Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25010 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. II, 09/11/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 09/11/2020), n.25010

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11006/2016 R.G. proposto da:

S.P., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma,

alla via G. Borsi, n. 4, presso lo studio dell’avvocato Federica

Scafarelli, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Sergio

Dal Prà, la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a

margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

CITTA’ METROPOLITANA di VENEZIA, (già Provincia di Venezia), c.f.

(OMISSIS), – in persona del sindaco metropolitano pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Emilia, n. 88, presso lo

studio dell’avvocato professor Stefano Vinti, che disgiuntamente e

congiuntamente all’avvocato Roberta Brusegan, la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso.

– controricorrente –

e

S.M. s.p.a., M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2939/2015 della Corte d’Appello di Venezia;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 16 luglio 2020 del

Consigliere Dott. Luigi Abete;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto rigettarsi

il ricorso.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ordinanza n. 37263 del 22.6.2010 la Provincia di Venezia ingiungeva alla “Autotrasporti Padovani” s.r.l. nonchè a S.P., legale rappresentante della medesima s.r.l., il pagamento della somma di Euro 122.371,00, per la violazione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15, comma 2 e art. 52, comma 3, ovvero “per aver effettuato n. 79 “trasporti” di materiale qualificato come rifiuto, in particolare classificato come CER 170504, senza il formulario di identificazione”.

2. Avverso tale ordinanza la “Autotrasporti Padovani” s.r.l. e S.P. proponevano distinte opposizioni dinanzi al Tribunale di Venezia.

Deducevano che il materiale trasportato – terra e rocce da scavo – non poteva qualificarsi come “rifiuto” e neppure come “rifiuto pericoloso” bensì come “sottoprodotto”, in quanto proveniente da operazioni di scavo e riutilizzabile nello stesso ciclo produttivo.

Deducevano inoltre che il progetto esecutivo contemplava il riutilizzo del materiale proveniente dagli scavi e che il trasporto consisteva nella movimentazione all’interno del cantiere sebbene attraverso la pubblica via.

Chiedevano l’annullamento dell’ingiunzione.

3. Le opposizioni venivano riunite e venivano altresì riunite alle opposizioni proposte da M.M. e dalla ” S.M.” s.p.a..

4. Resisteva la Provincia di Venezia.

5. Con sentenza n. 2486/2013 l’adito tribunale rigettava le opposizioni.

6. Avverso tale sentenza S.P. e l'”Autotrasporti Padovani” s.r.l. in liquidazione proponevano appello.

Resisteva la Provincia di Venezia.

Non si costituivano M.M. e la ” S.M.” s.p.a..

7. Con sentenza n. 2939/2015 la Corte d’Appello di Venezia rigettava il gravame e condannava gli appellanti alle spese del grado.

Evidenziava la corte, in ordine al primo motivo d’appello – con il quale la sentenza di primo grado era stata censurata nella parte in cui il materiale trasportato era stato qualificato come “rifiuto” anzichè come “sottoprodotto” – che, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, lett. f bis), (quale introdotto dalla L. n. 93 del 2001, art. 10 e quale risultante dall’interpretazione autentica operata dalla L. n. 443 del 2001, art. 1 e della L. n. 306 del 2003, art. 23), la terra e le rocce da scavo sono da escludere dal novero dei “rifiuti”, qualora utilizzate senza trasformazioni preliminari secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) ovvero secondo le modalità indicate nel progetto approvato dalla competente autorità amministrativa; che, inoltre, del pari ai fini dell’esclusione dal novero dei “rifiuti”, è necessario che gli inquinanti non superino i limiti di cui al D.M. n. 471 del 1999.

Evidenziava quindi che, ai fini dell’esclusione della terra e delle rocce da scavo trasportate dal novero dei “rifiuti”, sarebbe stato necessario acquisire riscontro dei requisiti summenzionati.

