Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25000 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. VI, 25/11/2011, (ud. 10/11/2011, dep. 25/11/2011), n.25000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26553-2010 proposto da:

L.G. (OMISSIS) titolare della omonima impresa

edile, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 232,

presso lo studio dell’avvocato – MACCARONE FRANCESCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato TRIBOTTI FLORINDO, giusta procura alle liti in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato AQUILANI

BARBARA, rappresentato e difeso dagli avvocati GABRIELE DI LUCA,

GABRIELE RAPALI, giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 190/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del

22.12.09, depositata il 02/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. LINA MATERA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO

FUCCI.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

Il relatore della Sezione ha depositato in Cancelleria la seguente relazione, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con atto di citazione notificato in data 8-5-1997 L. G. conveniva dinanzi al Tribunale di Teramo D.C., per sentirlo condannare al pagamento della somma di lire 84.978.754, oltre interessi e rivalutazione, a saldo del corrispettivo (lire 273.028,754, IVA compresa) pattuito per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione su alcuni immobili di proprietà del convenuto.

Con sentenza depositata il 17-2-2003 il Tribunale adito condannava il convenuto al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 25.389,88 (pari a lire 49.161.663), oltre interessi legali dal 1-6- 1996 al saldo.

Avverso tale sentenza proponevano appello principale il D. e appello incidentale il L..

Con sentenza depositata il 2-3-2010 la Corte di Appello di L’Aquila, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello principale, ritenuta la prova del pagamento di ulteriori acconti per lire 20.000.000, in parziale riforma della sentenza di primo grado determinava il credito residuo del L. nella minor somma di Euro 15.060,74, oltre interessi legali dal 1-6-1996 al saldo, rigettando invece l’appello incidentale.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il L., sulla base di un unico motivo.

Il D. ha resistito con controricorso.

Con Punico motivo il ricorrente, denunciando la violazione dell’art. 116 c.p.c. e vizi motivazionali, lamenta la mancata valutazione dell’elaborato peritale dell’ing. Durante in ordine al preteso pagamento da parte del committente della somma di lire 20.000.000.

Sostiene che la Corte di Appello ha rideterminato il saldo dovuto dal committente in difetto di riscontri probatori di ulteriori pagamenti e procedendo ad una inammissibile duplicazione del medesimo importo, discostandosi immotivatamente dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, la quale costituisce fonte oggettiva di prova allorchè riguardi l’accertamento di fatti valutabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni tecniche.

Il motivo è manifestamente infondato.

La Corte di Appello, sulla base della documentazione acquisita, ha ritenuto certo che il D., oltre agli importi già riconosciuti nella sentenza di primo grado, ha versato al L., a fronte dei lavori dal medesimo eseguiti, due ulteriori acconti, entrambi di lire 10.000.000, come da quietanze rilasciate rispettivamente il 2-4-1996 e il 3-5-1996, apposte sul retro del documento n. 50. Nel pervenire a tali conclusioni, il giudice del gravame ha disatteso la tesi della “duplicazione” di quietanze sostenuta dall’appellato, spiegando che non è verosimile che il creditore, dopo aver ricevuto in tempi diversi quattro acconti e rilasciato altrettante quietanze, abbia emesso le successive quietanze del 2-4-1996 e del 3-5-1996 (recanti entrambe la dizione “ricevo la somma di L. 10.000.000 – dieci milioni – come acconto lavori”) senza avere effettivamente ricevuto in pagamento i corrispondenti importi, al mero scopo di effettuare un ingiustificato frazionamento (riferibile a somme in realtà già quietanzate e seguite dalle relative fatture).

L’apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo sorretto da una motivazione immune da vizi logici e pervenendo a conclusioni corrette sul piano giuridico.

E’ noto, infatti, che il rilascio di una quietanza, ai sensi dell’art. 1199 c.c., costituisce una confessione stragiudiziale dell’avvenuto pagamento, come tale revocabile, ai sensi dell’art. 2732 c.c., solo per errore o violenza (Cass. Sez. 2, 31-10-2008 n. 26325; Cass. Sez. 2, 22-2-2006 n. 3921; Cass. Sez. L., 7-10-1994 n. 8220), ipotesi non ricorrenti nella presente controversia. Nella specie, pertanto, legittimamente la Corte di Appello ha ritenuto provato il pagamento dell’ulteriore somma di lire 20.000.000 sulla base delle quietanze prodotte dal committente, con ciò implicitamente dissentendo dalle risultanze dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio. La consulenza tecnica contabile, infatti, può servire a determinare l’ammontare del debito; ma, così come non può esonerare il debitore dall’onere di provare i pagamenti effettuati, allo stesso modo non può scalfire la valenza probatoria delle quietanze prodotte dall’interessato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., a dimostrazione dei pagamenti effettuati.

Il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380-bis e 375 c.p.c.”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Il Collegio condivide la proposta di decisione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici dalle parti.

Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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