Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2502 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. un., 04/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8516/2018 proposto da:

CAVE PEDOGNA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, nonchè B.S., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DELLA CONCILIAZIONE 10, presso lo studio dell’avvocato MARCO

MARIANI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

COREMA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MARESCIALLO PILSUDSKI 118,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PAOLETTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI IACOMINI;

AUTORITA’ DI BACINO DEL FIUME SERCHIO, in persona del Segretario

Generale, per legge domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

PROVINCIA DI LUCCA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCA BUCCELLATO (Studio Legale Associato Aiello e

Americo), rappresentata e difesa dall’avvocato LORENZO CORSI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 213/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 11/11/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento, p.q.r., del

secondo motivo del ricorso, assorbiti i restanti;

uditi gli avvocati Marco Mariani, Lorenzo Corsi, Francesca Subriani

per l’Avvocatura Generale dello Stato ed Emanuela Paoletti per

delega dell’avvocato Francesco Paoletti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Cave Pedogna spa (che in corso di causa aveva incorporato la Vormiana srl) e B.S. ricorrono per la cassazione della sentenza 11/11/2017, n. 213, del Tribunale superiore delle acque pubbliche, con cui è stato respinto il loro ricorso proposto contro atti relativi ad una concessione di derivazione delle acque per uso idroelettrico nel bacino del Fiume Serchio in provincia di Lucca, presentata dalla IR.MA. sas, poi Corema srl.

2. I ricorrenti avevano dedotto la violazione delle distanze con gli impianti preesistenti – soprattutto in relazione al c.d. criterio del “2L” (in base alla quale per l’ubicazione di nuovi impianti per la produzione di energia elettrica, fatta esclusione di quelli del tipo ad acqua fluente, doveva essere mantenuto esente da derivazioni un tratto di alveo posto a monte dell’opera di presa e un tratto di alveo posto a valle dell’opera di restituzione degli impianti esistenti, di lunghezza pari almeno al doppio del tratto di alveo compreso tra l’opera di presa e l’opera di restituzione degli impianti predetti) e comunque alla Delib. n. 152 del 2007, dell’Autorità di bacino – e vizi del procedimento originario – tra cui le violazioni del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 7 e 8 e del R.D. n. 1285 del 1920, art. 10 – e di quello in autotutela poi avviato dalla Provincia di Lucca, peraltro sospeso ed infine archiviato all’esito di parere dell’Autorità di bacino pilota del Fiume Serchio e di conferenza di servizi appositamente convocata.

3. In particolare, con la qui gravata sentenza sono state disattese tutte le doglianze proposte tanto col ricorso originario (notificato il 04/10/2013) che con l’atto contenente motivi aggiunti (notificato il 03/06/2014):

a) di violazione del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 7 e 8 e del R.D. n. 1285 del 1920, art. 10, ed eccesso di potere, per omessa tempestiva pubblicazione sull’Albo pretorio del Comune di Pescaglia dell’ordinanza n. 271 del 20/10/2010 di ammissione dell’istanza IR.MA ad istruttoria;

b) di violazione del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 7 e segg., per omessa valutazione di alcuni elementi tali da legittimare un provvedimento di diniego;

c) di violazione della Delib. Autorità di Bacino 20 febbraio 2007, nn. 152 e 156, per contrarietà del progetto alla regola c.d. del “2L”;

d) di eccesso di potere per difetto d’istruttoria, prevedendo il progetto il passaggio di una condotta idraulica sul terreno di proprietà della ricorrente Vormiana S.r.l., senza che questa fosse mai stata destinataria di alcuna comunicazione in merito;

e) dell’illegittimità del parere dell’Autorità di Bacino acquisito dalla Provincia di Lucca in data 22/12/2009, per contrasto con la Delib. Comitato Istituzionale dell’Autorità del Bacino del fiume Serchio 24 febbraio 2010, n. 164, con conseguente illegittimità della concessione di derivazione rilasciata alla società controinteressata e della successiva determinazione di archiviazione dell’autotutela;

f) dell’illegittimità dell’archiviazione, da parte della Provincia, del procedimento di annullamento d’ufficio degli atti da essa adottati per l’erronea condivisione, sulla base della Delib. dell’AdB del fiume Serchio n. 152 del 2007, del parere della stessa autorità di Bacino in ordine al criterio del “2L” riguardante la distanza da rispettare, nell’ipotesi di nuove derivazioni, rispetto alle derivazioni preesistenti;

g) delle stesse illegittimità già denunciate con il terzo motivo di ricorso principale;

