Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24995 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. II, 09/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 09/11/2020), n.24995

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21107/2019 proposto da:

I.M.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato ERICA SCALCO,

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Valentina

Caporilli, in ROMA, VIA S. CANSACCHI 11;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 10735/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il

5/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Roma decidendo sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria del richiedente I.M.M., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego notificato il 4.9.2018 dalla Commissione territoriale di Roma – ha rigettato tutte le domande avanzate dall’odierno ricorrente, che richiedeva in via principale il riconoscimento dello status di rifugiato, in via subordinata la protezione sussidiaria, in via ulteriormente subordinata il diritto di asilo ex art. 10 Cost., o la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il Tribunale riteneva non credibile il racconto del richiedente in relazione alle ragioni sottese alla decisione di espatriare. Questi dichiarava, tra l’altro, di essere iscritto al partito (OMISSIS) e di essere il segretario della sezione giovanile del suo villaggio, occupandosi della propaganda politica fra i giovani; che il (OMISSIS) durante un comizio del (OMISSIS) nel suo villaggio v’era stato uno scontro con alcuni militanti del partito avversario (OMISSIS) ed uno di questi era morto; che, nonostante il giorno del comizio fosse a (OMISSIS), era stato ingiustamente accusato della morte del ragazzo e che alcuni membri dell'(OMISSIS) erano venuti a cercarlo a casa ma egli era scappato a (OMISSIS), per cui suo padre era stato picchiato e suo fratello ucciso essendo stato scambiato per lui, ed era stato anche denunciato ingiustamente dall'(OMISSIS); che l’avvocato cui si era rivolto gli aveva detto che non sarebbe riuscito a provare la sua innocenza, poichè la polizia era schierata col partito di governo, e gli aveva consigliato di lasciare il paese, mentre i rappresentanti del suo partito gli avevano consigliato di trasferirsi a (OMISSIS); che a quel punto aveva contattato un trafficante ed era venuto in Italia, tentando di espatriare una prima volta nel 2010 (quando era stato rimandato indietro perchè il passaporto era falso), ed arrivandovi (dopo essere stato in Pakistan, Iran, Turchia e Grecia) il (OMISSIS), essendo stato fermato dalla polizia, sempre per la falsità del passaporto, e presentando domanda di protezione.

Avverso detto decreto I.M.M. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, si duole della valutazione giudiziale di non credibilità del racconto del richiedente esposta dal giudice del merito nel provvedimento impugnato.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

1.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (perantro in termini generali valevoli per tutti i proposti motivi) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

1.3. – Va inoltre rilevato che la valutazione, in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. sempre Cass. n. 3340 del 2019, cit.).

Ciò posto, questa Corte osserva come la parte ricorrente, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, pretenda, ora, una nuova valutazione del giudizio di credibilità del richiedente, proponendo censure che sconfinano con tutta evidenza sul terreno delle mere valutazioni di merito, come tali rimesse alla cognizione dei giudici della precedente fase di giudizio e che possono essere censurate innanzi al giudice di legittimità solo attraverso le ristrette maglie previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Nè è possibile pretendere l’attivazione dei poteri istruttori officiosi del tribunale per l’acquisizione di ulteriori informazioni sulla situazione sociopolitica della Guinea, in presenza di una valutazione giudiziale negativa della credibilità del richiedente, valutazione quest’ultima che rende superflua ogni ulteriore approfondimento istruttorio in ordine al reclamato status di rifugiato.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la motivazione impugnata, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in ragione della mancata acquisizione di informazioni aggiornate sulla situazione socio politica del Bangladesh e sul suo sistema giudiziario e carcerario e per non avere correttamente valutato le prove offerte.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Il ricorrente non coglie e non censura correttamente la ratio decidendi della motivazione impugnata in riferimento al diniego di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b. Ed invero, il Tribunale ha respinto la domanda di protezione sussidiaria da ultimo menzionata sulla base dell’affermata convinzione della non credibilità del racconto, profilo quest’ultimo che – se non censurato correttamente (come nella specie: v. supra) – rende superflua ogni ulteriore valutazione sulla riconducibilità o meno della vicenda narrata nel paradigma applicativo delineato dal predetto art. 14 e sulla natura della minaccia, cui il richiedente si sarebbe asseritamente sottratto con l’espatrio dal suo paese.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per la mancata acquisizione di informazioni aggiornate sulla situazione socio-politica del Bangladesh e per non avere acquisito le informazioni ricavabili dal sito del MAE ed i rapporti di organizzazioni e istituzioni internazionali.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – La parte ricorrente tenta di sollecitare la Corte di legittimità ad una rivalutazione degli atti istruttori per rinnovare la valutazione di merito in ordine alla situazione di pericolosità interna della Guinea per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, così proponendo censure che si pongono ben al di là del perimetro delimitante la cognizione del giudizio di legittimità e che, inoltre, non vengono neanche introdotte attraverso la denuncia di un eventuale vizio argomentativo, ora censurabile nei ristretti limiti sopra ricordati di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma come violazione di legge sostanziale.

4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 8, comma 3, in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – Risulta infatti essere stata mal censurata la motivazione impugnata. Invero, come detto, la parte ricorrente denuncia, sempre per violazione di legge, la mancata considerazione di fatti ritenuti decisivi per il riconoscimento della reclamata protezione umanitaria, che, invece, avrebbero dovuto essere dedotti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e che, comunque, per come formulati, richiederebbero una rivisitazione di merito della decisione che è invece inibita al giudice di legittimità.

4.3. – Anche tale censura si risolve, dunque (al pari delle altre), nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

4. – Il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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