Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25019 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. II, 09/11/2020, (ud. 15/09/2020, dep. 09/11/2020), n.25019

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7066/2016 R.G. proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratrice p.t.,

rappresentato e difeso dall’avv. Francesco De Benedittis,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Flaminia 362, presso l’avv.

Pasquale Trane.

– ricorrente –

contro

S.G., E SP.GI., rappresentati e difesi

dall’avv. Emanuele Urso, con domicilio eletto in Roma, Via Anaspo n.

29, presso l’avv. Massimo Gizzi.

– controricorrenti –

avverso la sentenza del tribunale di Gorizia n. 13/2015, depositata

in data 8.1.2015 e avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. della

Corte d’appello di Trieste, depositata in data 13.1.2016.

Udita la relazione svolta nella CAMERA di consiglio del 15.9.2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

S.G. e Sp.Gi. hanno adito il tribunale di Gorizia, esponendo di esser proprietari di talune unità facenti parte del Condominio (OMISSIS), e di aver eseguito lavori urgenti alle parti comuni, per un importo complessivo di Euro 125.107,55, chiedendo la condanna del Condominio al rimborso di tali somme ai sensi dell’art. 1134 c.c..

Il Condominio si è costituito in giudizio, facendo rilevare che gli immobili avevano subito rilevanti modifiche ad opera degli attori, tanto che Sp.Gi. aveva intrapreso un autonomo giudizio per far dichiarare l’intervenuta usucapione delle parti terminali dell’edificio; che, in particolare, erano state sostituite le coperture e le guaine, realizzando un piano ulteriore, era stata piastrellata la copertura ed erano state sistemate alcune fioriere, dando causa alle lamentate infiltrazioni.

Ha chiesto il rigetto della domanda, sostenendo di non esser tenuto, per tali ragioni, ad alcun rimborso.

Esaurita la trattazione, il tribunale ha accolto la domanda, ritenendo indimostrato che le cattive condizioni di manutenzione dell’edificio fossero imputabili ai lavori eseguiti dagli attori e del tutto generiche le doglianze sollevate, in proposito, dal Condominio.

Ha riconosciuto l’importo di Euro 50.216,16 in favore di S.G. e di Euro 4.107,99 in favore di Sp.Gi., il tutto oltre accessori, ritenendo che i che costi fossero stati effettivamente sostenuti e che i lavori, inclusi quelli volti all’eliminazione dell’amianto, fossero urgenti e funzionali al ripristino delle condizioni di conservazione dell’immobile.

L’appello proposto dal Condominio è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..

La Corte distrettuale di Trieste ha escluso che il tribunale avesse violato il criterio di riparto dell’onere della prova, sostenendo che doveva essere il Condominio a provare che i danni erano imputabili alle modifiche realizzate dagli S.. Ha inoltre osservato che, come risultava dal verbale di sopralluogo e dalla c.t.u., le condizioni di degrado del lastrico e le infiltrazioni dal tetto erano visibili già alla data del 13.4.1999, prima dell’acquisto dei beni da parte degli appellati, e che i verbali assembleari del 12.2.2006 e del 19.11.2006 attestavano che il Condominio era a conoscenza della situazione di degrado delle parti comuni, tanto da conferire incarico ad un tecnico per l’individuazione dei lavori da eseguire.

Ha infine riconosciuto l’urgenza dei lavori, date le precarie condizioni dei beni, i pericoli per l’incolumità dei terzi e l’inerzia del Condominio, benchè edotto delle problematiche denunciate.

La pronuncia ha ritenuto che spettasse anche il rimborso dei costi di rimozione delle lastre di amianto, mancando la prova che fossero state apposte dagli attori.

Per la cassazione della sentenza di primo grado e dell’ordinanza ex art. 348 c.p.c., il Condominio (OMISSIS) ha proposto ricorso in quattro motivi, illustrati con memoria.

S.G. e Gi. hanno depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Non merita adesione l’eccezione di inammissibilità del ricorso a causa della mancata trascrizione del contenuto della sentenza di primo grado e dei motivi di appello.