h) di illegittimità per difetto di istruttoria, per errore nei presupposti e travisamento dei fatti, poichè nel provvedimento di concessione di derivazione rilasciato alla controinteressata e nel collegato disciplinare non si teneva affatto conto che i terreni nei quali avrebbe dovuto passare la condotta forzata dell’impianto appartenevano a terzi cioè alla societa Vormiana;

i) di illegittimità dell’avvio, da parte della Provincia di Lucca, del procedimento di annullamento d’ufficio dubitando della legittimità degli atti da essa stessa adottati, seguito dalla sua archiviazione senza tener conto delle richieste ed osservazioni ad essa avanzate e rivolte e da essa sollecitate dalla società Cave Pedogna a cui l’istanza d’accesso agli atti di quest’ultima era preordinata;

l) di illegittimità dell’esclusione, da parte della Provincia di Lucca, dal procedimento di annullamento d’ufficio il ricorrente B., che non aveva ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, nè di sospensione di tale procedimento, neppure essendo stato messo in condizione di partecipare alla conferenza di servizi;

m) dell’evidente riscontro del fondamento della prima censura rinvenibile nell’avvio stesso del procedimento di autotutela.

4. A tal fine il Tribunale superiore ha:

– premesso che l’autotutela dell’Amministrazione è la libera espressione di un potere valutativo ampiamente discrezionale, sia quanto alla sua attivazione che al suo svolgimento e definitivo contenuto, incontrando il solo limite dell’affidamento ingenerato nelle posizioni soggettive favorevoli preesistenti, che non possono essere pregiudicate se non all’esito di un’ampia e puntuale motivazione;

– rilevato che all’avvio del procedimento di annullamento in autotutela della concessione di derivazione rilasciata alla Corema srl (n. 2517 del 06/06/2013) era stata data pubblicità sull’Albo Provinciale e sull’Albo pretorio del Comune di Pescaglia, per quindici giorni a decorrere dal 14/01/2014;

– riscontrato che la comunicazione di detto avvio era stata anche notificata a tutti i soggetti che avevano proposto il ricorso principale, allo scopo di ottenere, a fini collaborativi, le loro osservazioni e controdeduzioni, peraltro da essi neppure inviate, circa l’eventuale annullamento in autotutela della concessione di derivazione già rilasciata a Corema Srl;

– reputato che, con la reiterazione della pubblicazione sui predetti Albi, provinciale e pretorio, essendo stati al tempo stesso sospesi gli effetti della concessione di derivazione impugnata, era stata anche sanata l’omessa pubblicazione all’Albo pretorio del Comune di Pescaglia dell’ordinanza n. 271 del 2010, con cui era stata data comunicazione del deposito del progetto Corema presso l’Ufficio Acque Pubbliche per 15 giorni, al fine di raccogliere le osservazioni e le controdeduzioni degli interessati, pubblicandola però solo sull’Albo provinciale o non anche su quello comunale: le quali non erano state però comunque prodotte da parte ricorrente;

– escluso pertanto la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 7 e 8, nonchè del R.D. n. 1285 del 1920, art. 10;

– considerato, quanto al procedimento di annullamento in autotutela in relazione alla conferma del parere favorevole dell’Autorità di Bacino del 2009 (reso alla luce della determinazione comitato istituzionale – D.C.I. – n. 152 del 20/02/2007, pervenuto alla Provincia di Lucca il 22/12/2009), riguardante la regolarità dell’impianto di derivazione di Corema Srl rispetto al criterio del cd “2L”, che l’intervento dei ricorrenti in detta parte del procedimento di autotutela – permeato da ampia discrezionalità – era stato sollecitato dall’Amministrazione ai soli fini di ottenerne la collaborazione, poi mancata, mercè l’apporto di osservazioni utili affinchè essa potesse formarsi il convincimento sulla legittimità o meno di detto parere;

– premesso, quanto al merito del parere favorevole originario pure confermato – al rilascio della concessione di derivazione in favore della Corema Srl, che esso si basava sulla già richiamata D.C.I. n. 152 del 20/02/2007, con cui la stessa Autorità di Bacino nel regolamentare l’utilizzo delle acque dei corsi d’acqua ai fini della tutela delle loro portata minima vitale aveva introdotto il requisito del cd. 2L, complementare alla definizione del DMV (o deflusso minimo vitale): requisito concernente la distanza che un nuovo impianto di derivazione, se non del tipo ad acqua fluente, doveva osservare ove progettato nelle vicinanze di impianti derivazione preesistenti sullo stesso corso d’acqua (ed in forza del quale doveva essere mantenuto esente da derivazioni un tratto di alveo, posto a monte dell’opera di presa ed un tratto di alveo posto a valle dell’opera di restituzione degli impianti esistenti, di lunghezza pari almeno al doppio del tratto di alveo compreso tra l’opera di presa e l’opera di restituzione di detti impianti esistenti);

