Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 250 del 09/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 250 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 16773/2012 proposto da:
ACEA PINEROLESE INDUSTRIALE S.P.A. (P.I.: 05059960012), in persona del legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine
del ricorso, dall’Avv. Rossana Veneziani ed elettivamente domiciliata presso lo studio
dell’Avv. Giorgio Biserni, in Roma, viale Parioli, n. 67;
– ricorrente —
contro
TARTARA PIERO (C.F.: TRT PRI 61B13 A479H), TARTARA SILVIA (C.F.: TRT SLV
70L59 A479Q) e ADORNO ROSA (C.F.: DRN RMR 37E66 L945H), tutti rappresentati e
difesi, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Riccardo
Ludodroff, Vilma Alberti, Sergio Monticone e Guido Francesco Romanelli ed elettivamente
domiciliati presso lo studio del quarto, in Roma, v. Cosseria, n. 5;
– controricorrenti –

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Data pubblicazione: 09/01/2014

per la cassazione della sentenza n. 247 del 2012 della Corte di appello di Torino,
depositata il 13 febbraio 2012 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 novembre
2013 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
letta la memoria difensiva depositata, ai sensi dell’art. 380, comma 2, c.p.c.,

sentiti gli Avv.ti Rossana Veneziani (per la ricorrente) e Guido Francesco Romanelli
(per i controricorrenti);
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Lucio Capasso, nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in atti.
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 25 marzo 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione
notificato il 22 settembre 2006 Tartara Piero, Tartara Chiara, Tartara Silvia e Adorno Rosa
convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Pinerolo, la s.p.a. Acea Pinerolese
Industriale perché fosse condannata al rilascio e alla restituzione di alcuni terreni di loro
proprietà, siti nel comune di Pinerolo, ovvero, in subordine, previo accertamento della
permanenza della proprietà in capo agli stessi attori dei terreni in questione, che fosse
condannata a reintegrare i medesimi nella materiale disponibilità degli stessi,
consegnandoli liberi da persone e cose. In ogni caso, chiedevano che la convenuta fosse
condannata alla rimozione di tutti gli impianti realizzati ad uso discarica, a bonificare i
terreni e a risarcire i danni subiti dagli attori ovvero a corrispondere un giusto indennizzo.
La suddetta s.p.a. Acea Pinerolese Industriale si costituiva in giudizio, contestando le
domande avversarie e chiedendo di essere dichiarata unica proprietaria degli immobili
oggetto di giudizio per intervenuto acquisto a titolo originario.
Il Tribunale di Pinerolo, con sentenza parziale emessa ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.
(recante il n. 619/2007), condannava la società convenuta a rilasciare agli attori, in quanto
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nell’interesse della ricorrente;

proprietari, i terreni dedotti in controversia; dichiarava improcedibili la domanda risarcitoria
attorea per l’occupazione e la domanda riconvenzionale di declaratoria di occupazione
acquisitiva; disponeva la rimessione della causa in istruttoria sulla domanda di
risarcimento in forma specifica per l’inquinamento del terreno.
A seguito dell’impugnazione, da parte della s.p.a. Acea Pinorelese Industriale, della

depositata il 13 febbraio 2012 e non notificata, rigettava l’impugnazione, confermando la
sentenza impugnata e condannando la parte appellante a rifondere agli appellati le spese
di lite.
Avverso detta sentenza, la società appellante proponeva ricorso per cassazione, notificato
il 2 luglio 2012 e depositato il 17 luglio 2012, sulla base di un unico motivo.
Gli intimati si costituivano con controricorso.
Ritiene il relatore che, avuto riguardo all’art. 380 bis c.p.c. in relazione all’art. 375 comma
1, n. 5, sussistono le condizioni per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta
infondatezza e, quindi, per la sua conseguente definizione nelle forme del procedimento
camerale.
Con l’unico complesso motivo di ricorso formulato la ricorrente ha dedotto la violazione o
falsa applicazione dell’art. 1 L. 3.1.1978 n. 1 e degli art. 11 e 12 L. 20.3.1941 n. 366, in
relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e, precisamente, in ordine
al mancato riconoscimento dell’esistenza di una, seppur implicita, dichiarazione di
pubblica utilità dell’opera, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. .
In particolare, la ricorrente ha contestato che la Corte d’Appello, pur avendo ammesso la
possibilità di riconoscere — sussistendone i presupposti — l’avvenuta acquisizione della
proprietà dei fondi in capo alla stessa società, in virtù della c. d. accessione usurpativa o

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richiamata sentenza non definitiva, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 247/2012,

invertita, aveva, però, illegittimamente respinto la domanda riconvenzionale formulata
dalla medesima Acea nel primo grado di giudizio.
Tale doglianza appare, all’evidenza, manifestamente infondata.
Infatti, la Corte torinese, esaminata la domanda riconvenzionale avanzata dalla società
Acea, l’ha respinta con motivazione congrua ed adeguata, pienamente condivisibile e