Tali contenuti appaiono riprodotti a pag. 6 del ricorso in forme che, per quanto sintetiche, non pregiudicano nè l’intellegibilità delle questioni, nè la possibilità di individuare eventuali questioni coperte da giudicato interno.

2. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 348 ter c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che la Corte distrettuale abbia dichiarato inammissibile l’impugnazione, valorizzando un verbale di sopralluogo che non era stato oggetto di dibattito processuale in primo grado e che non era stato preso in esame dal tribunale, sicchè l’ordinanza non sarebbe fondata sulle medesime ragioni in fatto già valutate in primo grado.

Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1134 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver i giudici di merito ritenuto che non fosse provata la dipendenza dei danni dalle modifiche strutturali apportate all’immobile, onere probatorio che non poteva gravare sul Condominio, essendo il lastrico solare in uso esclusivo dei convenuti e al quale il ricorrente non aveva libero accesso, competendo – quindi – ai resistenti la prova che dette opere non avessero provocato gli inconvenienti denunciati.

Secondo il Condominio, la dipendenza dei danni dagli interventi eseguiti dai resistenti era comunque desumibile dai rilievi fotografici prodotti in giudizio (che rappresentavano lo stato di fatto anteriore alle modificazioni apportate al lastrico), dalle deduzioni difensive dei resistenti e dall’avvenuta realizzazione di un nuovo piano dell’edificio.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1134 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver i giudici di merito ritenuto che l’urgenza degli interventi fosse in re ipsa, in quanto ricollegabile al progressivo aggravarsi dei danni e al rischio per l’incolumità dei terzi, mancando, in realtà, una prova puntuale di tale presupposto.

Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza omesso di considerare che l’accertamento tecnico preventivo valorizzato dalla pronuncia, era stato effettuato nel 2005, mentre i lavori erano stati eseguiti nel 2007 e nel 2008, sicchè entro tale lasso temporale i resistenti avrebbero dovuto e potuto richiedere l’autorizzazione assembleare, mancando comunque il presupposto dell’urgenza degli interventi di manutenzione.

Si assume, inoltre, che le fatture acquisite al processo non contenevano un’analitica descrizione dei lavori effettuati, con l’indicazione dei singoli costi, non potendo valere come prova della congruità e pertinenza delle somme oggetto di rimborso.

Il quinto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza ritenuto incontestate le spese sostenute, trascurando il contenuto delle difese formulate dal Condominio nella comparsa di costituzione e risposta e, in maniera ancora più dettagliata, nei successivi scritti difensivi.

2. Il primo motivo è infondato.

Secondo la Corte d’appello, l’impugnazione non aveva concrete possibilità di accoglimento, poichè, come già ritenuto dal tribunale, le parti comuni dell’edificio presentavano condizioni di degrado, tali da rendere indifferibili gli interventi di riparazione, non riconducibili alle modifiche strutturali al lastrico poste in essere dagli appellati. Le motivazioni dell’ordinanza, fondate anche su un verbale di sopralluogo non menzionato nella sentenza del tribunale, non eccedono dall’ambito del giudizio prognostico di non probabile accoglimento dell’impugnazione e ciò benchè il suddetto provvedimento, pur condividendo le ragioni della decisione appellata, contenga nuove argomentazioni, diverse da quelle prese in considerazione dal giudice di primo grado, occorrendo ribadire che tale motivazione aggiuntiva non integra un’autonoma ratio decidendi e non si sovrappone, sostituendola, alle tesi adottate dal tribunale (Cass. 13835/2019; Cass. 15776/017; Cass. 23334/2018).

Sotto altro profilo, le ulteriori censure indirizzate verso l’ordinanza sollevano questioni non proponibili in sede di legittimità, poichè pertinenti al merito. Detta ordinanza è, invece, impugnabile in cassazione solo per vizi propri e nei limiti stabiliti dalla giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 1914/2016), non sussistenti nel caso in esame.