– ricordato fondarsi la valutazione di conformità a tale regola da parte dell’impianto della Corema Srl sulla circostanza che l’opera di restituzione recapitava nel rio Colognora dopo la confluenza in esso dell’affluente Rio Fondatori, collocato nella sua riva sinistra idraulica, dove era ubicata l’opera di presa: e tanto per essere l’applicazione della regola originaria dettata dalla d.c.i. 152/07 esclusa per i corsi d’acqua affluenti o recettori, con la conseguenza che, nella specie, la distanza da considerare ai fini del criterio del cd 2L non comprendeva quella tra il punto della detta confluenza ed il punto di restituzione sul Colognora ma si limitava a quella tra il punto di presa e la confluenza dei due predetti corsi d’acqua;

– ritenuto che solo in tempo successivo al detto parere (cioè con la d.c.i. n. 164 del 2010) la regola era stata modificata con l’espressa menzione della necessità di computare anche i tratti a valle e a monte delle confluenze (tenendo così in conto anche gli affluenti e i recettori), sicchè, in applicazione del principio tempus regit actum, il primo parere conservava la sua validità;

– considerato che la stessa norma transitoria della nuova determinazione del 2010 (punto 11 della scheda norma n. 4) faceva salve le domande di derivazione delle acque superficiale per le quali l’Autorità di Bacino Pilota del Fiume Serchio avesse già espresso parere favorevole relativamente al rilascio di concessione: sicchè, vista la competenza esclusiva dell’Autorità di Bacino in tema di salvaguardia delle risorse idriche e di tutela dell’equilibrio del bilancio idrico, finalizzate ad evitare che nell’utilizzo dei corsi d’acqua essi venissero ridotti, quella aveva espresso corrette e non ulteriormente sindacabili valutazioni di merito;

– escluso il difetto d’istruttoria – soprattutto quanto all’errata individuazione del punto di presa dell’impianto Corema Srl, sia pure a seguito dell’errore indotto dalla relazione geologica allegata alla domanda di concessione – in relazione alla concreta condotta dall’Autorità di Bacino anche dopo la corretta raffigurazione della circostanza che il Solco Fondatori, ove era indiscutibilmente collocato il punto di presa dell’impianto di derivazione contestato in questa sede, fosse un affluente della riva sinistra idraulica del Rio Colognora, dove si trovava il suo punto di restituzione;

– esaminato la censura di illegittimità per difetto di istruttoria, per violazione dell’obbligo di salvaguardare il bilancio idrico ed idrogeologico del bacino imbrifero in cui era sito l’impianto in contestazione e, in particolare, per mancata considerazione del fatto che le condotte forzate dell’impianto Corema srl avrebbero attraversato un ambito territoriale in cui si trovavano già altre derivazioni, tra le quali anche le tre di cui era titolare la resistente Vormiana s.r.l.: in particolare, trattandosi di terreni classificati ad elevata pericolosità rispetto ai movimenti franosi a cui erano stati ed erano assoggettati e nei quali il P.T.C. della Provincia di Lucca (art. 19) consentiva l’esecuzione di impianti di derivazione idroelettrica soltanto ove ne fosse dimostrata la necessità;

– escluso la fondatezza di tale articolata censura, alla stregua dell’accurata disamina operata comunque dall’Autorità di Bacino della relazione geologica e geomorfologica pure sollecitata e prodotta, anche relativa alle necessarie verifiche di stabilità dei versanti interessati: secondo la quale l’intervento in contestazione era di modesta dimensione e lo scavo necessario alla collocazione della condotta forzata dell’impianto Corema Srl non sarebbe stato profondo più di 70/80 cm, quindi con impatto assai limitato sui terreni giudicati franosi, la cui stabilità non sarebbe stata messa in pericolo, del resto in carenza di prescrizioni del P.T.C. di vincoli d’inalterabilità assoluta delle aree interessate dal detto impianto;

– negato infine la fondatezza della doglianza con cui era stata contestata la concessione di derivazione impugnata prevedendosi con il relativo progetto il passaggio della condotta idraulica sul terreno di proprietà della ricorrente Vormiana s.r.l., per non essere questa stata informata nè coinvolta, con conseguente carenza di legittimazione della concessionaria ad utilizzare terreni di terzi: e tanto perchè la realizzazione degli impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili erano assentiti non attraverso la concessione di derivazione, che riguardava unicamente l’assenso all’uso dell’acqua pubblica da parte del richiedente, ma attraverso l’apposito titolo rappresentato da autorizzazione unica (D.Lgs. n. 378 del 2003, art. 10), la quale, per essere rilasciata, non aveva bisogno del consenso preventivo di terzi e costituiva titolo a costruire le opere conformi del progetto autorizzato occorrenti per esercitare l’impianto, le quali ex lege venivano dichiarate di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti (citato D.Lgs. n. 378 del 2003, art. 10, commi 3 e 4); con l’ulteriore conseguenza che l’attraversamento di terreni di terzi non rappresentava – di per sè solo – un impedimento alla realizzazione dell’impianto di derivazione idroelettrica;

