Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25019 del 06/11/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 2 Num. 25019 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 31149/07) proposto da:
CONDOMINIO IPPOLITO NIEVO n. 6 di Facolnara M.ma, Ancona, in persona del suo
amministratore pro-tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine
del ricorso, dagli Avv.ti Romolo Freddi ed Arturo Alfieri ed elettivamente domiciliato presso
Io studio dell’Avv. Mario Mottironi, in Roma, via Amilcare Cucchini, n. 50;
– ricorrente contro
BURATTINI ONORINA, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del
controricorso, dall’Avv. Calogero Caruso ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’Avv. Prof. Michele Del Re, in Roma, Via C.A. Racchia, n. 2;
– controricorrente1

Data pubblicazione: 06/11/2013

íj

Avverso la sentenza n. 1144/07 del Tribunale di Ancona, depositata il 12 settembre 2007 e
notificata 11 1 ottobre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 ottobre 2013 dal
Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Francesco Corvasce (per delega) nell’interesse del ricorrente e

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Maurizio Velardi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione, notificato il 24 aprile 1999, la sig.ra Burattini Onorina, condomina del
Condominio di Via Ippolito Nievo, n. 6, di Falconara M.ma (An), conveniva, dinanzi al
Giudice di Pace di Ancona, lo stesso Condominio, in persona dell’amministratore protempore, perché fossero dichiarate illegittime le immissioni acustiche provenienti
dall’ascensore condominiale e perché, conseguentemente, ne fosse ordinata la cessazione
con condanna del medesimo Condominio alla realizzazione di tutte le conseguenti opere
necessarie.
Si costituiva in giudizio il convenuto contestando, nel merito, le deduzioni attoree ed
eccependo, inoltre, l’incompetenza e/o inammissibilità della domanda diretta ad ottenere la
condanna del Condominio ad un `lacere”, esulando essa dalla competenza del Giudice.
Il Giudice di Pace di Ancona, in parziale accoglimento della domanda attrice, dichiarava
che le immissioni acustiche provenienti dall’ascensore erano illegittime, ordinandone la
cessazione (demandando all’assemblea, sulla scorta della relazione del c.t.u., di
provvedere all’attuazione dei rimedi indispensabili allo scopo), ponendo integralmente a
carico del convenuto le spese di lite.
Interposto appello da parte del predetto Condominio, nella costituzione dell’appellata, il
Tribunale di Ancona, con sentenza n. 1144/07, depositata il 12 settembre 2007 e notificata
2

Michele Del Re (per delega) nell’interesse della controricorrente;

111 ottobre 2007, rigettava l’appello, condannando il Condominio appellante al pagamento
delle spese di lite.
Il Tribunale adito, a sostegno della sua decisione, riteneva di accogliere pienamente le
valutazioni operate dal c.t.u., il quale aveva rilevato che l’ascensore produceva emissioni
rumorose superiori ai limiti imposti dalla specifica normativa, apparendo esse immuni da

appello confermava la valutazione di intollerabilità, in danno dell’appellata, dei rumori
prodotti dalla movimentazione dell’ascensore, non potendosi applicare al caso di specie il
criterio della normale tollerabilità e quello del limite differenziale.
Avverso detta sentenza il Condominio Ippolito Nevio, n. 6, di Falconara M.ma (Ancona), ha
proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi.
Burattini Onorina ha resistito con controricorso.
Il difensore del ricorrente Condominio ha, altresì, depositato memoria illustrativa ai sensi
dell’art. 378 c.p.c. .

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il Condominio ricorrente ha denunciato la violazione e falsa
applicazione degli artt. 132, co. 1, n. 4 c.p.c. e 118, co. 1, disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art.
360 n. 4 c.p.c., formulando, ex art. 366 bis c.p.c. (ratione temporis applicabile alla
fattispecie, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 12 settembre 2007), i seguenti
quesiti di diritto: “dica la Suprema Corte se il giudice sia tenuto a dare un’esposizione
concisa ma non sommaria degli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della
decisione ed offrire una motivazione logica ed adeguata al dispositivo, evidenziando le
norme di diritto e le prove ritenute idonee a confortarla; se la mera ed acritica trasposizione
nella parte motiva della sentenza del contenuto di atti difensivi di parte, renda la
motivazione inidonea a consentire quell’indispensabile controllo delle ragione che stanno a

3

vizi logici e giuridici, oltre ad essere frutto di rigorose indagini. Pertanto, lo stesso giudice di

base della decisione in esito ad un autonomo percorso argomentativo con conseguente
nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 118, co. 2, disp. att. c.p.c.”.
2. Con il secondo motivo il Condominio ricorrente ha prospettato la violazione e falsa
applicazione dell’art. 4 DPCM 14/11/97, nonché l’insufficiente motivazione su un punto
controverso e decisivo per il giudizio, ponendo — con riferimento alla supposta violazione di