Evidenziava la corte, in ordine al secondo motivo d’appello – con il quale la sentenza di primo grado era stata censurata nella parte in cui aveva opinato per l’inosservanza delle prescrizioni contenute nella V.I.A. – che l'”ARPAV” aveva accertato che le terre e le rocce da scavo erano utilizzate in modo non conforme alle modalità previste nel progetto sottoposto a V.I.A.; che segnatamente si era accertato che le terre e le rocce da scavo non provenivano da cave autorizzate ma da siti di stoccaggio intermedio; che tale circostanza, dedotta ritualmente dalla Provincia di Venezia, non era stata adeguatamente contrastata con l’atto di appello.

Evidenziava la corte, in ordine al terzo motivo d’appello – con il quale la sentenza di primo grado era stata censurata nella parte in cui non aveva tenuto conto che i movimenti contestati erano avvenuti tutti all’interno dell’area del cantiere – che il transito era avvenuto attraverso la pubblica via, così come si aveva riscontro alla stregua dei documenti di trasporto e dei permessi di circolazione temporanea rilasciati dalla polizia municipale del Comune di Spinea nonchè alla stregua delle dichiarazioni rese dai dipendenti – autisti della “Autotrasporti Padovani”.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso S.P.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

La “Città Metropolitana di Venezia”, già Provincia di Venezia, ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

La ” S.M.” s.p.a. e M.M. non hanno svolto difese.

9. La ricorrente ha depositato memoria.

Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.

10. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 e del D.Lgs. n. 138 del 2002, art. 14, convertito nella L. n. 178 del 2002, in relazione al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8.

Premette che la corte di merito ha dato per assodata la natura di “rifiuto” del materiale trasportato ed ha omesso di riscontrarne previamente la riconducibilità al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, disposizione, quest’ultima, che in via generale fornisce la definizione di “rifiuto” ed all’uopo rimanda all’allegato “A” al medesimo D.Lgs..

Indi deduce che il materiale trasportato era costituito da terra proveniente dagli scavi interni al cantiere, che il trasporto aveva luogo all’interno del cantiere, che il materiale era riutilizzato per la formazione di rilevati del cavalcaferrovia di (OMISSIS), che la terra da scavo non proveniva da siti inquinati, sicchè non si trattava di materiale contaminato – riconducibile al punto Q15 dell’allegato “A” – con conseguente obbligo di disfarsene.

Deduce dunque che alla luce di tali circostanze terra e rocce da scavo non costituivano “rifiuto” bensì “sottoprodotto”, per il cui trasporto non era necessaria la compilazione del formulario.

11. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.pc.., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 138 del 2002, art. 14, convertito nella L. n. 178 del 2002, in relazione al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8; l’errata individuazione delle disposizioni applicabili al caso concreto con riferimento alle disposizioni recanti deroga al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6.

Deduce che la corte territoriale non ha provveduto a verificare se il materiale trasportato fosse qualificabile come “sottoprodotto”.

Deduce segnatamente che il materiale trasportato era da qualificare come “sottoprodotto”, siccome destinato, senza necessità di alcun preventivo trattamento, ad essere riutilizzato nel medesimo ciclo produttivo senza pregiudizio per l’ambiente.

12. I motivi di ricorso sono strettamente connessi, siccome le censure che all’uopo veicolano, per certi versi si sovrappongono; il che ne giustifica la disamina contestuale; ambedue i motivi, comunque, sono destituiti di fondamento e vanno respinti.

13. E’ fuor di dubbio che il materiale trasportato fosse costituito da “terre e rocce provenienti dall’attività di scavo” (cfr. ricorso, pag. 7; memoria, pag. 4).

Su tale scorta va soggiunto che, in sede di interpretazione autentica della lett. f-bis) – “le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti” – dell’art. 8, comma 1 (rubricato “esclusioni”) del D.Lgs. n. 22 del 1997 (applicabile ratione temporis), della L. n. 443 del 2001, art. 1, comma 17, come modificato della L. n. 306 del 2003, art. 23, comma 1, lett. a), n. 1) e n. 2), ha specificato quanto segue.

Ovvero che “il comma 3, lettera b), dell’art. 7 ed il comma 1, lett. f-bis) del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo D.Lgs., solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA semprechè la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti”.

14. In questi termini per nulla si giustifica la ragione di censura – essenzialmente veicolata dal primo motivo di ricorso – secondo cui la corte d’appello ha dato “per assodata la natura di rifiuto del materiale trasportato (…) omettendo previamente di esaminare la riconducibilità delle terre e rocce al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6” (così ricorso, pag. 4; cfr. altresì ricorso, pag. 12).