Premesso di ritenere quali condizioni necessarie per il riconoscimento dell’occupazione
acquisitiva l’esistenza di una valida ed attuale dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e
l’avvenuta irreversibile trasformazione del bene illecitamente occupato e la
contemporaneità di tali due requisiti, la Corte territoriale ha consequenzialmente accertato
nel merito, in base alla ricostruzione dei fatti, l’assenza della dichiarazione di pubblica
utilità, e, pertanto, l’impossibilità di accertare e dichiarare l’acquisto della proprietà dei
fondi in capo alla società Acea.
Quindi, non si può ritenere che fosse applicabile, nella specie, l’istituto dell’occupazione
acquisitiva, trattandosi, piuttosto, della diversa fattispecie dell’occupazione usurpativa, per
essere stato l’immobile occupato in assenza di qualsivoglia dichiarazione di pubblica
utilità.
Non può essere condivisa l’interpretazione della s.p.a. Acea, secondo la quale la
dichiarazione di pubblica utilità sarebbe presente in re ipsa nella natura dell’opera; tale
circostanza, infatti, non è idonea e sufficiente, dovendo, invece, sussistere un
provvedimento che esprima in modo concreto ed esplicito, la rispondenza dell’opera ad un
fine di pubblica utilità.
Nel dettaglio, come rettamente osservato dalla Corte territoriale, la deliberazione della
Giunta Municipale n. 181 del 7 febbraio 1978 di approvazione dell’opera, che la società
Acea assume che costituisse una dichiarazione implicita di pubblica utilità, rappresenta, in

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corretta.

realtà, una mera individuazione di un sito da destinare temporaneamente a discarica (al
più, potrebbe configurarsi come un’attribuzione di destinazione urbanistica all’area).
Con essa venne deliberato di “istituire in attesa che venga realizzato l’impianto consortile
attualmente allo studio, in area sita nel territorio comunale, descritta nell’unita relazione
14/11/1977 della Commissione di cui in narrativa, identificata in planimetria allegata alla

Orbene, dal logico esame di tale delibera compiuto dalla Corte piemontese, appare
evidente l’impossibilità di assimilarla alla diversa deliberazione di approvazione del
progetto dell’opera (la sola che avrebbe potuto costituire implicita dichiarazione di pubblica
utilità), in quanto non conteneva ed approvava gli atti progettuali, nonché i costi e la spesa,
quali elementi costitutivi della fattispecie normativa di cui alla legge n. 1/78.
Non essendo presente, nella delibera de qua, nessuno dei predetti elementi essenziali, la
stessa non poteva essere considerata come un valido e legittimo avvio della procedura
espropriativa, così da giustificare il verificarsi della pretesa accessione invertita.
Peraltro, non appare condivisibile l’argomento sostenuto dalla s.p.a. Acea, per cui, in base
alla normativa all’epoca vigente, non sarebbe stato necessario approvare un progetto per
la costruzione della discarica, con la conseguenza che, il riconoscimento della pubblica
utilità dell’opera deriverebbe dalla semplice localizzazione dell’opera, scontrandosi, inoltre,
con il principio di tipicità degli atti amministrativi.
Infatti, in base alla legge speciale n. 366/1941, tutti gli interventi di trasformazione
urbanistica erano e sono soggetti all’approvazione di un progetto ed al relativo rilascio del
titolo edificatorio, a prescindere dagli ulteriori assensi necessari in relazione alla natura
dell’opera.
Per quanto sopra esposto, nella fattispecie in esame, ricorreva senza dubbio il diverso
istituto dell’occupazione usurpativa, non potendosi quindi, rilevare, le violazioni dedotte
dalla ricorrente.
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relazione medesima, una discarica controllata per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani”.

In definitiva, quindi, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere
nelle forme camerali di cui all’art. 380-bis c.p.c., ravvisandosi la manifesta infondatezza del
ricorso, in relazione all’ipotesi contemplata nell’art. 375 n. 5 c.p.c. ».
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti
nella relazione di cui sopra, avverso la quale la memoria difensiva, depositata

contrappone ulteriori argomentazioni idonee a confutare la relazione stessa e senza che
dalla discussione orale dei difensori siano emersi nuovi elementi di valutazione;

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la
conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in
favore dei controricorrenti in solido fra loro, nei sensi di cui in dispositivo (sulla scorta dei
nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140,
applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n.
17405 del 2012).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei
controricorrenti, in solido fra loro, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi
euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 12 novembre 2013.

nell’interesse della ricorrente principale ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., non

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