Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25011 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. II, 09/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 09/11/2020), n.25011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 3620/2016 R.G. proposto da:

D. s.p.a., p.i.v.a. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, D.C., c.f. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in

Lecco, alla via Roma, n. 5, presso lo studio dell’avvocato Viviana

Bove, che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in

calce al ricorso.

– ricorrenti –

contro

AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE di COMO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3187/2015 della Corte d’Appello di Milano;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 16 luglio 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ordinanza n. 9767 in data 30.5.2001 il Dirigente della Provincia di Como ingiungeva a D.C., in qualità di amministratore unico della ” D.” s.p.a., il pagamento della somma di Lire 19.030.000, per la violazione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 2 e art. 52, comma 3, ovvero “per aver effettuato il trasporto di rifiuti senza annotare sui (…) formulari di identificazione il dato relativo alla quantità di rifiuti in partenza”.

2. Avverso tale ordinanza la ” D.” s.p.a. e D.C., con ricorso della L. n. 689 del 1981, ex artt. 22 e segg., proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Como, sezione distaccata di Erba.

3. Con sentenza del 26.4.2002 l’adito tribunale accoglieva l’opposizione.

4. Con sentenza n. 23621/2006 questa Corte cassava la sentenza del 26.4.2002.

5. Con sentenza dei 24.6/23.7.2009 il Tribunale di Como, sezione distaccata di Erba, in sede di rinvio, rigettava l’opposizione.

6. La ” D.” s.p.a. e D.C. proponevano appello. La Provincia di Como non si costituiva e veniva dichiarata contumace.

7. Con sentenza n. 3187/2015 la Corte di Milano rigettava il gravame.

8. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso la ” D.” s.p.a. e D.C.; ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione. L’Amministrazione Provinciale di Como non ha svolto difese.

9. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15 e art. 52, comma 3, nonchè dell’art. 2697 c.c..

Deducono che il letterale dettato dell’art. 15 e art. 52, comma 3, cit. e segnatamente la circostanza per cui il comma 3 cit. contempla due ipotesi distinte, “chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il prescritto formulario (…)” e “chiunque indica nel formulario stesso dati incompleti o inesatti”, depongono nel senso che unicamente il produttore/detentore dei rifiuti è onerato della compilazione del formulario, sicchè è l’unico responsabile per l’eventuale incompleta od inesatta compilazione.

Deducono che alla “controfirma” cui è tenuto il trasportatore, può essere correlata unicamente la responsabilità generale in materia di trasporto di cose.

Deducono che la patrocinata opzione esegetica rinviene riscontro nella disciplina sopravvenuta – inapplicabile alla fattispecie ratione temporis – di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006 e di cui al D.Lgs. n. 205 del 2010.

Deducono dunque che nessuna responsabilità può essere ascritta alla ” D.”, che nella circostanza, per il tramite dei suoi dipendenti – autisti, è stata unicamente trasportatore; che del resto “mai la Provincia ha affermato (…) che a compilare materialmente il formulario in maniera incompleta fosse stato un soggetto diverso dal detentore” (così ricorso, pag. 8).

10. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 2 e 5 e della L. n. 241 del 1990, art. 3.

Premettono che la ” D.” è stata reputata concorrente nell’illecito in dipendenza della “controfirma” apposta al formulario da proprio dipendente.

Indi deducono che di siffatto iter ricostruttivo non vi è però traccia nella motivazione degli atti amministrativi; che inoltre il verbale di accertamento e l’ordinanza – ingiunzione non recano, ai fini del concorso nell’illecito, alcun riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 5.

Deducono al contempo che l’attribuzione a titolo di concorso dell’illecito omissivo pur alla ” D.”, mero trasportatore dei rifiuti, ha comportato violazione del principio di legalità.

11. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e art. 6, commi 3 e 4.

Deducono che nè nel verbale di accertamento della violazione nè nell’ordinanza – ingiunzione vi è qualsivoglia riferimento alla persona fisica, dipendente della ” D.”, autore materiale dell’illecito; che per giunta D.C., amministratore unico e legale rappresentante della ” D.” s.p.a., è erroneamente indicato quale autore della violazione.

12. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 24 Cost., dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 689 del 2011, art. 3.

Deducono che ha errato la corte d’appello a respingere il primo motivo.

Deducono segnatamente che hanno addotto il difetto di colpa in capo all’autista trasportatore in dipendenza dell’assenza di un sistema idoneo a consentire, prima dell’inizio del trasporto, la verifica del peso del materiale consegnato.

Deducono ulteriormente che hanno invano chiesto di provare l’inesistenza presso il produttore – detentore dei rifiuti di un idoneo sistema di pesatura.

13. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 52, commi 3 e 4.

Deducono che ha errato la corte d’appello a respingere il secondo motivo di gravame, con cui avevano addotto che nel caso de quo vi fosse margine per contestare la più lieve fattispecie illecita di cui dell’art. 52 cit., comma 4.

Deducono invero che le informazioni, benchè incomplete, erano esattamente tutte quelle dovute per legge.

