati MARIA GRAZIOSI, FEDERICO POSTIGLIONI;

G.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CLAUDIO GIANCOLA;

B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, V.CICERONE 49,

presso lo studio dell’avvocato SVEVA BERNARDINI, rappresentato e

difeso dagli avvocati LIVIO MATASSA, MAURO MAZZUCATO;

LA.MA., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che lo rappresenta e

difende;

MARIA CECILIA HOSPITAL SPA in persona del Presidente del consiglio di

amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MARESCIALLO PILSUDISKI, 118, presso lo

studio dell’avvocato EMANUELA PAOLETTI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANDREA MASSIMO ASTOLFI, FRANCESCA DI MARCO;

– controricorrenti –

e contro

AZIENDA OSPEDALIERA DI BOLOGNA POLICLINICO S ORSOLA MALPIGHI,

B.M.C., P.G.M., LLOYD ADRIATICO ASSICURAZIONI

SPA, GENERALI ASSICURAZIONI SPA, INA ASSITALIA SPA, MILANO

ASSICURAZIONI SPA, RAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1310/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 05/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/01/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 5/6/2017 la Corte d’Appello di Bologna ha respinto il gravame interposto dal sig. V.M. in relazione alla pronunzia Trib. Bologna n. 2428/2011, di rigetto della domanda proposta nei confronti della società Villa Maria Cecilia s.p.a. ed altri di risarcimento di danni lamentati in conseguenza di intervento di anuloplastica mitralica effettuato presso la predetta struttura sanitaria e dal quale “era scaturita una endocardite dell’anulus nativo per effetto di contaminazione batterica della impiantata protesi anulare di Carpentier, che aveva cagionato proliferazioni endocarditiche ed emboligene non tempestivamente diagnosticate e causa di episodi ischemici cerebrali con definitivo danno dell’encefalo”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il V. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società Maria Cecilia Hospital s.p.a. (già Villa Maria Cecilia s.p.a.), i sigg. L.A., B.P., G.R., La.Ma., la società Unipolsai Assicurazioni s.p.a., Allianz s.p.a. Hdi Global Se, che hanno presentato anche memoria.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 193 e 195 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia “violazione, errata applicazione” degli artt. 100,353 e 354 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che, a fronte delle articolate censure mosse alla sentenza del giudice di prime cure (che in ossequio al requisito ex art. 366 c.p.c., comma 1, debitamente riporta nel ricorso), la corte di merito si sia nell’impugnata sentenza espressa “in termini evanescenti”, limitandosi ad affermare trattarsi di “”irrilevanti censure” e “mancanza di rilievo tecnico” relative alla C.T.U.” e che “”le doglianze relative al merito della valutazione peritale” sarebbero apodittiche ecc.”, nonchè ad “enunciare il giudizio nel quale riassume la sua valutazione (… corretto, apodittico, ininfluente ecc.)”, senza invero dare conto, “anche in termini stringati”, del “processo cognitivo attraverso il quale” è passata “dalla sua situazione d’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio”.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerata la propria impugnazione di nullità della CTU in ragione della “gravità dell’affermazione della CTU Dott.ssa C., la quale ammette di non essersi approcciata sin dall’inizio alla consulenza avendo aprioristicamente maturato il convincimento dell’inesistenza di colpa dei convenuti”, nullità “rilevabile d’ufficio”.

Lamenta che “la C.T.U. Dott.ssa C.” non ha “preso in considerazione e contestato i rilievi svolti sul punto dal Dott. A. (che addirittura non ha allegato alla perizia)”, seppur “oggetto di un puntuale, esaustivo motivo di censura svolto in appello”.

Si duole che, diversamente da quanto erroneamente indicato nell’impugnata pronunzia, “non ha chiesto il rinvio al primo giudice”, ma, oltre a formulare “critiche specifiche al comportamento dei medici di Villa Maria Cecilia e del (OMISSIS)”, ha fatto istanza di “ripetizione della Consulenza in appello”.