Evidentemente, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, del art. 8, comma 1, lett. f-bis), come autenticamente interpretata dalla L. n. 443 del 2001, art. 1, comma 17 (come modificato dalla L. n. 306 del 2003, art. 23, comma 1, lett. a), n. 1) e n. 2)), le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, costituiscono senza dubbio “rifiuti” e ricadono perciò nell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, qualora non si riscontrino concretamente le prefigurazioni eccettuative puntualmente delineate in sede di interpretazione autentica (si veda anche parere del P.M., pag. 3).

Del resto l’art. 6 – rubricato “definizioni” – del D.Lgs. n. 22 del 1997, comma 1, lett. a), dispone che “ai fini del presente decreto si intende per: a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate dell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.

E l’allegato “A”, a sua volta, menziona al punto 01 00 00 i “rifiuti derivanti dalla prospezione, l’estrazione, il trattamento e l’ulteriore lavorazione di minerali e materiale di cava”.

Non vi è motivo dunque che si prospettino false applicazioni di legge alla stregua della cosiddetta “logica del tutto rifiuto”, che i giudici di merito avrebbero improvvidamente recepito (cfr. ricorso, pag. 5); che si adduca che il rapporto tra l’art. 6 e l’art. 8 del D.Lgs. è di tipo regola – eccezione” (così ricorso, pag. 5); che ci si dolga per la mancata previa sussunzione dei fatti nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 e nel D.Lgs. n. 138 del 2002, art. 14, convertito nella L. n. 178 del 2002.

15. Negli enunciati termini le ragioni di censura addotte dalla ricorrente (“nel caso in esame difetta l’elemento soggettivo di cui all’art. 6. La ricorrente, infatti, ha reimpiegato il materiale nell’ambito del medesimo ciclo produttivo e nello stesso cantiere”: così ricorso, pag. 10; “l’effettivo riutilizzo del materiale, senza danno per l’ambiente, fa venir meno l’elemento soggettivo (…), sottraendo il materiale dal novero dei rifiuti per far entrare il medesimo nella categoria dei sottoprodotti”: così ricorso, pag. 11; “la Corte d’Appello non ha valutato la provenienza del materiale ed il suo reimpiego”: così ricorso, pag. 12) innegabilmente rilevano in rapporto al giudizio “di fatto” cui la corte di merito ha atteso.

E però in tal guisa le ragioni di censura si qualificano essenzialmente in ordine alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. D’altronde, è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

16. Alla luce di tal ultimi rilievi inevitabili tuttavia sono i seguenti corollari.

In primo luogo il giudizio di appello ha avuto inizio nel luglio del 2014 (cfr. ricorso, pag. 2).

In secondo luogo la statuizione di seconde cure ha in toto confermato la statuizione di prime cure.

In terzo luogo – conseguentemente – si applica ratione temporis al caso di specie la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860). Si tenga conto comunque che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).

17. In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.

E’ da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la Corte di Venezia ha ancorato il suo dictum.

In particolare la corte veneta ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Più esattamente, in sede di disamina del secondo motivo di gravame, in ordine all’assunto degli appellanti secondo cui il materiale proveniva da scavi interni al cantiere ed il relativo trasporto era appieno legittimo in dipendenza dell’approvazione da parte dell'”ARPAV” del progetto esecutivo, la corte ha ulteriormente specificato che i pareri favorevoli dell'”ARPAV”, sebbene datati 16.5.2005 e, dunque, antecedenti ai trasporti oggetto della contestazione, non esplicavano alcuna valenza, siccome generici e non contenenti la precisazione idonea ad escludere il materiale trasportato dal novero dei “rifiuti” (cfr. sentenza d’appello, pagg. 5 – 6).

18. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare alla Città Metropolitana di Venezia le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

La ” S.M.” s.p.a. e M.M. non hanno svolto difese. Nessuna statuizione in tema di spese va nei loro confronti assunta.

19. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, S.P., a rimborsare alla Città Metropolitana di Venezia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 8.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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