14. Il primo motivo di ricorso va respinto.

15. La corte di Milano ha puntualizzato che gli appellanti non avevano avuto cura di esplicitare, con il settimo motivo d’appello, con il quale era stata denunciata l’arbitraria duplicazione del trattamento sanzionatorio e in danno del produttore dei rifiuti e in danno del trasportatore dei rifiuti, “le ragioni dell’erroneità delle conclusioni alla quali è pervenuto il Tribunale” (così sentenza d’appello, pag. 14). Ed ha soggiunto che “la apodittica formulazione del motivo in esame (…) non soddisfa il requisito di specificità della censura previsto dall’art. 342 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis” (così sentenza d’appello, pagg. 14 – 15).

16. In questi termini, evidentemente, il primo mezzo non si correla alla ratio in parte qua decidendi.

Difatti il primo motivo di ricorso non contiene alcuna argomentazione volta a censurare l’affermata genericità del “corrispondente” motivo d’appello.

17. Vero è che la corte di Milano ha dato atto che con la gravata sentenza dei 24.6/23.7.2009 il Tribunale di Como aveva appieno condiviso il principio espresso da un “precedente” di merito ovvero il principio secondo cui il trasportatore è tenuto per legge a controfirmare il formulario, cosicchè assume in tal guisa la paternità del contenuto ed in ipotesi di compilazione incompleta concorre ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 5, nell’illecito (cfr. sentenza d’appello, pag. 14).

Nondimeno, pur a ritenere che la corte milanese abbia, a sua volta, fatto proprio ed espresso il principio recepito ed affermato dal tribunale comasco, è innegabile che per tale aspetto la motivazione della Corte di Milano sarebbe meramente “ad abundantiam” ed il primo motivo di ricorso sarebbe – parallelamente – inammissibile.

Invero rileva l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, qualora il giudice, che abbia ritenuto inammissibile una domanda, o un capo di essa, o un singolo motivo di gravame, così spogliandosi della “potestas iudicandi” sul relativo merito, proceda poi comunque all’esame di quest’ultimo, è inammissibile, per difetto di interesse, il motivo di impugnazione della sentenza da lui pronunciata che ne contesti solo la motivazione, da considerarsi svolta “ad abundantiam”, su tale ultimo aspetto (cfr. Cass. (ord.) 19.12.2017, n. 30393; Cass. sez. un. 20.2.2007, n. 3840).

18. In ogni caso è inevitabile rimarcare che l’attenta lettura del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 2, esplicita chiaramente che i quattro esemplari del formulario di identificazione di cui dello stesso art. 15, comma 1, devono esser tutti – altresì – “controfirmati” dal trasportatore ed uno dei tre esemplari – che il trasportatore “porta” con sè – con la “controfirma” del destinatario dei rifiuti rimane, deve rimanere, presso il trasportatore.

Tanto è il segno che il trasportatore abbia e debba aver piena consapevolezza del contenuto del formulario e dei dati che vi sono riprodotti, sicchè le eventuali inesattezze ed incompletezze gli sono appieno ascrivibili ed appieno possono generare la sua corresponsabilità.

Per nulla si giustifica, perciò, l’opzione esegetica che i ricorrenti patrocinano.

Ossia la enucleazione dal dettato del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 52, comma 3, di due distinte proposizioni normative, di cui soltanto la prima, ove è contemplato il trasporto senza formulario, riferibile al trasportatore.

19. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi; il che ne giustifica la disamina contestuale; ambedue i motivi comunque vanno respinti.

20. Ovviamente i rilievi da ultimo premessi ai fini della corretta esegesi del combinato disposto del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 2 e art. 52, comma 3, qualificano come del tutto ingiustificata l’asserita violazione del principio di legalità, specificamente veicolata dal secondo mezzo di ricorso ed ancorata alla deduzione per cui “solo il soggetto che ha l’onere di tenere un determinato comportamento può essere sanzionato per la sua omissione” (così ricorso, pag. 12).

21. Per altro verso va rimarcato che, in tema di sanzioni amministrative, l’opposizione all’ordinanza – ingiunzione non configura un’impugnazione dell’atto, ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l’ulteriore conseguenza che, in virtù della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23 (nella specie applicabile “ratione temporis”), il giudice ha il potere – dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa – nell’ambito delle deduzioni delle parti – all’esame completo nel merito della fondatezza dell’ingiunzione, ivi compresa la determinazione dell’entità della sanzione, secondo i criteri stabiliti dall’art. 11 della legge citata, sulla base di un apprezzamento discrezionale insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici (cfr. Cass. 2.4.2015, n. 6778).

22. Su tale scorta a nulla rilevano eventuali lacune o incongruenze dell’impianto motivazionale e del verbale di accertamento e dell’ordinanza – ingiunzione.

In particolare a nulla rileva che il verbale di accertamento e l’ordinanza – ingiunzione indichino quale unico trasgressore nonchè quale autore ed esecutore materiale della condotta, D.C., legale rappresentante della ” D.” s.p.a..