Con il 3 motivo denunzia violazione degli artt. 1175,1176,1218,1223,1337,2230 e 2050 c.c., artt. 2697 e 2727 c.c., “violazione o mancata applicazione” degli artt. 112,115 e 191 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la stessa corte di merito, nell’acriticamente recepire le risultanze della CTU, nell’impugnata sentenza “dubita in ordine all’operazione dei medici ritenendo soltanto “probabile” (ma non provato) che il professionista abbia agito correttamente”.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che, come tempestivamente contestato in sede di merito, la “responsabilità dei medici consiste nel fatto che l’anello impiantato è stato estratto da un contenitore relativo ad un anello da 34 mm. Il che dimostra che l’anello da 36 mm. (come risulta dalla cartella clinica prodotta proprio dalla Casa di Cura Maria Cecilia) era stato in precedenza estratto dal proprio contenitore, dopo di che, constatato in tale circostanza che non serviva all’uso, era stato riallocato in un diverso contenitore”.

Con il 4 motivo denunzia violazione degli artt. 342 e 163 c.p.c., art. 2055 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che trattandosi di responsabilità solidale, ben può “pretendere la totalità della prestazione anche da uno solo dei coobbligati, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe e la diseguale efficienza causale di esse possono avere rilevanza unicamente ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.

Come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, il C.T.U., pur non esercitando funzioni giudiziarie in senso tipico, svolge nell’ambito del processo una pubblica funzione quale ausiliare del giudice nell’interesse generale e superiore della giustizia, rispondendo penalmente, disciplinarmente e civilmente della prestata attività, con obbligo di risarcire il danno cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio (v. Cass., 18/9/2015, n. 18313; Cass., 5/8/2010, n. 18170; Cass., 8/5/2008, n. 11229. E già Cass., 25/5/1973, n. 1545).

Si è sotto altro profilo sottolineato che il giudice del merito non è tenuto ad esporre in modo puntuale le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, potendo limitarsi ad un mero richiamo di esse, sicchè non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca per relationem le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, limitandosi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (cfr. Cass., 14/2/2019, n. 4352; Cass., 11/5/2012, n. 7364; Cass., 4/5/2009, n. 10222; Cass., 20/5/2005, n. 10668).

Si è al riguardo ulteriormente precisato che delle risultanze della disposta CTU, nella specie di tipo percipiente (cui il giudice, pur essendo peritus peritorum, ricorre ove non abbia le cognizioni tecnico-scientifiche necessarie ed idonee a ricostruire e comprendere la fattispecie concreta in esame nella sua meccanicistica determinazione ed evoluzione: v., da ultimo, Cass., 20/11/2018, n. 29828), in quanto tale fonte oggettiva di prova (cfr. Cass., 30/9/2014, n. 20548; Cass., 27/8/2014, n. 18307; Cass., 26/2/2013, n. 4792; Cass., 20/10/2014, n. 22222; Cass., 13/3/2009, n. 6155; Cass., 19/1/2006, n. 1020), il giudice è tenuto a dare atto dei risultati conseguiti e di quelli viceversa non conseguiti o non conseguibili sulla base delle relative risultanze, in ogni caso argomentando su basi tecnico-scientifiche e logiche (v. Cass., Cass., 22/2/2016, n. 3428; Cass., 26/2/2013, n. 4792; Cass., 13/3/2009, n. 6155; Cass., 19/1/2006, n. 1020).

Orbene i suindicati principi sono stati dalla corte di merito in parte disattesi nell’impugnata sentenza.

