Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25012 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. II, 09/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 09/11/2020), n.25012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21442/2017 proposto da:

L.A., JOHNVIDEO s.r.l., elettivamente domiciliati in Roma,

Lungotevere Sanzio 1, presso lo studio dell’avv. Federico Mazzella,

rappresentati e difesi dall’avv. Cino Benelli, in virtù di mandato

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura Generale dello Stato, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 303/2017 della Corte d’appello di Firenze,

depositata il 7 febbraio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado, di rigetto dell’opposizione proposta da L.A., in proprio e quale rappresentante della Johnvideo s.r.l. contro ordinanza ingiunzione n. 16634/2014 emessa dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con la quale è stata applicata la sanzione di Euro 18.000,00 per la violazione dell’art. 110, comma 9, lett. c) e d), del TULPS (R.D. n. 773 del 1931), per avere noleggiato al circolo privato (OMISSIS) gestito da Z.H. apparecchi per giochi virtuali privo dei codici di identificazione e scollegato dalla rete telematica dell’AAMS.

Il primo giudice aveva motivato la decisione, assumendo che la dichiarazione resa dal gestore del locale, di avere ricevuto le apparecchiature dalla Johnvideo s.r.l., “erano elemento sufficiente per ritenere provata la qualità di noleggiatore, trattandosi di dichiarazione resa da un terzo all’autorità accertatrice attesa la sua credibilità e la totale assenza di elementi di contrasto addotti dall’incolpato, che si era limitato alle parole di diniego” (pag. 2 della sentenza impugnata).

Per la cassazione della sentenza gli ingiunti hanno proposto ricorso affidato a cinque motivi.

L’Agenzia delle Dogane ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115,116, c.p.c., L. n. 689 del 1981, artt. 11,13,14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Le dichiarazioni rese dal gestore, raccolte a verbale, non solo non godevano di fede privilegiata, ma non costituivano nemmeno elementi valutabili alla stregua di un indizio o di una prova atipica, perchè provenienti da soggetto incapace a testimoniare.

Il motivo è infondato. L’incapacità a deporre prevista dall’art. 246 c.p.c., si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l’interesse di fatto a un determinato esito del processo – salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell’attendibilità del teste – nè un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (Cass. n. 167/2018).

Ora tale condizione non ricorre neanche in astratto rispetto al giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, nel quale “legittimato passivo nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione emanata ai sensi della L. n. 689 del 1981, è – anche in caso di eventuale responsabilità sanzionatoria con vincolo di solidarietà – esclusivamente il destinatario dell’ingiunzione al quale viene addebitata la violazione amministrativa, in quanto tale giudizio, sebbene abbia ad oggetto un rapporto giuridico avente fonte in un’obbligazione di tipo sanzionatorio, è formalmente strutturato quale impugnazione di un atto amministrativo, sicchè non è consentita in esso la partecipazione di soggetti diversi dall’amministrazione ingiungente e dall’ingiunto” (Cass. n. 9286/2018; n. 14098/2006).

Il ricorrente fonda l’incapacità sul rilievo dell’interesse del gestore “a invocare una sua presunta buona fede, “onde tentare di elidere o comunque attenuare la propria responsabilità, addossando su altri l’illecito a lui attribuito” (pag. 10 del ricorso).

Ma tale rilievo allude a un interesse di mero fatto, assimilabile a quello sull’esito del giudizio, insufficiente a giustificare l’incapacità a testimoniare.

Si deve aggiungere che la Corte d’appello. nel ritenere utilizzabili le dichiarazioni, ha evidenziato che il gestore del locale era stato a sua volta ritenuto ed affermato responsabile delle medesime violazioni.

2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2700,2729 c.c., art. 116, c.p.c., L. n. 689 del 1981, artt. 13, 14 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6.

In tema di sanzioni amministrative le dichiarazioni dei terzi, raccolte a verbale, possono solo concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono da sole sufficienti e a fondare un giudizio di responsabilità.

Il motivo è infondato. Nel giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa pecuniaria, il verbale di accertamento dell’infrazione può assumere un valore probatorio disomogeneo, che si risolve in un triplice livello di attendibilità: a) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonchè quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione dell’opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dal pubblico ufficiale (Cass. n. 6565/2007; conf. n. 28060/2017).

E’ vero che le dichiarazioni dei terzi non hanno valore ex se di prova, ma ciò non toglie che esse siano utilizzabili ai fini del convincimento giudiziale, essendo ammissibili nel giudizio civile anche le prove atipiche, purchè il giudice fornisca adeguata motivazione della loro utilizzazione (Cass. n. 25067/2018).