– escluso infine la stessa ammissibilità dei profili di illegittimità del procedimento di autotutela (avviato il 10/01/2014; sospeso il 07/02/2014; archiviato, addì 01/04/2014), per le ragioni già espresse.

5. Del deposito della sentenza resa dal Tribunale superiore, pubblicata addì 11/11/2017 col n. 213, è stata data comunicazione alle parti dal 13/11/2017, mentre il testo integrale è stato comunicato a mezzo ufficiale giudiziario dal 05/02/2018; notificato il ricorso a partire dal 07/03/2018, tutti gli intimati – Corema srl, Provincia di Lucca e Autorità di bacino pilota del fiume Serchio – si sono costituiti con rispettivi controricorsi; ed infine, per la pubblica udienza di discussione del 17/12/2019, i soli ricorrenti e la controricorrente Provincia di Lucca depositano memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va esaminata la questione della tempestività del ricorso, anche dinanzi all’eccezione formulata dalla controricorrente Corema srl.

2. E’ noto che, quanto all’appello avverso le sentenze dei tribunali regionali delle acque pubbliche, è ormai da tempo sancito che la comunicazione della sentenza, quand’anche a mezzo posta elettronica certificata, ma in quanto ne contenga anche il dispositivo per intero, è idonea – essendo venuto meno da ancor più tempo ogni approdo ermeneutico sulla rilevanza anche a quei fini della registrazione della sentenza e della successiva ulteriore comunicazione del dispositivo prevista dalla legge speciale – a fare decorrere il termine per l’impugnazione previsto del R.D. n. 1775 del 1933, art. 189, comma 1, in relazione alla notificazione prevista del precedente art. 183, comma 3.

3. Infatti, la giurisprudenza sul punto da anni adottata dal Tribunale superiore delle acque pubbliche (inaugurata da Trib. Sup. Acque 16/02/2016, n. 53, seguita poi dalle sentenze nn.: 70, 270, 311 e 333 del 2016; 143, 166, 176, 181, 219, 231 del 2017; 16, 18, 32, 193 del 2018; 130, 131 e 161 del 2019) è confermata oramai da tempo anche da queste Sezioni Unite, a partire da Cass. Sez. U. 26/02/2019, n. 5642 (che ha rigettato il ricorso avverso Trib. Sup. Acque n. 176/17), seguita da numerose successive (Cass. Sez. U. 13/06/2019, n. 15900, che ha rigettato il ricorso avverso Trib. Sup. Acque n. 166/17; Cass. Sez. U. 22/07/2019, n. 19680, di reiezione del ricorso avverso Trib. Sup. Acque n. 149/17; Cass. Sez. U. 10/09/2019, n. 22573/19, di reiezione del ricorso avverso Trib. Sup. Acque n. 143/17; Cass. Sez. U. ord. 11/11/2019, n. 29083, che ha respinto il ricorso avverso Trib. Sup. Acque n. 231/17; Cass. Sez. U. 26/11/2019, n. 30801, che ha respinto il ricorso avverso Trib. Sup. Acque n. 216/17); e si fonda sulla rilevata specialità del sistema delle impugnazioni nel rito delle acque pubbliche, imperniato sull’accelerazione dei tempi mediante rilievo immediato all’attività di comunicazione del solo dispositivo imposta all’ufficio che emette la sentenza da impugnare.

4. Ora, non si ha ragione di un trattamento differenziato per la proposizione del ricorso per cassazione rispetto alle conclusioni raggiunte per la proposizione dell’appello: sicchè deve concludersi che pure ai fini del decorso del termine speciale per proporre ricorso per cassazione avverso le sentenze del Tribunale superiore delle acque pubbliche (che è di soli quarantacinque giorni in virtù del dimezzamento di quello previsto dalla norma del codice di rito vigente per il ricorso per cassazione al tempo dell’entrata in vigore del testo unico delle acque pubbliche) rileva la comunicazione ai sensi dell’art. 133 c.p.c., con qualunque mezzo avvenuta e quindi finanche ove eseguita – se ed in quanto concretamente operativa – con posta elettronica certificata, del testo integrale del dispositivo della sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche.

