Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24996 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/12/2016, (ud. 13/10/2016, dep. 06/12/2016), n.24996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21530/2014 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RIMINI 14, presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA CARUSO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO SORBELLO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PALUMBO S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARAGUAY 5,

presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SICILIANO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MAURIZIO RUMOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 890/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 23/06/2014 r.g.n. 331/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/10/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato RUMOLO MAURIZIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 23 giugno 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale era stata rigettata la domanda proposta da C.G., dirigente alle dipendenze della s.p.a. Palumbo, volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società.

La Corte anzidetta, premesso che gli addebiti contestati al C. dovevano essere valutati sotto il profilo della giustificatezza e non della giusta causa e che l’appello era stato proposto per ottenere la riforma della sentenza solo nella parte in cui il licenziamento era stato ritenuto giustificato ed era stata esclusa l’indennità supplementare e l’indennità sostitutiva del preavviso, ha ritenuto che l’impugnata sentenza era da condividere, atteso che i fatti contestati, per la loro gravità e il grado di fiducia che deve sussistere tra il datore di lavoro e il dirigente, assumevano il carattere di un giustificato motivo di recesso.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre il C. sulla base di tre motivi. Resiste la società con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I tre motivi del ricorso sono trattati congiuntamente e denunciano:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., L. n. 300 del 1970, art. 7 e della L. n. 604 del 1966, art. 6; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti; mancata valutazione della documentazione prodotta in relazione agli addebiti contestati.

b) violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 e dell’art. 2119 c.c., in relazione alla nozione di giustificatezza del licenziamento; omessa motivazione sul punto;

c) violazione dell’art. 2118 c.c. e degli artt. 1362 c.c. e segg.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Il ricorrente lamenta:

– che entrambi i giudici di merito hanno omesso di pronunciare sulla eccezione relativa alla tardività delle contestazioni, con conseguente violazione del principio di immediatezza;

– che il giudice di primo grado non ha ammesso, perchè tardiva, la documentazione prodotta nel corso del giudizio che avrebbe dimostrato l’insussistenza dei fatti contestati, documentazione che non è stata quindi presa in considerazione dalla Corte territoriale;

– che la insussistenza dei fatti oggetto di contestazione è emersa anche dalle deposizioni testimoniali;

– che la nozione di “giustificatezza” del licenziamento dei dirigenti non coincide con quella di giusta causa o di giustificato motivo; nella specie la Corte di merito ha valutato i fatti sotto il profilo della giusta causa, ritenendo sussistente la lesione del rapporto fiduciario ed escludendo quindi l’indennità supplementare e l’indennità sostitutiva del preavviso.

2. Il ricorso è inammissibile sotto un duplice profilo.

2.1. Innanzitutto, esso, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), non contiene l’esposizione sommaria dei fatti di causa, essendosi il ricorrente limitato a trascrivere al riguardo la sentenza impugnata.

Il requisito in questione, invero, non costituisce un adempimento di ordine formale, ma è funzionalmente preordinato a fornire al giudice di legittimità la conoscenza necessaria degli esatti termini in cui la causa è sorta e si è sviluppata ed a consentire al medesimo di cogliere il significato e la portata della proposta impugnazione senza ricorso ad altre fonti ed atti del processo.

Nè la mancata esposizione dei fatti di causa può essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il ricorso, non essendone garantita l’esatta comprensione in assenza di riferimenti ai fatti sostanziali e processuali.

Questa Corte, al riguardo, ha più volte affermato, che, ai fini della sussistenza del requisito in questione, è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (Cass. 12 giugno 2008 n. n. 15808; Cass. 9 marzo 2010 n. 5660 e, in precedenza, fra le altre, Cass. 24 luglio 2007 n. 16315; Cass. 31 gennaio 2007 n. 2097).

2.2. Inoltre, altro profilo di inammissibilità va ravvisato nella formulazione dei motivi congiunti, che non permette nella specie di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, non essendo state precisate, nel corpo del ricorso, in relazione alle singole censure, le violazioni in cui sarebbe incorsa l’impugnata sentenza.

Al riguardo, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti i vizi giuridici e l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo, inerenti al merito della causa, finisce per rimettere a questa Corte il compito di isolare le singole censure, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dal ricorrente, per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Cass., ex plurimis, Cass. 23 settembre 2011 n. 19443; Cass. 20 settembre 2013 n. 21611 e, in precedenza, Cass. 11 aprile 2008 n. 9470).

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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