3. Il secondo motivo è infondato.

La ritenuta sussistenza dei presupposti del diritto al rimborso non si fonda sull’applicazione del criterio formale dell’onere della prova, ma sul positivo riscontro, in base agli atti istruttori espletati, delle condizioni di degrado dell’immobile (riguardo alla pavimentazione, alla guaina sottostante di impermeabilizzazione, agli elementi esterni, alla tenuta del calcestruzzo, alle condizioni dei ferri di armatura, alle facciate condominiali e al rivestimento di finitura).

Non coglie quindi nel segno la lamentata violazione dell’art. 2697 c.c., poichè la norma è invocabile solo ove il giudice abbia posto l’onere della prova a carico di una parte che non ne era gravata in base alla scissione della fattispecie tra fatti costitutivi e mere eccezioni (Cass. 13395/2018; Cass. 26769/2018; Cass. 15107/2013; Cass. 190664/2006).

Non era poi invocabile il principio di vicinanza della prova, poichè il lastrico sul quale erano stati eseguiti gli interventi era in uso esclusivo dei resistenti ma in comproprietà degli altri condomini, non sussistendo, e non essendo neppure emersa in concreto, l’impossibilità del Condominio di dimostrare la dipendenza delle cattive condizioni di manutenzione del bene comune da fattori imputabili ai singoli mediante il ricorso agli ordinari mezzi di prova (cfr., per i limiti di operatività del principio di vicinanza della prova: Cass. 12490/2020; Cass. 7093/2020 ed altre).

In definitiva, come già affermato da questa Corte, l’obbligo del condominio e dei singoli di farsi carico delle spese per la manutenzione, riparazione e conservazione delle parti comuni dell’edificio trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell’edificio e non in una particolare condotta, commissiva od omissiva, del singolo che, peraltro, se provata, può determinare, relativamente alle spese occorrenti per porre rimedio alle conseguenze negative di tale condotta, la sua esclusiva responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. (Cass. 23308/2007; Cass. 10053/2013; Cass. 23630/2017).

L’onere di allegare e di provare la responsabilità del proprietario che abbia modificato la cosa comune gravava sul Condominio, essendo prospettato un fatto impeditivo del diritto al rimborso, altrimenti discendente dalla situazione di comproprietà.

Peraltro, quanto alle cause dei fenomeni denunciati, il tribunale ha ritenuto generiche le deduzioni del Condominio, rilevando come non fossero stati individuati, con la dovuta specificità – nella comparsa di costituzione e risposta – gli ipotetici fatti causativi dei danni imputabili agli attori, e come fossero tardive le ulteriori allegazioni contenute nella comparsa conclusionale.

Nella comparsa di costituzione il Condominio si era limitato ad eccepire, senza ulteriori specificazioni, e quindi in modo effettivamente generico, che, “allorquando il bene comune è in uso esclusivo, le spese vanno poste a carico del singolo che vi abbia dato causa, apportando al bene modificazioni o innovazioni”(cfr., ricorso, pag. 12), senza precisare alcunchè riguardo alla tipologia dei lavori eseguiti e alla loro efficienza causale, essendo evidente che la sola effettuazione di modifiche alle porzioni condominiali, attuate senza autorizzazione, non vale ad escludere l’obbligo di tutti di condomini di partecipare alle spese di conservazione dei beni condominiali, ove le condizioni di questi ultimi non siano ascrivibili all’attività svolta dai singoli.

La statuizione di tardività delle ulteriori allegazioni non risulta invece – specificamente censurata e resta quindi insindacabile, non essendo neppure indicato in ricorso quale fosse il tenore delle difese proposte in corso di causa.