5. Se questo è il principio di diritto da applicare ad ogni fattispecie di proposizione di ricorsi a queste Sezioni Unite avverso le sentenze del detto Tribunale, esso non può però trovare concreta applicazione al caso in esame: non vi è invero prova, in atti, del fatto che una comunicazione – integrale o meno, comunque comprensiva del testo del dispositivo – della sentenza del Tribunale superiore si sia avuta, a cura della Cancelleria di quell’ufficio, in tempo anteriore di oltre quarantacinque giorni all’avvio (avutosi il 07/03/2018) del ricorso per cassazione per la notifica.

6. Non solo non è nemmeno allegato dalla controricorrente Corema che la comunicazione del dicembre 2017 abbia ad oggetto appunto il testo della sentenza e, con esso, del dispositivo, ma anzi, ad un accesso ufficioso agli atti, imposto dal tenore dell’eccezione formulata, risulta che in quella data è stato semplicemente dato avviso dell’avvenuto deposito della sentenza, del cui tenore non veniva fatta alcuna adeguata anticipazione, sicchè la prima comunicazione del testo della sentenza, contenente anche quello del dispositivo, non si è avuta prima della data allegata e provata dagli odierni ricorrenti.

7. Di conseguenza, va esclusa l’eccepita tardività, in quanto, nonostante la correttezza del principio invocato, in concreto non ricorre nella fattispecie la ricezione, quale primo atto utile per la decorrenza del termine di impugnazione, da parte dei ricorrenti della notificazione o comunicazione del contenuto del dispositivo prima del 05/02/2018: tempo questo rispetto al quale il ricorso deve qualificarsi tempestivo. E tanto – in uno al fatto notorio della non operatività del processo civile telematico presso il Tribunale superiore delle acque pubbliche e quindi delle modalità di comunicazione telematiche dei suoi atti da parte della Cancelleria, tra cui l’art. 133 c.p.c., nel testo oggi vigente – esclude l’applicabilità, nel senso della tardività auspicata dalla controricorrente, del principio di diritto in tema di individuazione del dies a quo del termine per proporre impugnazione avverso le sentenze dei tribunali delle acque.

8. Pertanto, poichè nella specie non si ha prova in atti della comunicazione integrale quanto meno del dispositivo da parte della Cancelleria di quel tribunale prima del 05/02/2018, non si ha ragione di ancorare il dies a quo del termine di proposizione del ricorso alla precedente data indicata dalla controricorrente Corema srl ed il ricorso di Cave Pedogna spa e B. va, conclusivamente, qualificato tempestivo.

9. Deve poi esaminarsi l’eccezione di tardività del controricorso dell’Autorità di bacino: ed essa è infondata, in relazione se non altro alla sua notifica a mezzo posta tradizionale il 17/04/2018, evidentemente tempestiva rispetto alla notifica, pure eseguita con lo stesso mezzo, del ricorso entro il 13/03/2018.

10. Ciò posto, può rilevarsi che parte ricorrente dispiega, a tutti premettendo l’argomento dell’erroneità dell’affermazione di ampia discrezionalità nel procedimento di autotutela anche quanto a sequenza procedimentale, sei mezzi di gravame, ciascuno dei quali con la seguente identica rubrica: “error in iudicando; violazione di legge per violazione/falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 3; eccesso di potere”.

11. Alla disamina di tutti i motivi va peraltro premesso che l’argomentazione preliminare sull’erroneità dell’individuazione dell’ambito di discrezionalità nel corso del procedimento di autotutela non integra di per sè autonoma ragione di censura e che comunque la relativa tesi è a vario titolo riportata a sostegno di ciascuna delle doglianze formalmente dispiegate, sicchè potrà essere tenuta nella debita considerazione in occasione della disamina di ognuna di queste senza bisogno di affrontare in generale la questione dell’ambito di estrinsecazione della potestà amministrativa di autotutela, inidonea di per sè sola a definire il contenuto di ciascuna delle singole censure.

12. Ciò posto, deve rilevarsi che la peculiarità della vicenda può indicarsi nel fatto che, grazie al procedimento di autotutela, benchè poi archiviato, sono stati acquisiti ulteriori elementi utili a confermare il provvedimento originario ed offerte alle parti odierne ricorrenti occasioni di una sorta di recupero della concreta partecipazione e dell’esercizio delle facoltà lamentate come compresse dalle precedenti irregolarità procedimentali, mentre, nel merito, si discute della correttezza o meno dell’applicazione del criterio del c.d. “2L” ai fini della legittimità dell’istanza di concessione presentata dalla controparte degli odierni ricorrenti e in concreto accolta.