3, DPCM 14/11/1997 abbia portata privatistica e sia diretta a disciplinare i rapporti tra
condomini, relativamente alle immissioni prodotte da impianti o servizi di uso comune
interni al condominio, introducendo una presunzione di tollerabilità delle immissioni che
superino il limite differenziale di 5 db (diurno) e 3 db (notturno)”. Quanto al denunciato vizio
motivazionale il ricorrente ha inteso censurare la sentenza impugnata nella parte in cui non
aveva congruamente spiegato in che cosa consistesse il criterio di normale tollerabilità alla
luce del relativo quadro normativo che escludeva l’applicazione di qualsivoglia limite
differenziale.
3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt.
844-2728-2697 c.c., nonché il vizio di omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo ai fini del giudizio, il tutto in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.,
formulando i seguenti quesiti di diritto, quanto alla violazione di legge: “dica la Suprema
Corte se, nel caso di immissioni sonore contenute nei limiti della specifica normativa
sull’inquinamento acustico, sussista una presunzione di liceità delle stesse; se sia onere
del preteso danneggiato vincere tale presunzione, fornendo specifica prova dell’oggettiva
intollerabilità delle immissioni nel caso concreto; se il giudice nell’individuazione del limite di
normale tollerabilità debba valutare la specificità del caso considerando anche la durata
dell’effettiva esposizione al rumore, la frequenza e gli orari in cui concretamente detta
esposizione si manifesta, tenendo anche conto del preesistente e protratto (per oltre 20
anni) utilizzo del medesimo impianto, valutando il tutto sullo sfondo del particolare contesto
4

legge – il seguente quesito di diritto: “dica la Suprema Corte se la norma di cui all’art. 4, co.

ambientale e sociale”. In ordine al dedotto vizio motivazionale il ricorrente ha prospettato
che, nella sentenza impugnata, non si ravvisava un idoneo percorso argomentativo in
relazione al concreto accertamento sulla effettiva intollerabilità delle immissioni e sulla loro
oggettiva idoneità a dar luogo a fenomeni di disturbo (fisici e psichici).
4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c.,

in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., formulando il seguente quesito di diritto: “dica la
Suprema Corte se il giudice sia tenuto a pronunciarsi su tutti i capi della domanda e, in
caso di appello, su tutti i motivi di impugnazione autonomamente apprezzabili”.
5. Rileva il collegio che la prima riportata censura è manifestamente infondata e deve,
perciò, essere respinta.
Si osserva che — secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass.
n. 17145 del 2006 e Cass. n. 8294 del 2011, ord.) — la conformità della sentenza al
modello di cui all’art. 132, comma secondo, n. 4, c.p.c. (nella sua versione “ratione
temporis” applicabile nella fattispecie) non richiede l’esplicita confutazione delle tesi
non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base
della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di
soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento
risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e
le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per
sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l'”iter” seguito per
pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle
logicamente incompatibili con la decisione adottata.

Alla stregua di tale principio, la doglianza in esame è da ritenersi priva di pregio perché il
Tribunale di Ancona, con la sentenza qui impugnata e sulla scorta delle complessive
risultanze della c.t.u. rinnovata nel giudizio di appello, ha dato sufficientemente conto del
5

nonché l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, il tutto

ragionamento logico che lo ha condotto al rigetto dell’impugnazione, fondando il suo
percorso argomentativo soprattutto — come era lecito attendersi, in relazione alla natura ed
all’oggetto della instaurata controversia – sulle conclusioni emergenti dal duplice
accertamento tecnico peritale espletato, dai quali, in considerazione delle caratteristiche
delle emissioni analizzate e degli altri elementi in proposito rilevanti (quali la conformazione

della zona, dell’edificio condominiale e dell’ubicazione dell’appartamento di proprietà della
della Burattini), era scaturito che i rumori prodotti dall’elevatore condominiale superavano,
di gran lunga, la soglia di normale tollerabilità, in tal modo respingendo — per incompatibilità
con tali conclusioni decisivamente valorizzate — le avverse difese dedotte nell’interesse del
Condominio appellante. In particolare, con la sentenza impugnata, il Tribunale anconetano,
proprio sulla scorta degli esiti istruttori, ha concluso per l’intollerabilità dei predetti rumori
provocati dalla movimentazione dell’ascensore relativi al trascinamento dello stesso lungo
le proprie guide, al motore elettrico posizionato nel vano sottotetto ed alle porte a soffietto
della cabina oltre a quelle ad anta esistenti al livello dei piani, sprovviste di sufficienti
guarnizioni.
In sostanza, dunque, il denunciato vizio di motivazione ricondotto alla supposta violazione
dell’art. 132, n. 4, c.p.c. è del tutto insussistente, avendo il giudice di appello indicato
adeguatamente le ragioni poste a base del proprio convincimento, non essendosi limitato,
genericamente e “per relationem”, a fare rinvio al quadro probatorio acquisito, senza alcuna
esplicitazione al riguardo, ma avendo provveduto al una disamina logico-giuridica delle
risultanze processuali tale da far trasparire il percorso argomentativo seguito.
6. Anche il secondo e terzo motivo — esaminabili congiuntamente siccome strettamente
connessi ed inerenti alla medesima questione giuridica — sono destituiti di fondamento e
devono, quindi, essere respinti.