4. Il terzo motivo è infondato.

Il tribunale ha testualmente evidenziato che i lavori eseguiti dai resistenti si palesavano urgenti in relazione all’avvenuto aggravamento dei danni, sia a carico delle parti comuni che a carico delle proprietà esclusive, non già ritenendo che l’urgenza fosse in re ipsa, ma conferendo il dovuto rilievo alle condizioni di manutenzione delle parti comuni, ai pericoli per la conservazione dell’edificio e per l’incolumità dei terzi, alle sollecitazioni e istanze rivolte al Condominio, e – quindi – all’impossibilità di attendere l’autorizzazione assembleare, evidenziando che la questione era stata esaminata nel corso delle riunioni del 12.2.2006 e del 19.11.2006, senza che alcun intervento fosse stato eseguito, nonostante l’ulteriore aggravarsi dello stato di conservazione dell’edificio.

La pronuncia è quindi coerente con il principio secondo cui il singolo condominio ha diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione della cosa comune nell’interesse degli altri proprietari senza autorizzazione degli organi condominiali, solo qualora, ai sensi dell’art. 1134 c.c., dette spese siano urgenti, secondo quella nozione che distingue l’urgenza dalla mera necessità, poichè ricorre quando, secondo un comune metro di valutazione, gli interventi appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa o ai terzi, mentre nulla è dovuto in caso di mera trascuranza degli altri comproprietari, non trovando applicazione le norme in materia di comunione (Cass. 9280/2019; Cass. 18759/2016).

5. Il quarto motivo è per più aspetti inammissibile.

In primo luogo, la censura è preclusa dal fatto che la dichiarazione di inammissibilità dell’appello si fonda sulle stesse ragioni in fatto poste a base della sentenza di primo grado (art. 348 ter c.p.c., comma 3), fermo che il requisito dell’urgenza è stato legittimamente desunto dal complesso delle acquisizioni processuali. La circostanza che la fatturazione dei lavori sia stata eseguita a notevole distanza di tempo non appare – in ogni caso – decisiva, considerato che, come confermato dal giudice d’appello, trattavasi di fatture a saldo la cui datazione non coincideva con l’inizio delle opere di conservazione per le quali i resistenti avrebbero dovuto richiedere l’autorizzazione preventiva dell’assemblea, mentre non può censurarsi il fatto che il tribunale abbia formato il proprio convincimento su elementi diversi dalle fatture, essendo la questione pertinente al modo in cui siano state valutate e selezionate le prove, essendo la pronuncia, sul punto, logicamente motivata.

Quanto alla genericità delle fatture riguardo all’individuazione dei singoli interventi con i relativi costi, la censura finisce per sollecitare un nuovo esame dei documenti, del tutto inammissibile in cassazione. L’individuazione degli interventi alle parti comuni è stata – difatti – compiuta all’esito della valutazione del complessivo materiale istruttorio acquisito al processo, con scorporo e ordine di rimborso dei soli costi riferibili alla riparazione delle parti condominiali.

6. Il quinto motivo è inammissibile, dovendo evidenziarsi che l’omesso esame di un fatto decisivo non riguarda la condotta processuale delle parti e l’eventuale atteggiamento di non contestazione, ma il mancato apprezzamento di un dato accadimento oggettivo, risultante dagli atti ed avente carattere decisivo (Cass. s.u. 8053/2014), ferma, peraltro, l’astratta improponibilità della doglianza ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3.

Tuttavia, anche a voler riqualificare la censura, il tribunale, nel ritenere incontestati i costi delle fatture, ha fatto riferimento all’effettivo versamento delle somme da parte dei resistenti e non anche alla loro congruità e pertinenza rispetto agli interventi effettuati, invece desunte dagli elementi di convincimento.

Le deduzioni difensive formulate nella comparsa di costituzione (ove si legge: si contesta la riconducibilità dei costi esposti ed asseritamente sostenuti da parte degli attori con quanto strettamente necessario ed urgente ai sensi dell’art. 1134 c.c.), erano oggettivamente inidonee a porre in discussione il profilo dibattuto, posto l’onere del convenuto di contestare specificamente i fatti dedotti, come prescritto dall’art. 115, comma 2, nel testo formulato dalla L. n. 69 del 2009, applicabile anche al caso in esame. Il ricorso è quindi respinto.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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