13. Ora, col primo motivo di ricorso, specificamente indicato come riferito alle doglianze già agitate col primo motivo di ricorso originario e col settimo dei motivi aggiunti, i ricorrenti lamentano l’omessa pubblicazione T.U. n. 1775 del 1933, ex artt. 7-8 e R.D. n. 1285 del 1920, art. 10, anche all’albo pretorio del Comune, poi contestando che vi sia stata sanatoria con la reiterazione della pubblicazione, perchè essi non sono stati posti in grado di prendere parte al procedimento; ed a comprova adducono il fatto che la stessa Autorità di Bacino è stata sollecitata a rendere un parere a chiarimento della rispondenza del progetto Corema alla normativa vigente; sicchè, conclusivamente, rimarcano l’inammissibilità di una solo postuma integrazione della motivazione del primo provvedimento.

14. Tale motivo non è fondato: all’argomentazione del Tribunale superiore dell’intervenuta sanatoria dell’originaria omissione in forza della pubblicazione successiva non viene contrapposta – se non dal solo B. e come riproposta in questa sede con l’ultimo motivo, sicchè potrà in quella sede essere esaminata – dagli odierni ricorrenti alcuna peculiare lesione di diritti od interessi in relazione allo specifico sviluppo procedimentale come in concreto avutosi; mentre è pienamente legittimo che, oltretutto avviando un procedimento di autotutela, la stessa P.A. possa rimettere momentaneamente in discussione la correttezza od opportunità del proprio primo provvedimento, essendo coessenziale alla discrezionalità amministrativa, nei limiti disegnati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato nell’ambito della cornice normativa modificata (soprattutto della L. 241 del 1990, art. 21 nonies, su cui, tra molte, v. Cons. St., ad. Plen. nn. 8/17 o 12/18, oppure Cass. Sez. U. 31231/17), la facoltà di riesaminarlo e perfino di riconsiderarne i presupposti in senso critico, senza che ciò ridondi, se non altro in via automatica o immediata, a sintomo di illegittimità dell’atto.

15. Col secondo motivo, specificamente indicato come riferito alle doglianze già agitate col secondo motivo di ricorso originario e col secondo dei motivi aggiunti, i ricorrenti si dolgono di scorretta applicazione del criterio c.d. del 2L (nella versione risultante dai relativi atti adottati nel 2007), che non tenga conto anche delle confluenze: ed il motivo è fondato, nei sensi di cui appresso.

16. Va, preliminarmente, puntualizzato che la norma invocata è da ritenere, alla stessa stregua di quelle poste dai piani di gestione delle acque (su cui v. la recentissima Cass. Sez. U. ord. 16/12/2019, n. 33091) per integrarne a sua volta le prescrizioni, di rango secondario, sostanzialmente integrativa dei precetti posti dalle norme primarie che la fondano, in tal modo rilevando quale oggetto dei vizi di violazione o falsa applicazione di legge ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c..

17. In particolare, le linee-guida di cui al D.M. 28 luglio 2004, previsto dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 4 (che ha abilitato il Ministro dei lavori pubblici (di concerto con gli altri Ministri competenti e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano) a definire “le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale”), prescrivono accertamenti puntuali e individualizzati rispetto ai differenti tratti del corpo idrico e, proprio al fine di garantirne la più elevata tutela della qualità, non esauriscono la discrezionalità esecutiva delle amministrazioni competenti.

18. In tale contesto, come questa Corte ha anche di recente avuto modo di affermare, significativamente proprio con riferimento al contesto del fiume Serchio (Cass. Sez. U. 10/04/2019, n. 10018), la delineata prospettiva trova conforto nel fatto che le Linee-guida di cui al D.M. 28 luglio 2004, costituiscono attuazione anche della direttiva 2000/60/CE (espressamente richiamata nelle premesse del D.M.), donde la necessità di un’interpretazione ed applicazione delle stesse coerente con la disciplina di matrice sovranazionale e, in particolare, con l’art. 4, comma 1, lett. i), della citata direttiva.

19. Tale norma, che certamente può dirsi autoapplicativa o self executing per il grado di evidente specificità della sua formulazione letterale, stabilisce che “gli Stati membri attuano le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali”; e tale principio, cd. di no deterloration, è stato recepito dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 76, comma 4, lett. b), nonchè fatto proprio anche dal R.D. 1775 del 1933, art. 12-bis, come sostituito del citato D.Lgs. n. 152, art. 96, comma 3, ai fini del rilascio del provvedimento di concessione ad uso idroelettrico, che non deve pregiudicare il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d’acqua interessato.

