Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25004 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 23/10/2017, (ud. 23/05/2017, dep.23/10/2017),  n. 25004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1875/2012 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente – controricorrente –

contro

P.V., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ARCHIMEDE 10, presso lo studio dell’avvocato VIVIANA CALLINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati RAFFAELE DE GIROLAMO, SILVIA

MORINI, giusta delega in atti;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 8387/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/01/2011 R.G.N. 4204/2009.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

con sentenza depositata in data 11/1/2011 la Corte d’appello di Roma confermava la statuizione del giudice di prima istanza con cui era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra P.V. e Poste Italiane s.p.a., in relazione al periodo 7 aprile – 6 maggio 1999 per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione degli assetti occupazionali in corso quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del, progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”; accertava la intercorrenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed, in parziale riforma della sentenza di primo grado, sul rilievo del difetto di prova in ordine alla ordinaria diligenza del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione, dichiarava che nulla era a lui dovuto a titolo risarcitorio;

avverso tale decisione Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

resisteva il lavoratore con controricorso illustrato da memoria, proponendo ricorso incidentale affidato a tre motivi avverso i quali la società notificava controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che:

1. con il primo e il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1372,1175,1375,2697,1427,1431, c.c. e art. 100 c.p.c., nonchè e contraddittoria ed insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; ci si duole che la Corte di merito abbia respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso perchè fondata sul solo elemento temporale, contraddittoriamente posto dalla stessa Corte a fondamento del diniego di riconoscimento della domanda risarcitoria avanzata dal lavoratore;

2. con il terzo e il quarto motivo è denunciata violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 c.c.n.l. 26/11/1994 e relative integrazioni ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5;

si lamenta che i giudici del gravame abbiano ritenuto il contratto illegittimo in quanto stipulato oltre il termine del 30/4/1998 previsto dal contratto collettivo, erroneamente ritenendo che gli accordi cd. attuativi abbiano posto dei limiti temporali alla possibilità di apporre un termine ai contratti di lavoro;

3. i primi due motivi – da trattarsi congiuntamente siccome connessi sono infondati alla stregua della giurisprudenza di questa Corte secondo cui “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932 ed in motivazione, Cass. 16/4/2016 n. 7040);

la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”, che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070 e fra le altre Cass. 1-2-2010 n. 2279, Cass. 15-11-2010 n. 23057, Cass. 11-3-2011 n. 5887) e “la valutazione del significato e della portata del complesso degli elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 11-3-2011 n. 5887, Cass. 4-8-2011 n. 16932);

4. la Corte di merito, attenendosi ai summenzionati principi, ha affermato che non è sufficiente – al fine di verificare la sussistenza di una risoluzione del contratto per mutuo consenso – il mero decorso del tempo intercorso fra la cessazione del rapporto e le iniziative volte a ripristinarlo, se non accompagnato da altri fatti del tutto incompatibili con la volontà di riprendere il rapporto; ha aggiunto che nello specifico, ulteriore fattore che portava ad escludere la ricorrenza di una volontà di risolvere il rapporto inter partes, era da ravvisare nel “metus di non essere interpellato in caso di rivendicazioni”;

la statuizione, sorretta da congrua motivazione, e conforme a diritto per quanto sinora detto, resiste alla censura all’esame;

5. i motivi terzo e quarto – che possono essere congiuntamente trattati per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse – sono infondati in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001);

sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 18-7-14 n. 16492, Cass. 4-8-2008 n. 21063, Cass. 20-4-2006 n. 9245 e numerose altre); “ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378);

6. in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-32008 n. 7979, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 18378/2006 cit.);

anche sotto tale profilo la statuizione impugnata, conforme a diritto, si sottrae alla censura all’esame;

7. con tre motivi il lavoratore propone ricorso incidentale denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., art. 116 c.p.c. (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2 (secondo motivo) ed in subordine, omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che il risarcimento del danno potesse essere ridotto per effetto della condotta non diligente del creditore; invoca comunque l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, quale ius superveniens;

8. il motivo è fondato nei termini di seguito esposti;

secondo quanto affermato dalle sezioni Unite della Corte di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, la censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattive e, quindi, applicabili al rapporto dedotto, atteso che non richiede necessariamente un errore, avendo ad oggetto il giudizio di legittimità non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico(vedi Cass. S.U. 27/10/2016 n. 21691);

è stato altresì rimarcato da questa Corte in numerosi approdi (fra le altre vedi Cass. 9-1-2015 n. 1519, Cass. 2-8-2016 n. 16095) che in tema di risarcimento del danno nei casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, l’indennità di cui alla L. 24 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5 e 7, ha carattere “forfetizzato” ed “onnicomprensivo” e pertanto ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore per i danni causati dalla nullità del termine nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8;

pertanto, il ricorso è meritevole di accoglimento entro i limiti descritti, rinvenendo applicazione alla fattispecie il disposto di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 5;

la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello designata in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 23 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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