A fronte di specifiche e puntuali censure mosse dall’odierno ricorrente allora appellante, (secondo cui come “da noi dedotto in… udienza “a) la Dott.ssa C., per come espressamente ammesso (v. pag. n. 24 dell’elaborato peritale) non ha mai sottoposto a visita l’ing. V. poichè ha ritenuto intuitivamente che non sussistevano elementi di colpa in capo ai sanitari convenuti per cui fu una decisione implicita quella di omettere la visita del sig. V. visto che non era possibile collegare causalmente il quadro menomativo attuale con il comportamento dei sanitari convenuti” (pag. n. 25 CTU), formulando l’assunto per cui “quanto occorso… non debba essere oggetto di valutazione medico-legale (pag. n. 24 CTU). Anche l’atto di appello (- primo motivo – che non è stato preso in considerazione dalla Sentenza) afferma a pag. 19: “Sorprende che i consulenti tecnici d’ufficio, che avrebbero dovuto rispondere ai quesiti formulati dal giudicante “esaminati gli atti e la documentazione clinica, visitato il periziando, ed esperito ogni altro accertamento del caso”, abbiano del tutto omesso di sottoporre a visita il signor V., tralasciando un adempimento che, lungi dall’avere carattere eventuale, rappresenta specifica modalità di espletamento della consulenza d’ufficio, così come ammessa dal giudice e, come tale, era doverosa oltre che indispensabile. La visita del signor V., dunque, rilevava sia dal punto di vista della corretta ricostruzione e della compiuta valutazione della vicenda oggetto di perizia; sia dal punto di vista del completo ed esaustivo apprezzamento delle domande formulate da parte attrice, in quanto concernenti lo stato di salute dell’individuo che una consulenza tecnica medico legale avrebbe dovuto valutare, osservare ed accertare. Al contrario la CTU svolta nel primo grado di giudizio le cui conclusioni sono state acriticamente recepite dal giudice nelle sentenze oggetto di impugnazione si è limitata ad affermare che “fu una decisione implicita quella di omettere la visita del Signor V., giacchè “emerse con chiarezza che non sussistevano elementi di colpa in capo ai sanitari convenuti”. Appare evidente la gravità dell’affermazione della C.T.U., Dott.ssa C., la quale ammette di essersi approcciata sin dall’inizio alla consulenza avendo aprioristicamente maturato il convincimento dell’inesistenza di colpa dei convenuti. A questo punto tuttavia risulta violato il compito base di “bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli” attribuito alla C.T.U. la cui mancanza di imparzialità candidamente ammessa non può che determinare la nullità della consulenza stessa, rilevabile d’ufficio, posto che alla ricerca della verità si sostituisce l’intendimento di confermare ad ogni costo una convinzione personale raggiunta prima dell’inizio delle operazioni. La Consulente si è sottratta non solo all’obbligo di effettuare la relazione degli incontri avuti con i CTP ed il V., ma soprattutto all’obbligo di inserire nella relazione le osservazioni e le istanze dei C.T.P. che congeda (pag. n. 24 alla fine dell’elaborato) con la tacitiana affermazione “Tale conclusione è, ovviamente, in dissenso con quanto affermato dai Consulenti di parte Attrice che, nella propria relazione inviata alla sottoscritta dopo il ricevimento della bozza, si astengono di entrare nel merito della discussione delle conclusioni in essa formulate”. Peraltro non è vero che i Consulenti di parte attrice si siano astenuti dall’entrare nel merito delle discussioni. Ad esempio, in ordine alla “validità degli interventi svolti a 50 giorni dall’operazione” (il punto può considerarsi il “cuore” del giudizio posto che si tratta della prima acuzie intervenuta a