In particolare a nulla rileva che il verbale di accertamento e l’ordinanza – ingiunzione non rechino alcun riferimento alla persona fisica, dipendente della ” D.”, autore materiale dell’illecito.

In pari tempo non ha nessuna valenza che il verbale e l’ordinanza non rechino alcun riferimento alla L. n. 689 del 1981, art. 5.

23. Il quarto motivo di ricorso del pari va respinto.

24. Occorre premettere che, nel rigettare il primo motivo di gravame, la corte di merito, alla luce del principio postulante la necessità della doppia misurazione, alla partenza ed a destinazione, del rifiuto trasportato, ha esplicitato che, contrariamente all’assunto degli appellanti, non poteva opinarsi nel senso della sufficienza “della barratura della casella (figurante nel formulario) “peso da verificare a destino”” (così sentenza d’appello, pag. 9) ai fini del riscontro dell’addotta – con il primo motivo d’appello – “impossibilità materiale della condotta per inesistenza del sistema di pesatura presso il produttore alla partenza” (cfr. sentenza d’appello, pag. 7). Ed ha esplicitato ulteriormente che la funzione e l’insufficienza della “barratura” era stata chiarita dal Tribunale di Como con la sentenza dei 24.6/23.7.2009 con un complesso di argomentazioni avverso cui non erano stati “mossi rilievi critici di sorta” (così sentenza d’appello, pag. 9).

25. Evidentemente, in questi termini, il mezzo di impugnazione in esame non si correla puntualmente alla ratio decidendi.

26. Più esattamente i ricorrenti non avrebbero dovuto, in questa sede, prospettare nuovamente che ab origine avevano allegato e chiesto di provare “l’inesistenza presso il produttore – detentore di un sistema di pesatura idoneo e tale da consentire agli autisti la misurazione della merce consegnata dai produttori, prima di intraprendere il trasporto” (così ricorso, pag. 15) ovvero che “nella maggior parte dei formulari vi era l’indicazione della quantità” (così ricorso, pag. 15).

Avrebbero dovuto, piuttosto, prefigurare che, diversamente dall’affermazione della corte territoriale, avevano puntualmente censurato, con l’atto d’appello, le argomentazioni spese dal Tribunale di Como con la sentenza dei 24.6/23.7.2009.

27. Di conseguenza nessun ostacolo all’operatività dell’insegnamento di questa Corte si frappone.

Ossia all’insegnamento a tenor del quale il principio posto dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 (secondo cui, per le violazioni sanzionate amministrativamente, è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa) postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all’agente, sul quale grava, pertanto, l’onere della dimostrazione di aver agito senza colpa. Ed a tenor del quale, altresì, l’esimente della buona fede, intesa come errore sulla liceità del fatto, assume, poi, rilievo solo in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare, nell’autore della violazione, il convincimento della liceità del suo operato, purchè tale errore sia incolpevole ed inevitabile, siccome determinato da un elemento positivo, idoneo ad indurlo in errore ed estraneo alla sua condotta, non ovviabile con ordinaria diligenza o prudenza (cfr. Cass. 12.5.2006, n. 11012; Cass. 11.6.2007, n. 13610; Cass. (ord.) 31.7.2018, n. 20219).

28. Il quinto motivo di ricorso parimenti va respinto.

29. Va evidenziato che, a rigore, gli argomenti in questa sede addotti ai fini della configurabilità della più lieve fattispecie illecita di cui del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 52, comma 4 – il controllo di corrispondenza tra i dati riportati nel formulario e i dati indicati nel registro è stato dalla ” D.” s.p.a. sempre eseguito correttamente; all’arrivo il peso è stato sempre verificato meccanicamente dalla ” D.” ed il peso veniva correttamente annotato, a completamento del formulario, nella parte 11 – non rinvengono puntuale riflesso nella motivazione del dictum della corte lombarda (cfr. sentenza d’appello, pagg. 9 – 10), nella parte recante reiezione del secondo motivo d’appello (concernente, appunto, l’invocata applicazione della più blanda previsione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 52, comma 4).

30. Su tale scorta inevitabile è il riferimento all’insegnamento di questa Corte, alla cui stregua, qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (cfr. Cass. (ord.) 13.12.2019, n. 32804).

31. In ogni caso il motivo in disamina è senza dubbio generico, siccome i summenzionati argomenti non recano puntuale enunciazione degli elementi alla cui stregua, nonostante la formale incompletezza ed inesattezza delle indicazioni, sarebbe stato tuttavia possibile, da parte dei giudici di merito, ricostruire quelle medesime indicazioni dovute per legge.

32. A nulla vale infine che i ricorrenti deducano che l’esigenza sottesa alla disciplina legislativa ben può reputarsi soddisfatta mediante le bolle di accompagnamento indicanti il peso dei rifiuti.

In sede di reiezione del secondo motivo d’appello la Corte di Milano ha specificato congruamente ed ineccepibilmente che le bolle di accompagnamento allegate al formulario per nulla garantivano che l’iniziale consistenza del carico non avesse subito in itinere manomissioni.

33. L’Amministrazione è rimasta intimata. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione va pertanto assunta in ordine alle spese.

34. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

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