20. Tale principio è il precipitato del più generale “principio di precauzione”, di cui (attualmente) all’art. 191 TFUE, che rappresenta, nell’ordinamento Eurounitario, il “cardine della politica ambientale” e, come tale, è sovraordinato rispetto al diritto interno (Cass. Sez. U. 28 dicembre 2018, n. 33663); in tal senso, (in termini, v. ancora la citata Cass. Sez. U. n. 10018/19), anche la nota della Commissione UE all’Italia EU PILOT 6011/14/ENVI, in modo significativo, puntualizza “l’esigenza di tener conto anche degli effetti cumulati di più derivazioni in sequenza sul medesimo corso d’acqua”; e tale strumento giuridico, idoneamente concorrendo alla corretta interpretazione del diritto Eurounitario (benchè non assurgendo beninteso – al rango di fonte di quello), risulta del tutto pertinente alla fattispecie, sebbene di data successiva alle delibere impugnate, giacchè espressione di quel sovraordinato “principio di precauzione”, funzionale alla garanzia dei livelli di tutela ambientale appropriati.

21. Tale principio comportava, nella fattispecie, l’immediata applicabilità pure alle controversie ancora in corso, o comunque alle situazioni ancora non definite, dell’interpretazione più rigorosa a tutela dell’ambiente e del suo preminente valore: pertanto, la determinazione del comitato istituzionale del 2010, che la corretta e più rigorosa interpretazione sulla rilevanza delle confluenze aveva infine recepito, non avrebbe potuto, sancendo la salvezza dei pareri già resi, sanare gli effetti derivanti dalla precedente interpretazione non corretta, che, dinanzi ad un testo obiettivamente neutro, tendeva ad escludere dall’applicazione della regola il criterio in esame proprio in caso di confluenze.

22. Ed è appena il caso di rilevare che, visto anche il carattere generale della disciplina Eurounitaria sopra richiamata, univocamente interpretabile da subito nel senso poi recepito, neppure potrebbe escludersi quell’applicabilità immediata di norma sopravvenuta invocandosene una giustificazione per una variazione delle condizioni di fatto prese a base della modifica legislativa: infatti, il tenore testuale del provvedimento di adozione dell’interpretazione più rigorosa richiama l’accentuazione dei fenomeni dovuti alla confluenza in sè e per sè considerata e quindi in astratto, ma non già, se non altro in modo univoco, un aggravamento od una modifica in concreto del contesto preesistente cui arrecare quella modificazione normativa.

23. Deve concludersi quindi per la sussistenza della violazione di legge ad opera della qui gravata sentenza, la quale non si è fatta carico di esaminare la legittimità degli atti impugnati, da escludersi se non altro – ed impregiudicata ogni altra concreta e comparativa valutazione della situazione, scevra da automatismi inidonei all’effettiva tutela del bilancio idrico di bacino – alla stregua dell’immediata applicabilità dei principi appena richiamati anche alle situazioni pregresse purchè – come appunto quella per cui è causa non definite, alla stregua dell’illegittimità della sanatoria ricavata dalla vista norma transitoria per i pareri già espressi in precedenza.

24. In tal senso è fondato il motivo di doglianza, interpretato – in base all’effettiva articolazione della doglianza come in concreto dispiegata – come rivolto contro la scorretta applicazione del principio del c.d. 2L nella versione recepita nella prima determinazione del comitato istituzionale del 2007, a sua volta intesa quale norma secondaria integrativa del precetto primario.

25. Va fatta applicazione del seguente principio di diritto: “poichè in materia ambientale vige il principio, di immediata derivazione Eurounitaria, c.d. di precauzione e comunque l’obbligo, per gli Stati membri, di attuare le misure necessarie per impedire il deterioramento dello stato di tutti i corpi idrici superficiali in base anche alla Direttiva 2000/60/CE (ed al suo art. 4, comma 1, lett. i), come richiamata nelle premesse del D.M. 28 luglio 2004, previsto dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 4), anche le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per la definizione del minimo deflusso vitale, ovvero le determinazioni delle competenti Autorità di bacino che le integrano, devono essere applicate – atteso il valore preminente dell’interesse tutelato – nell’interpretazione di maggior tutela dell’ambiente anche alle situazioni pregresse ma non ancora definite, sicchè le une e le altre, quali norme secondarie integrative del precetto primario, non possono violare quel principio consentendone un’applicazione deteriore, nemmeno ed a maggior ragione quale sanatoria o salvezza di precedenti atti basati su interpretazioni meno restrittive; pertanto, ai fini dell’interpretazione applicativa del criterio del cosiddetto 2L (in base alla quale per l’ubicazione di nuovi impianti per la produzione di energia elettrica, fatta esclusione di quelli del tipo ad acqua fluente, deve essere mantenuto esente da derivazioni un tratto di alveo posto a monte dell’opera di presa e un tratto di alveo posto a valle dell’opera di restituzione degli impianti esistenti, di lunghezza pari almeno al doppio del tratto di alveo compreso tra l’opera di presa e l’opera di restituzione degli impianti predetti), occorre tener conto pure delle confluenze nonostante eventuali differenti pareri resi in data anteriore all’adozione delle norme secondarie esplicita in tal senso”.