E’ principio acquisito che “in tema di presunzioni semplici, gli elementi assunti a fonte di prova non debbono essere necessariamente più d’uno, ben potendo il giudice fondare il proprio convincimento su uno solo di essi, purchè grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi” (Cass. n. 23153/2018).

La sentenza impugnata è in linea con tali principi. La Corte d’appello non ha riconosciuto, in partenza e in via di principio, il valore probatorio delle dichiarazioni per sè stesse, ma in quanto avevano ricevuto conforto in elementi oggettivi. In particolare essa ha posto l’accento: a) sul difetto di qualsiasi interesse del dichiarante a “spostare su altri la proprietà delle macchine per limitare la sua responsabilità, che rimaneva sempre la medesima”; b) l’essere la Johnvideo s.r.l., indicata quale proprietaria, impresa operante nel settore; c) la carenza di interesse del gestore a danneggiare l’attuale ricorrente; d) il fatto che la società avesse subito accertamenti per fatti analoghi; e) la totale assenza di elementi contrastanti con quanto dichiarato dal terzo.

L’insieme di tali valutazioni costituiscono apprezzamenti di merito incensurabili in questa sede.

I ricorrenti si dolgono perchè la Corte d’appello ha valorizzato il fatto che, con riferimento alle dichiarazioni del gestore, non fossero stati attivati rimedi penali, sostenendosi che tali rimedi non sono invece previsti. Senza che sia utile approfondire tale aspetto, è sufficiente considerare che si tratta di un rilievo secondario rispetto a quello fondato sulla genericità della negazione, che costituisce il nucleo essenziale del ragionamento.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2729 c.c., art. 116, c.p.c., D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Spetta all’amministrazione fornire la prova della responsabilità del trasgressore e non quest’ultimo di provare il contrario rispetto a quanto dichiarato dal terzo.

Il motivo è infondato. La Corte di merito ha utilizzato le dichiarazioni del terzo in modo coerente con il valore loro riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità. Non ha spostato l’onere della prova sul trasgressore, ma ha riconosciuto, sulla base delle dichiarazioni, che l’Amministrazione aveva assolto al proprio onere di dimostrare i presupposti dell’illecito.

4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24,111,113 Cost., art. 47, comma 2, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, 6CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Le dichiarazioni rese in sede amministrativa non sono state mai confermate nè davanti all’autorità amministrativa, competente a ricevere il rapporto nell’ambito del procedimento, nè dinanzi al giudice civile in sede di opposizione ad ordinanza ingiunzione, con grave violazione del principio del contraddittorio, violazione tanto più grave ed evidente in considerazione della natura sostanzialmente penale della sanzione applicata nel caso di specie.

Il motivo è infondato. Questa Corte ha chiarito che, in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacchè la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (Cass. n. 770 del 2017).

In verità, con specifico riferimento alla fase giurisdizionale, i ricorrenti alludono a reiterate richieste per l’audizione del terzo, ma in modo generico, senza precisare di avere avanzato una specifica istanza istruttoria in tal senso, disattesa dai giudici di merito; nel qual caso, peraltro, la decisione avrebbe dovuto essere censurata sotto questo specifico profilo, mentre i ricorrenti pretendono di prendere spunto dalla supposta natura penale della sanzione per sostenere una sorta di inutilizzabilità, da parte del giudice, delle dichiarazioni rese dal terzo dinanzi a verbalizzanti. Si trascura, però, che la categoria dell’inutilizzabilità prevista dall’art. 191 c.p.p., per il processo penale non rileva in quello civile (Cass. n. 8459/2020), nel cui ambito rientra il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa (Cass. n. 14238/2001; n. 15333/2005; n. 656/2010), pure quando, in ipotesi, le sanzioni abbiano natura sostanzialmente penale. La categoria della inutilizzabilità non rileva nel processo civile proprio perchè, in questo, il giudice può porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche (Cass. n. 1593/2017; n. 17392/2015).

Del resto, l’intera censura muove dal presupposto, costituente petizione di principio, della natura sostanzialmente penale della sanzione prevista per la contestata violazione, laddove, secondo la normativa applicabile catione temporis, trattasi di sanzione che non è equiparabile, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità, alla sanzione penale.

Il ricorso deve essere rigettato, con addebito di spese.

Ci sono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

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