6

dell’ascensore e le modalità del suo funzionamento, anche in relazione alle connotazioni

Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. n. 5679 del 2001), si
è ritenuto, con riferimento al D.P.C.M. 1° marzo 1991, che i criteri dallo stesso previsti
per la determinazione dei limiti massimi di esposizione al rumore, ancorché dettati
per la tutela generale del territorio, possono essere utilizzati come parametro di
riferimento per stabilite l’intensità e — di riflesso — la soglia di tollerabilità delle

minimo e non massimo, dato che i suddetti parametri sono meno rigorosi di quelli
applicabili nei singoli casi ai sensi dell’art. 844 c.c., con la conseguenza che, in
difetto di altri eventuali elementi, il loro superamento è idoneo a determinare la
violazione di tale norma.

Orbene, nella specie, il giudice di appello — valorizzando le risultanze delle effettuate c.t.u.
— ha accertato il superamento della normale tollerabilità delle emissioni porvenienti
dall’ascensore condominiale, apprezzabile in relazione all’art. 844 c.c., prendendo come
parametro di riferimento il criterio comparativo tra il rumore con e senza la sorgente
disturbante nella differenza massima di 3 db, evidenziandosi, inoltre, come lo stesso
giudicante non si sia limitato, ai fini della valutazione di intollerabilità delle emissioni, a
considerare solo questo criterio, ma ne ha rafforzato la sua rilevanza alla stregua della
constatata emergenza di altri univoci criteri oggettivamente riscontrati, riconducibili al livello
medio dei rumori della zona (a carattere residenziale e con scarsa presenza di attività
commerciali e di servizi), alle rilevazioni ed agli accertamenti effettuati dall’ASL (oltre che,
naturalmente, dagli ausiliari tecnici), nonché al riconoscimento della loro rumorosità (non
fisiologica) da parte della medesima assemblea condominiale.
Peraltro, è stato chiarito nella giurisprudenza di questa stessa Corte (cfr., ad es., Cass. n.
1151 del 2003 e Cass. n. 17281 del 2005), che i parametri fissati dalle norme speciali a
tutela dell’ambiente (dirette alla protezione di esigenze della collettività, di rilevanza
pubblicistica), pur potendo essere considerati come criteri minimali di partenza, al fine di
7

immissioni rumorose nei rapporti tra privati purché, però, considerati come un limite

stabilire l’intollerabilità delle emissioni che li eccedano, non sono necessariamente
vincolanti per il giudice civile che, nello stabilire la tollerabilità o meno dei relativi effetti
nell’ambito privatistico, può anche discostarsene, pervenendo al giudizio di intollerabilità,
ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorché (in ipotesi) contenute in quei limiti, sulla scorta di
un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei

soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà), la cui valutazione, ove
adeguatamente motivata (come verificatosi nella specie), costituisce accertamento di
merito insindacabile in sede di legittimità.
7. Il quarto ed ultimo motivo si prospetta inammissibile perché — al di là della genericità del
formulato quesito di diritto — con esso si riproducono, in effetti, le analoghe doglianze già
dedotte con la prima censura (già ritenuta infondata), riferite alla supposta inadeguatezza
ed incompletezza della motivazione della sentenza impugnata, che, peraltro, non
avrebbero potuto essere sussunte sotto la violazione dell’art. 112 c.p.c. (come, invece,
avvenuto nel caso di specie, anche in relazione al tenore del quesito di diritto indicato),
bensì come vizio riconducibile all’art. 360 n. 5 c.p.c. .
Oltretutto, recentemente, le Sezioni unite di questa Corte (con la sentenza n. 17931 del
2013) hanno chiarito che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure
espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve
essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed
inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata
disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta
indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il
ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine
ad una delle domande o eccezioni proposte, pur non essendo indispensabile che
faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo
8

criteri fissati dalla norma civilistica (invero posta preminentemente a tutela di situazioni

comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., è, tuttavia, necessario che
il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa
omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile l’impugnazione allorché
sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare
sulla violazione di legge (proprio come accaduto nel caso in questione).

giudice di appello ha legittimamente applicato il criterio della soccombenza previsto dall’art.
91 c.p.c., offrendone univoca esplicitazione in dipendenza dell’integrale rigetto del
gravame.
8. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere
totalmente respinto, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente
Condominio anche al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, che si
liquidano nei sensi di cui in dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il
giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di
specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso nella camera di consiglio della 2″ Sezione civile in data 3 ottobre 2013.

Quanto alla censura sull’assunta immotivata condanna alle spese, deve sottolinearsi che il

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA