Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25020 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 06/12/2016, (ud. 20/10/2016, dep. 06/12/2016), n.25020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11653-2015 proposto da:

CARTOLERIA SANGUINETI DI B.G. & C. SAS, in persona del

legale rappresentante pro tempore, SANGUINETI STORE SRL” in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in

ROMA, VIA 5 TOMMASO D’AQUINO 83, presso lo studio dell’avvocato

TOMMASO LONGO, rappresentate e difese dall’avvocato GIAN PAOLO MANNO

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.S., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CAIO MARIO 7,

presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la

rappresenta e difende giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 556/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del

17/12/2014, depositata il 16/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Gian Paolo Manno, difensore delle ricorrenti, che

insiste per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Barbantini Luigi Fedeli (per delega avvocato

Barbantini Maria Teresa), difensore della controricorrente, che si

riporta ai motivi scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 20 ottobre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 16.2.2015, la Corte di appello di Genova rigettava il gravame proposto dalla Cartoleria Sanguineti di B.G. & C. s.a.s. e dalla Sanguineti Store s.r.l. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto per quanto di ragione la domanda di G.S. intesa alla condanna delle società resistenti al pagamento delle differenze retributive e di mensilità aggiuntive, lavoro straordinario e tir, riconoscendo, in favore della predetta, il diritto al pagamento di Euro 7259,77 a carico della prima delle società suindicate e di Euro 8727,79 a carico dell’altra, oltre accessori di legge. Il primo giudice era pervenuto a tale decisione ritenendo la nullità del contratto di apprendistato del novembre 2006, perchè stipulato) in epoca successiva all’instaurazione del rapporto di lavoro, la mancanza di prova di altro contratto di apprendistato asseritamente stipulato ma non prodotto e la coerenza delle retribuzioni corrisposte con il livello contrattuale spettante nel corso dei rapporti lavorativi, da valutarsi distintamente per effetto delle dimissioni rassegnate dalla lavoratrice nel febbraio 2008, in esito al primo dei rapporti instaurati con le dette società.

Il giudice del gravame, ritenuta soddisfatta l’esigenza di specificità della domanda di cui al ricorso introduttivo, ne affermava la validità, respingendo l’eccezione di nullità formulata dalle appellanti e, per il resto, disattendeva le ragioni delle società appellanti quanto alla contestazione della data di inizio del rapporto di lavoro, alla validità del contratto di apprendistato, confermando l’attendibilità dei testi escussi e rilevando il mancato assolvimento dell’onere probatorio rispetto alla deduzione della lavoratrice di non avere mai percepito somme dovute a titolo di tfr, ritenendo corretto il conteggio elaborato dal Cm che non aveva provveduto allo scomputo delle somme contestate dal maggior importo dovuto allo stesso titolo.

Per la cassazione di tale decisione ricorrono le società, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la G..

Con il primo motivo, le ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 414 e 164 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale rigettato il motivo di impugnazione formulato in sede di gravame in ordine alla nullità del ricorso, vizio che era del tutto evidente e consisteva nella genericità della formulazione della domanda, tale da non consentire alle convenute di comprendere esattamente il petitum e la causa petendi di quello che a ciascuna di esse veniva dalla ricorrente richiesto.

Con il secondo e terzo motivo, le società ascrivono alla sentenza impugnata omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla mancanza di univocità delle dichiarazioni dei testi quanto alla data di inizio del rapporto della G., alla falsità delle affermazioni di quest’ultima circa l’inizio del rapporto di lavoro, che renderebbe palese la inconsistenza di tutte le prospettazioni della Corte di appello sull’inizio del rapporto, sulla formalizzazione del contratto e sulla conseguente qualifica riconosciuta, in ragione dell’assoluta differenza di settore delle esperienze lavorative pregresse della lavoratrice.

Il quarto motivo denunzia analogo vizio della decisione riferito all’omesso rilievo della mancanza di ogni contestazione da parte della G. in ordine all’avvenuta erogazione del TFR da parte della Sanguineti Store.

In ordine al primo motivo è sufficiente osservare che, nel rito del lavoro, la valutazione di nullità del ricorso introduttivo di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni su cui essa si fonda implica una valutazione complessiva dell’atto introduttivo onde pervenire ad una decisione che, se fondata su motivazione congrua e priva di salti logici, si sottrae al sindacato di legittimità; analoga valutazione deve compiere il giudice di merito in relazione all’atto di appello in relazione al quale, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e, per il rito del lavoro, art. 434 c.p.c. l’indicazione dei motivi non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formale enunciazione delle ragioni invocate, potendo limitarsi ad una esposizione anche sommaria, purchè chiara e univoca della domanda rivolta al giudice del gravame e delle ragioni della doglianza.(cfr. Cass. 30.3.2004 n. 6321). E’ stato più specificamente affermato che interpretare la domanda, anche d’appello, è compito del giudice di merito e che la specificità dei motivi di impugnazione richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c. è verificabile dal giudice di legittimità solo indirettamente, sotto il profilo della correttezza giuridica del procedimento interpretativo e della logicità del suo esito, e non direttamente, riconducendo la censura nell’ambito degli errores in procedendo, attraverso l’interpretazione autonoma dell’atto di appello (cfr. Cass. 22.2.2005 n. 3538). Dalla condivisa correttezza di tali principi discende l’inammissibilità del motivo per come formulato.

Quanto agli altri motivi, valgono le considerazioni che seguono.

Come affermato di recente da questa Corte, “ciò che distingue il processo di cassazione dal processo di merito sta nell’assenza, nel primo, del potere giudiziale di accertare e valutare i fatti di causa ossia di compiere attività istruttoria. Questo giudice di legittimità verifica soltanto se la sentenza impugnata contenga errori di diritto, denunciati dal ricorrente o rilevabili d’ufficio; essa controlla anche il giudizio di fatto reso dal giudice di merito, attraverso il sindacato sulla completezza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ciò che non snatura il processo di legittimità poichè l’omessa considerazione di un fatto decisivo è sintomo di falsa applicazione della legge.

Debbono pertanto rimanere estranei al sindacato della Cassazione non solo l’accertamento ma anche la valutazione dei fatti a fini istruttori. Ciò comporta che il sindacato sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per semplice dissenso dalle conclusioni raggiunte dal giudice di merito ma solo in caso di motivazione talmente lacunosa da risultare incomprensibile o equivoca. Su questo punto il legislatore più recente, con il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha mostrato maggior rigore, limitando il sindacato sulla motivazione alla rilevazione dell’omesso esame “di un fatto ” decisivo e discusso dalle parti” (cfr., in tali termini Cass. 21.10.2015 n. 21439).

Tutto ciò premesso, è evidente l’inammissibilità delle censure, come quelle attualmente prospettate dalle ricorrenti, che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte di appello ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Corte di cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito oppure chiamando “fatto decisivo”, indebitamente trascurato dalla Corte d’appello, il vario insieme dei materiali di causa.

In particolare, rispetto alla mancata detrazione dal TFR dovuto di quanto asseritamente già pagato con la busta paga del maggio 2010, non può contestarsi la valutazione compiuta dal giudice del gravame in mancanza di idonea rilevazione di un fatto decisivo quale, in ipotesi, quello rappresentato dalla esistenza di una busta paga sottoscritta per ricezione e quietanza dalla lavoratrice, contenente il riferimento agli importi a titolo di tfr di cui si assume l’avvenuta erogazione, contestata invece dalla G..

Ed invero, quanto allo specifico vizio previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in cui è scomparso il termine motivazione, deve trattarsi di un omesso esame di un fitto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Le Sezioni unite di questa Corte (18.6.2014 n. 8053) hanno specificato che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

E’ evidente, quindi, che il motivo all’esame non presenti alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 così come novellato nella interpretazione fornitane dalle Sezioni unite di questa Corte.

Ed infatti non lamenta l’omesso esame di un fatto storico decisivo ai fini di causa, ma si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

Peraltro, non può non rilevarsi che la Corte di merito ha proceduto ad una analitica disamina delle risultanze della prova testimoniale e della documentazione acquisita.

Alla stregua delle esposte considerazioni, si propone la declaratoria inammissibilità del ricorso con ordinanza in sede camerale.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

La controricorrente ha depositato memoria – di contenuto adesivo alle conclusioni del relatore – ex art. 380 bis c.p.c., comma 2. Osserva il Collegio che il contenuto della sopra riportata relazione sia pienamente condivisibile siccome coerente alla giurisprudenza di legittimità in materia e che debba essere pronunciata declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza delle ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

Attesa la proposizione del ricorso in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, vigente il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 deve rilevarsi, in ragione del rigetto dell’impugnazione, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’indicata normativa, posto a carico delle ricorrenti in solido (cfr. Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del presente regolamento, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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