soli 50 giorni dall’intervento di (OMISSIS) per cui un professionista esperto come il Prof. B. non poteva trascurare l’ipotesi di porre le sofferenze in relazione con l’inizio del divampare dell’infezione…) il nostro C.T.P. prof. A. (pag. n. 26 della Relazione) afferma: “Comunque si rileva dalla cartella clinica del (OMISSIS) che in data 16 aprile 1998 (circa cinquanta giorni dopo l’esecuzione dell’atto chirurgico di cui si è detto) l’ing. V., durante il cammino per recarsi dal lavoro a casa accusò improvvisamente la seguente sintomatologia “Vertigini associate a sudorazione fredda e vomito abbondante”. Per tale motivo è stato ricoverato in Pronto Soccorso dove ha eseguito TAC Encefalo (negativa) e consulenza otorino. Viene ricoverato per accertamenti. Ora, sembra incredibile, ma i sanitari che presero in cura il paziente, Dott. B. in testa, a fronte di una sintomatologia patognomonica per disturbo acuto neurologico formularono una diagnosi di sospetta V.P.P.B. (ovvero Vertigine Parossistica Posizionale Benigna) senza tener conto dei ben noti precedenti cardiologici del paziente” (ns. documento n. 15). Prosegue il Dott. A. (pag. n. 28): “I sanitari del Pronto Soccorso, orientatisi correttamente – sotto il profilo diagnostico – verso una patologia cerebrale acuta d’origine vascolare, proposero il ricovero presso la divisione medica coordinata dal Dott. B., proprio perchè era necessario procedere alle cure del caso e, soprattutto, alla ripetizione dell’indagine radiologica TAC cerebrale se non almeno 24 dopo… Tale corretta impostazione diagnostico terapeutica data dai medici del Pronto Soccorso fu poi del tutto depistata posto che non venne considerato che l’indagine TAC cerebrale nell’imminenza della comparsa della sintomatologia non dà riscontro significativo se non dopo almeno 24 ore. Insomma nonostante il paziente avesse accusato i sintomi neurologici classici di un accidente ischemico cerebrale, i sanitari, coordinati dal Dott. B., insistettero con la diagnosi di disturbo vestibolare ed ignorarono la consulenza specialistica dell’otorino che aveva escluso la loro assurda ipotesi. Comunque nei successivi tre giorni di ricovero che programmare l’indagine TAC cerebrale e procedere agli opportuni controlli ecocardiografici (come avrebbero dovuto fare) eseguirono alcuni ECG, sommarie indagini di laboratorio ed una ecografia di fegato, vie biliari, colecisti, asse splenomesenterico-portale, pancreas, milza, reni ecc. A nessuno venne in mente di ripetere l’indagine TAC e di proporre un controllo ecocardiografico trans esofageo per la quanto mai ovvia possibilità (rivelatasi poi concreta) della formazione di trombi in prossimità dell’anello di Carpentier posizionato soltanto 50 giorni prima e conseguente infarto cerebrale”. Non risulta che la C.T.U. Dott.ssa C. abbia preso in considerazione e contestato i rilievi svolti sul punto dal Cr. A. (che addirittura la stessa non ha mai allegato alla perizia). Quanto sopra è stato oggetto di un puntuale, esaustivo motivo di censura svolto in appello che peraltro è stato contrastato in termini evanescenti… “), la corte di merito non ha nell’impugnata sentenza nemmeno per relationem indicato le conclusioni e i passi salienti dell’espletata C.T.U., nè ha dato conto delle critiche dall’odierno ricorrente e allora appellante al riguardo mosse sulla base della CTP alla CTU già nel giudizio di primo grado, limitandosi invero a stigmatizzare, contrariamente a quanto le stesse ictu oculi invero si appalesano, che trattasi di “”irrilevanti censure” e “mancanza di rilievo tecnico” relative alla C.T.U.”, e “”le doglianze relative al merito della valutazione peritale”… apodittiche ecc.”.