26. L’accoglimento del secondo motivo non esime dalla disamina degli altri motivi, costituenti censure ad altrettante rationes decidendi del giudice specializzato, non immediatamente travolte dalla necessità di riesaminare la sentenza gravata alla stregua del principio di diritto appena enunciato.

27. In particolare, col terzo motivo di ricorso per cassazione, indicato come riferito alle doglianze già agitate col terzo motivo di ricorso originario e col terzo dei motivi aggiunti, i ricorrenti censurano l’omessa considerazione di molte altre ragioni ostative, richiamate però nel ricorso per cassazione per relationem; sicchè il motivo è inammissibile per insanabile difetto di autosufficienza, visto che le ragioni ostative ulteriori vengono qui indicate in ricorso con un non consentito richiamo ad altri atti del processo.

28. D’altra parte, il Tribunale superiore motiva a lungo sull’insussistenza di numerose altre ragioni ostative, analiticamente prese in esame: sicchè allora il motivo di censura avrebbe dovuto essere molto più specifico nell’individuare quali motivazioni della qui gravata sentenza erano sbagliate e per quali ragioni, senza limitarsi a richiamare, peraltro inammissibilmente per relationem, la loro enunciazione originaria, così lasciandole meramente asserite o ribadite a dispetto della contraria valutazione del giudice.

29. Ancora, col quarto motivo, specificamente indicato come riferito alle doglianze già agitate col quarto motivo di ricorso originario e col quarto dei motivi aggiunti, i ricorrenti deducono l’illegittimità della concessione per avere questa autorizzato l’installazione di una condotta su suolo Vormiana, con conseguente falsità del presupposto, oggetto di dichiarazione dell’istante, della piena disponibilità di tutti gli immobili interessati; ma il motivo è inammissibile, perchè non si fa carico dell’esplicita ratio del Tribunale superiore quanto all’irrilevanza della non titolarità di diritti reali sull’intera area coinvolta in presenza di atti equiparabili ad una dichiarazione di pubblica utilità.

30. Inoltre, con un quinto motivo, specificamente indicato come riferito alle doglianze già agitate col quinto dei motivi aggiunti, i ricorrenti adducono l’erroneità della valutazione di inammissibilità di ogni doglianza sulla compressione di un pieno diritto di partecipazione al procedimento; ma anche in questo caso va rilevata l’inammissibilità della censura, sia per l’evidente difetto di autosufficienza, sia perchè comunque la motivazione della qui gravata sentenza, a prescindere dalla correttezza della conclusione di inammissibilità, richiama l’intervenuta sanatoria a giustificazione della reiezione delle censure.

31. Infine, col sesto motivo, specificamente indicato come riferito alle doglianze già agitate col sesto dei motivi aggiunti, i ricorrenti rimarcano il vizio derivante dal fatto che al B. la comunicazione della convocazione della Conferenza era stata talmente tardiva da essere successiva alla conclusione del procedimento di autotutela; ma, in disparte la contestazione in fatto della carenza di tutte le dovute comunicazioni, anche in tal caso la censura, ancora una volta impostata come riproposizione di quella originariamente svolta col ricorso al Tribunale superiore, non si fa adeguatamente carico dell’espressa ratio decidendi – la cui correttezza quindi deve in questa sede lasciarsi impregiudicata – di intervenuta sanatoria nel merito, in carenza di contestazioni sul punto su circostanze o fatti favorevoli al pretermesso e la cui considerazione sarebbe in concreto mancata.

32. Il ricorso, infondato il primo ed inammissibili i motivi dal terzo al sesto, va accolto allora limitatamente al secondo motivo, con cassazione della qui gravata sentenza e rinvio al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in diversa composizione, cui è demandato anche di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.

33. Per essere stato almeno in parte accolto il ricorso, non sussistono i presupposti processuali per applicare il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in tema di reiezione integrale, in rito o nel merito, delle impugnazioni.

PQM

Dichiara inammissibili i motivi dal terzo al sesto, rigetta il primo ed accoglie il secondo. Cassa la gravata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia al Tribunale superiore delle acque pubbliche, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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