Orbene, come dall’odierno ricorrente lamentato, la riportata motivazione non consente invero di cogliere la ratio decidendi dell’impugnata decisione.

Essa risulta infatti del tutto illogica ed intrinsecamente contraddittoria, inidonea a consentire di apprezzare l’iter logico-giuridico dalla corte di merito seguito per addivenire alla raggiunta conclusione.

A tale stregua, il dictum dell’impugnata sentenza risulta in realtà inammissibilmente fondato su motivazione (cfr. Cass., 20/11/2018, n. 29828; Cass., 6/7/2018, n. 17720) obiettivamente incomprensibile e pertanto meramente apparente (v. Cass., Sez. Un., 3/11/2016, n. 22232, e, da ultimo, Cass., 23/3/2018, n. 7248), e pertanto in effetti insussistente, non raggiungendo il necessario limite del minimo costituzionale al riguardo necessario (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, da ultimo Cass., 18/4/2019, n. 10813 e Cass., 30/5/2019, n. 14754), non sottraendosi pertanto al controllo in sede di legittimità (cfr. Cass., 5/5/2017, n. 10973).

Con il 5 motivo il ricorrente denunzia violazione degli artt. 2697 e 1176 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole di non essere stato adeguatamente informato della portata dell’intervento subito, avendo sottoscritto solamente l’indicazione che il mattino seguente avrebbe subito un “intervento chirurgico P.L.M.”, altrimenti si sarebbe fatto operare altrove (avrebbe “programmato diversamente presso altra e diversa struttura cardiochirurgia”).

Lamenta che “soltanto pochi minuti prima di essere trasportato in sala operatoria, non era a conoscenza della necessaria stereotomia che di lì a breve sarebbe stata eseguita”.

Lamenta ulteriormente che l’orientamento seguito dalla corte di merito secondo cui deve essere il paziente a dare la prova che, ove adeguatamente informato, avrebbe rifiutato l’operazione pare superata da successiva giurisprudenza (v. ad es. Cass. n. 10414/2016)”.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Osserva il Collegio che, a fronte delle affermazioni contenute nell’impugnata sentenza secondo cui in primo grado “il danno collegato al diritto al consenso era… individuato in un danno alla salute e… in ogni caso la risarcibilità del danno da lesione della salute che si verifichi… non è stato soddisfatto”, giacchè “i motivi d’appello nulla dicono in senso contrario onde non risulta inficiata l’applicazione effettuata dal primo giudice dei principi dettati dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 2847/2010”; e che “il diritto all’autodeterminazione è… diritto diverso dal diritto alla salute e rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e per i diritti di rango costituzionale espressi negli artt. 2,13 e 32 Cost.”, ma “anche la violazione di tale diritto comporta la risarcibilità di ogni pregiudizio non patrimoniale che ne sia causalmente derivato”, laddove “instaurando la lite V.M. non ha… allegato di aver subito un danno non patrimoniale derivante dalla lesione del proprio diritto all’autodeterminazione”, l’odierno ricorrente si limita invero a (inammissibilmente in termini di mera contrapposizione) riproporre nel ricorso la propria tesi difensiva già prospettata al giudice del gravame e da questi non accolta, apoditticamente ribadendo la parziale e non circostanziata allegazione che si sarebbe fatto operare altrove.

Il ricorrente nemmeno deduce alcunchè in termini di autonomo danno subito dalla violazione del diritto al consenso informato, che non può invero considerarsi sussistente in re ipsa (cfr., da ultimo, Cass., 25/6/2019, n. 16892; Cass., 22/8/2018, n. 20885; Cass., 31/1/2018, n. 2369; Cass., 13/10/2017, n. 24074).

Per altro verso, risulta altresì non (quantomeno idoneamente) censurata la ratio decidendi di novità della domanda concernente “la lesione del diritto all’autodeterminazione” determinante un’inammissibile mutatio libelli”, dalla corte di merito fondata sul principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in base al quale ove l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e in corso di causa domandi poi anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, dell’obbligo di informazione necessario per ottenere un consenso consapevole (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una mutatio libelli e non una mera emendatio, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (v. Cass., 13/10/2017, n. 24072; Cass., 15/11/2013, n. 25764; Cass., 3/9/2007, n. 18513).

In accoglimento p.q.r. nei suesposti termini e limiti dei primi 4 motivi, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo nonchè rigettato il 5 motivo, dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie p.q.r. i primi 4 motivi di ricorso, rigettato il 5. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA