Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24992 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 09/11/2020), n.24992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 929/2018 proposto da:

BIEMME SRL, domiciliata in Roma c/o Corte di Cassazione P.zza Cavour,

Avv. GIOVANNI LAURO, lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

HYPO ALPE ADRIA BANK SPA, Q.M.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 790/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 19/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/07/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato il 24 marzo 2015 Biemme S.r.l. conveniva davanti al Tribunale di Udine Hypo Adria Bank S.p.A. per l’accertamento della gratuità di contratto di leasing con essa stipulato il 29 settembre 1999 derivante dalla pattuizione di interessi usurari, e per la conseguente condanna a restituirle quanto versato a titolo di interessi. Controparte si costituiva, resistendo.

Il Tribunale, con sentenza n. 272/2016, rigettava, compensando per metà le spese processuali.

Biemme proponeva appello principale, e controparte appello incidentale. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 19 ottobre 2017, rigettava il gravame principale e accoglieva parzialmente l’incidentale, eliminando la compensazione parziale e condannando Biemme a rifondere integralmente le spese di lite anche del primo grado, diversamente liquidate.

Biemme ha proposto ricorso, articolato in tre motivi, illustrato anche con memoria, e da cui controparte si è difesa con controricorso.

Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, per averne il giudice d’appello negato l’estensione anche agli interessi corrispettivi.

La giurisprudenza di legittimità insegna che la L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 1, concerne sia gli interessi corrispettivi sia gli interessi moratori. Ad avviso della ricorrente, poi, la pattuizione di interessi moratori superiori al tasso soglia legale renderebbe gratuito l’intero contratto: l’art. 1815 c.c., comma 2, in combinato disposto con il D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1, comma 1, L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 1 e art. 644 c.p., “esprime un principio giuridico valido per tutte le obbligazioni pecuniarie e, a seguito della revisione normativa operata dalla L. n. 108 del 1996 (e dalla L. n. 24 del 2001), prevede la conversione forzosa del mutuo da usurario in gratuito, in ossequio alla esigenza di maggiore tutela del debitore: in caso di interessi usurari, la clausola che li prevede è nulla e dunque non sono dovuti interessi del capitale prestato dal mutuante”.

Cass. ord. 4 ottobre 2017 n. 23192, rigettando ricorso proposto avverso un decreto che non aveva ammesso al passivo fallimentare gli interessi corrispettivi pattuiti entro la soglia usura di un mutuo in cui il tasso moratorio era stato pattuito oltre la soglia d’usura, avrebbe ribadito che, applicando l’art. 1815 c.c., comma 2, non sarebbe dovuto alcun interesse, inclusi gli interessi corrispettivi.

Si richiama altresì S.U. 24675/2017, asserendo che, come obiter dictum, vi sarebbe riconosciuto che la gratuità del mutuo è una sanzione civile.

Ancora, viene citata Cass. 12965/2016, la quale, nel capo 12 della motivazione, avrebbe affermato che la nullità della convenzione di interessi usurari determinerebbe, ex art. 1815 c.c., comma 2, l’esclusione di ogni debito per interessi. Inoltre Cass. ord. 31 gennaio 2017 n. 2484 avrebbe insegnato che l’art. 644 c.p., come novellato dalla L. n. 108 del 1996, art. 1, “comporta la correlata sanzione civile della non debenza di alcun interesse in caso di superamento del tasso soglia” ex art. 1815 c.c., comma 2.

Si argomenta poi nel senso che l’art. 1815 c.c., comma 2, riguarda ogni tipo di finanziamento e che il già citato intervento nomofilattico di S.U. 24675/2017 stabilisce il rilievo, per l’accertamento della usura, del momento di pattuizione del saggio degli interessi, indipendentemente poi dal pagamento.

2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, motivazione apparente secondo l’insegnamento di S.U. 8053/2014 e relativa lettura proprio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove la corte territoriale non ha disposto la richiesta consulenza tecnica d’ufficio.

La corte territoriale ha affermato l’insussistenza di una specifica impugnazione relativa alla mancata disposizione della consulenza, mentre questa sussisterebbe: per dimostrarlo, viene riportato uno stralcio dell’atto d’appello, concludendo che l’impugnazione per omessa nomina di un consulente tecnico d’ufficio sarebbe stata proposta, “seppur non con formule sacramentali” come preteso dal giudice d’appello.

Quest’ultimo avrebbe inoltre fornito una motivazione apparente qualificando “apoditticamente superflua ai fini del decidere” la consulenza. Eppure “l’alto tecnicismo della materia” qui trattata avrebbe reso necessaria la consulenza per “accertare e quantificare lo sforamento della soglia”, sia in relazione ai tassi singolarmente considerati, sia tenendo conto di tutti gli oneri contrattuali, onde la consulenza sarebbe stata di “indubbia utilità” per decidere.

3. Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, laddove la Corte d’appello, pur avendo il Tribunale accertato un tasso di mora ben oltre la soglia legale (15,75% a fronte di una soglia prevista per 8,535%) e quindi compiuto un parziale accoglimento della prospettazione attorea, ne ha riformato la pronuncia condannando l’attuale ricorrente alla rifusione totale delle spese del primo grado, di cui il Tribunale aveva disposto la compensazione per metà. In conseguenza dell’accoglimento parziale, invece, il Tribunale doveva compensare, per cui riformando la sua decisione il giudice d’appello sarebbe incorso in violazione di legge.

4.1 Il primo motivo, come si è visto, mira al riconoscimento di un principio di diritto per cui, sussistendo pattuizione di interessi moratori usurari, e dunque non dovuti ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2 – “Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, detta norma investa di nullità e conseguente non debenza pure gli interessi corrispettivi, che verrebbero “contagiati” dal vizio affliggente quelli moratori allo scopo di integrare una sanzione civile che troverebbe la sua ratio nella tutela del debitore.

Sostiene la ricorrente che tale principio sarebbe già rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità.

In primo luogo, pertanto, occorre riassumere l’effettivo contenuto degli arresti invocati nel motivo per sostenere questo asserto, id est verificare se realmente un siffatto principio “estensivo” di nullità sia stato in precedenza affermato.

4.2 La non massimata Cass. sez. 1, ord. 4 ottobre 2017 n. 23192 si è occupata di un caso in cui un soggetto aveva chiesto l’ammissione al passivo per un credito vantato in virtù di un contratto di mutuo fondiario; in particolare, l’impugnato decreto del tribunale fallimentare aveva rigettato la sua opposizione allo stato passivo del fallimento, condividendo quanto già deciso dal giudice delegato, e quindi riconoscendo l’ammissione al passivo soltanto per la sorte capitale, “non potendo essere riconosciuti gli interessi moratori” in quanto, al momento della pattuizione, superiori al tasso soglia legale, così da integrare una fattispecie di usura originaria e non – come sostenuto dal mutuante – di usura sopravvenuta; conseguentemente la pattuizione del tasso di mora era stata considerata nulla ex art. 1815 c.c., comma 2 “e nessun interesse spettava”.

Il motivo denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1815 c.c. e della L. n. 108 del 1996, per avere il tribunale fallimentare ritenuto di dover valutare, in relazione al tasso soglia, l’eventuale usurarietà originaria del tasso di mora e perchè comunque, se nulli fossero stati gli interessi usurari moratori, tale nullità non avrebbe potuto investire gli interessi corrispettivi in quanto non oltrepassanti il tasso soglia.

L’ordinanza, dalla motivazione assai concisa – applicandone infatti la forma semplificata -, dapprima rileva che la soglia cui rapportarsi per legge deve essere quella vigente al momento in cui i interessi sono promessi o comunque concordati, per avere il legislatore “voluto sanzionare l’usura perchè realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore”, e poi qualifica il ricorso manifestamente infondato sulla base di giurisprudenza per cui, nel contratto di mutuo, la L. n. 108 del 1996, art. 1, prevedente il tasso soglia oltre il quale gli interessi pattuiti devono considerarsi usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori, avendo in quel caso giurisprudenziale errato il giudice di merito “nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perchè non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso”. Il riferimento, quanto al più recente tra gli arresti citati dall’ordinanza, è a Cass. sez. 6-1, ord. 6 marzo 2017 n. 5598.

Quest’ultima si è limitata ad affermare che, nel caso di contratto di mutuo, la L. n. 108 del 1996, art. 1, riguarda sia gli interessi corrispettivi sia gli interessi moratori, cassando una pronuncia che aveva escluso la possibilità di ritenere usurari gli interessi per la non cumulabilità degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, fattispecie palesemente diversa rispetto a quella in esame.

Non corrisponde, quindi, al suo effettivo contenuto sostenere che Cass. ord. 23192/2017 si sia pronunciata a favore di una estensione all’interesse corrispettivo della nullità emersa nell’interesse moratorio.

4.3 S.U. 19 ottobre 2017 n. 24675 ha stabilito che nei contratti di mutuo, se il tasso degli interessi pattuito supera, durante il rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, “non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, nè la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

Il tema affrontato, quindi, era quello della c.d. usura sopravvenuta; la stessa ricorrente riconosce che ciò che invoca sarebbe un obiter dictum.

Nella motivazione, sub 3.4.1, le Sezioni Unite si limitano ad affermare: “Una sanzione (che implica il divieto) dell’usura è contenuta… anche nell’art. 1815 c.c., comma 2,… il quale però presuppone una nozione di interessi usurari definita altrove, ossia, di nuovo, nella norma penale… Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; “ai fini dell’applicazione” del quale, però, non può farsi a meno – perchè così impone la norma d’interpretazione autentica – di considerare il “momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”. Non ha perciò fondamento la tesi che cerca di limitare l’efficacia della norma di interpretazione autentica alla sola sanzione penale e alla sanzione civile della gratuità del mutuo, perchè in tanto è configurabile un illecito civile, in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 c.p., come interpretato dal D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1″.

Si è riportato integralmente il passo che contiene il riferimento alla “sanzione civile della gratuità” perchè la sua lettura dimostra che tale espressione non è stata utilizzata per affermare, neppure come obiter dictum, che, nel caso in cui siano nulli ex art. 1815, comma 2, gli interessi moratori usurari, sia stata inserita dal legislatore una sanzione civile che espande la nullità anche ad interessi di altra specie di per sè “sani” perchè non usurari, così da rendere gratuito tutto il negozio, ovvero non privarlo di ogni effetto giuridico con una nullità radicale, bensì svellerne la corrispettività.

4.4 Un’altra artificiosa estrapolazione di un passo motivazionale si rinviene nell’ulteriore citazione di Cass. sez. 1, 22 giugno 2016 n. 12965, che nel capo 12 della motivazione così si esprime: “Ma prescindendo dai riflessi più propri della sede penale in senso stretto, ed avendo di mira l’effetto revocatorio netto che, per l’interpretazione qui solo ribadita dal Collegio in tema di nullità della convenzione di interessi usurari, si determina all’altezza dell’art. 1815 c.c., comma 2, con l’esclusione conseguente di ogni debito per interessi, il medesimo rigore delimitativo va condotto anche ai fini civilistici, per stabilire la natura innovativa o interpretativa del D.L. n. 185 del 2008, art. 2-bis”. Dal precedente svolgimento della motivazione non emerge alcun elemento che conduca a intendere la frase “con l’esclusione conseguente di ogni debito per interessi” come significativa di una espansione della nullità da un tipo all’altro degli interessi. Nè un elemento siffatto emerge nel prosieguo.

4.5 Infine la ricorrente ha invocato Cass. sez. 1, ord. 31 gennaio 2017 n. 2484, la quale avrebbe “ribadito” che il novellato art. 644 c.p. “comporta la correlata sanzione civile della non debenza di alcun interesse in caso di superamento del tasso soglia” ex art. 1815 c.c., comma 2.

Ancora una volta viene valorizzata l’espressione “di alcun interesse” laddove il contesto motivazionale non consente di intendervi una espansione della nullità – la “sanzione civile” – al di fuori degli interessi risultati usurari.

Invero, la completa frase formulata nella motivazione – “La natura del divieto, la sua inderogabilità assoluta, la sanzione penale che ne accompagna la violazione ex art. 644 c.p., così come novellato dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 1 e la correlata sanzione civile della non debenza di alcun interesse in caso di superamento del tasso soglia ex art. 1815 c.c., comma 2, così come novellato dalla L. n. 108 del 1996, art. 4, inducono univocamente ritenere che il sistema di chiusura abbia un’applicabilità generale (con riferimento alle tipologie contrattuali previste dalla L. n. 108 del 1996, art. 2) e non possa desumersene alcuna deroga in via interpretativa essendo necessaria una espressa indicazione legislativa contraria” – costituisce sostegno all’immediatamente precedente diniego “che, limitatamente ai contratti di mutuo fondiario, si possa eludere il divieto di applicazione di tassi usurari in ordine agli interessi corrispettivi dovuti in virtù dell’accensione di un mutuo”: l’insegnamento di questa pronuncia riguarda, infatti, la tipologia dei contratti coinvolti, e non include, si ripete, l’espansione dall’uno all’altro interesse della nullità che la ricorrente adduce.

4.6 In conclusione, nulla in tal senso emergendo d’altronde neppure da altri arresti, deve anzitutto escludersi che vi siano stati precedenti a favore della prospettazione della ricorrente.

5. La ricorrente, comunque, argomenta in seguito la propria tesi sulla base della forma letterale dell’art. 1815 c.c., comma 2.

Prevedendo che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, tale norma imperativa – prospetta il motivo – “non si limita a sancire la sola nullità della clausola, ma dispone altresì (si noti l’uso della congiunzione “e”) che non sono dovuti interessi, senza alcuna distinzione tra interessi moratori e interessi corrispettivi”: il che sarebbe coerente alla sua ratio “di punire, anche sul piano civilistico, una condotta penalmente rilevante”, onde una lettura riduttiva la depriverebbe della sua portata sanzionatoria. E non sarebbe possibile che “l’usuraio possa legittimamente lucrare – se pur nei limiti del tasso corrispettivo – sulla vittima del reato”.

Il motivo si conclude infine osservando che rilevante è la pattuizione, e non il momento del pagamento degli interessi (S.U. 24675/2017): argomento peraltro non pertinente, perchè qui non si tratta della individuazione del tasso soglia rilevante.

6. Una corretta interpretazione letterale, in realtà, non si pone a favore della tesi della ricorrente.

L’espressione “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” ha come chiave di lettura proprio la congiunzione “e”, la quale, peraltro, conduce alquanto agevolmente ad un significato diverso da quello prospettato nel motivo.

Infatti la congiunzione unisce nullità della clausola e non debenza di interessi, dal che razionalmente si deduce che gli interessi non dovuti sono quelli previsti nella clausola nulla. Circoscrivendo a quel che si definisce “la clausola”, il legislatore – è ragionevole intendere – non ha investito tutto il negozio, bensì ha dettato una nullità parziale e, immediatamente, ne ha determinato gli effetti in termini pieni e realmente sanzionatori: avrebbe potuto anche decurtare la debenza esclusivamente della cresta superante il tasso soglia, ma lo ha voluto inequivocamente escludere, facendo cadere tutti gli interessi che la clausola risultata nulla regolava.

Il centro della norma, allora, è proprio “la clausola”; e il collegamento ad essa nella parte conclusiva del comma circoscrive al contenuto della clausola il significato di tale dettato finale. Il fatto che manchi l’articolo davanti all’ultima parola del comma – “e non sono dovuti interessi” in luogo di “e non sono dovuti gli interessi” – potrebbe effettivamente deviare verso una interpretazione estensiva se non vi fosse proprio la congiunzione che, rapportando “interessi” a quella “clausola” che “è nulla”, limita – e ancor più di quanto avrebbe potuto effettuare l’inserzione dell’articolo – l’oggetto della sancita non debenza.

Una interpretazione correttamente letterale, in conclusione, non consente di “svincolare” dalla clausola nulla gli interessi non più dovuti: devono essere, quelli caducati per la nullità, proprio e soltanto gli interessi previsti in quella clausola.

7.1 La ratio normativa non è d’altronde confliggente con quel che emerge dal dettato letterale, bensì gli è pienamente sintonica.

Il motivo, come si è visto, tenta di individuarla nella intenzione di “punire, anche in sede civile, l’usuraio” evitando che possa “legittimamente lucrare pur nei limiti del tasso corrispettivo – sulla vittima del reato”.

Il primo rilievo che si deve muovere avverso questo asserto è che la pattuizione di interessi con un saggio superiore al tasso soglia non costituisce, di per sè, reato, dal momento che coincide esclusivamente con l’elemento oggettivo della fattispecie criminosa. L’art. 644 c.p., prevede un delitto doloso, il quale, naturalmente, è costituito anche dallo specifico elemento soggettivo. La clausola nulla ex art. 1815 c.c., comma 2, si pone su un piano diverso, a nulla rilevando l’esistenza o meno di un dolo sotteso alla formazione della volontà di stipulare detta clausola.

Nell’applicazione dell’art. 1815 c.c., comma 2, non si è di fronte a un “usuraio” nè ad una “vittima del reato”, bensì, soltanto, ad una nullità per violazione di norma imperativa.

7.2 E da qui discende un’ulteriore, necessaria considerazione.

Le nullità, come “sanzioni civili”, sono graduate, non soltanto in relazione all’identificazione di chi può – o deve, se è il giudicante – eccepirne/rilevarne la sussistenza in sede processuale, ma anche, e prima ancora, in relazione all’ambito dei loro effetti: dalla nullità che investe tutto il negozio, alla nullità parziale che ne espunge un elemento, alla nullità parziale che ne sostituisce un elemento con un dato normativo.

Nel caso dell’art. 1815 c.c., comma 2, come già si è visto, si tratta di una “clausola” nella quale “sono convenuti interessi usurari”: e la norma stabilisce la conseguenza nel senso che “la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. La ricorrente questo intende come inserimento nel negozio della natura gratuita. Se così fosse, ictu oculi, da una nullità confinata ad una “clausola” verrebbe fortemente sommosso l’intero sinallagma negoziale. Mentre, prima, entrambe le parti avrebbero avuto un loro vantaggio – la corrispettività insita in questo genere di contratti in cui sussistono appunto gli interessi corrispettivi -, l’una godendo di un bene non proprio e l’altra ottenendone la restituzione con un plus aggiunto -, configurandosi un contratto a titolo oneroso, applicando l’art. 1815 c.c., comma 2, come prospetta la ricorrente non cadrebbe una sola clausola, bensì verrebbe tutto immutato e diverso, invertendo, in ultima analisi, la congiunta volontà delle parti in ordine alla configurazione del regolamento negoziale. Tutta la congiunta volontà delle parti, perchè, ovviamente, il mutuante, se avesse saputo che non avrebbe tratto alcun vantaggio dal concedere il mutuo, non sarebbe addivenuto a stipularlo, e l’accordo non sarebbe esistito.

Se è così, la nullità in realtà non si confinerebbe ad una clausola, bensì investirebbe l’intero negozio, sostituendolo con un altro ex lege. Il cambiamento della natura, da onerosa a gratuita, è infatti talmente radicale da non conservare una compatibilità con il consenso raggiunto dalle parti contraenti. Le parti hanno raggiunto “l’accordo” di cui all’art. 1321 c.c.: tale accordo, per nullità di una clausola, nella interpretazione prospettata dalla ricorrente diverrebbe pienamente diverso.

Allontanandosi, allora, da questa reductio ad absurdum, non si può non rilevare che il legislatore ha fatto una scelta conservativa – nullità parziale – di tipico genere, cioè ha investito della sanzione civile solo il focolaio di illegittimità – la clausola degli interessi usurari -, e non l’intera conformazione dell’accordo negoziale. E dunque il negozio “resta in piedi”, conservando il suo nerbo di onerosità: cade la debenza esclusivamente degli interessi regolati dalla clausola nulla, il che significa che possono essere non dovuti gli interessi corrispettivi se la clausola nulla li riguarda, e che possono essere non dovuti quelli moratori se la clausola nulla riguarda loro. La sanzione non contagia le clausole legittime.

Peraltro, se entrambi i tipi di interesse siano usurari, nulla osta a intendere che in quel caso tutte le clausole relative al superamento del tasso soglia cadano nella nullità (a parte che, naturalmente, il regolamento negoziale potrebbe dedicare al saggio un’unica clausola per entrambi: la conseguenza sarebbe identica), e che, a questo punto, essendosi dinanzi ad una fattispecie estrema, estrema sia anche la conseguenza della sanzione civile, poichè allora l’onerosità concordata è stata radicalmente e compiutamente illegittima, investendo la reale natura del negozio: dunque, il negozio diventerà gratuito.

8.1 L’incidenza limitativa dell’ambito della clausola nulla regolante un tipo di interesse – nel senso che, come si è appena illustrato, la sua nullità, ai sensi dell’art. 1815 c.c., comma 2, non si estende al contenuto delle clausole regolanti altra species – rende irrilevante, si nota oramai ad abundantiam, nella presente questione il dibattito che si è sviluppato, oltre che in dottrina, da ultimo in alcuni arresti di questa Suprema Corte sulla natura comune o distinta degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori.

In particolare, si è spesa nel senso della comune sostanza Cass. sez. 3, ord. 30 ottobre 2018 n. 27442 – ravvisata nella funzione di remunerazione del godimento del denaro, per volontà del creditore (interessi corrispettivi) o in difetto della sua volontà (interessi moratori) -, mentre la susseguente Cass. sez. 3, 17 ottobre 2019 n. 26286 ha ribadito l’impostazione più tradizionale, riconoscendo “una netta diversità di causa e di funzione” – l’interesse corrispettivo costituendo la remunerazione concordata per il godimento, l’interesse di mora invece risarcendo il danno conseguente all’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria, così che la determinazione convenzionale del suo tasso integra in fondo una clausola penale.

8.2 Da ultimo, ha riconosciuto la non incidenza della questione sul tema in esame un recentissimo arresto relativo, in una fattispecie peraltro non identica in toto (si trattava di un’unica pattuizione) alla prospettazione della estensione della nullità della clausola relativa ad un tipo di interesse così da rendere il negozio gratuito: Cass. sez. 3, 20 maggio 2020 n. 9237, riguardante ancora un contratto di leasing, che pure ha negato la gratuità.

8.3 Infine, per completezza, si rileva che il quadro normativo-interpretativo finora illustrato non ha subito alcun mutamento che qui interessi per opera della sopravvenuta sentenza n. 19597 del 18 settembre 2020 pronunciata dalle Sezioni Unite, la quale ha – tra l’altro – riconosciuto l’applicazione della disciplina antiusura agli interessi moratori, ravvisando lo scopo di tale disciplina nel sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipulazione del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma altresì nel sanzionare la promessa di qualsiasi somma usuraria che sia dovuta in relazione al contratto concluso.

9. L’interpretazione adottata dal giudice d’appello, in conformità a quella del primo giudice, escludente la espansione di nullità risulta, in conclusione, corretta, ed il motivo non merita accoglimento.

10. Il secondo motivo concerne il seguente passo della motivazione della sentenza impugnata, a pagina 9: “Le istanze istruttorie avanzate dall’appellante non sono opponibili, per la mancata formulazione di uno specifico motivo d’appello sul punto ed in considerazione della superfluità della richiesta c.t.u. ai fini del decidere”.

Si tratta, evidentemente, della indicazione, per quanto concisa, di due distinte rationes decidendi. La seconda, relativa alla “superfluità” per decidere della consulenza tecnica d’ufficio, è ictu oculi inscalfibile, anche per quanto si è già riscontrato trattando il precedente motivo: nel caso in esame, infatti, non è discusso che il saggio degli interessi moratori abbia superato il tasso soglia legale, e parimenti non è discusso che tale superamento sia addebitabile anche al saggio degli interessi corrispettivi. Nè vale l’accusa di motivazione apparente, in quanto – ed è ovvio – ogni passo deve essere contestualizzato nel complessivo tessuto motivazionale, che, nel caso di specie, ha esternato chiaramente la sussistenza della nullità della clausola relativa agli interessi moratori e la insussistenza del superamento del tasso soglia nella clausola relativa agli interessi compensativi, dal che si comprende l’inutilità di ulteriore attività istruttoria di qualunque genere.

Il motivo, pertanto, è privo di consistenza.

11. Il terzo motivo lamenta l’accoglimento dell’appello incidentale, poichè sarebbe stato effettuato un “accoglimento parziale della domanda nella parte in cui è stata accertata la usurarietà del tasso moratorio, salvo poi trarne delle conseguenze non condivisibili come esplicitato nel primo motivo di ricorso”.

L’argomento è palesemente infondato, poichè le domande proposte vertevano sull’accertamento della gratuità del negozio e sulla conseguente condanna alla restituzione degli interessi (corrispettivi) pagati a controparte; e il Tribunale non ha dichiarato che il negozio fosse divenuto gratuito (ovvero, che la nullità della clausola relativa agli interessi moratori elidesse pure la debenza degli interessi corrispettivi), nè, conseguentemente, ha pronunciato la condanna di restituzione.

Non esiste, d’altronde, nel vigente sistema processuale la fattispecie della “latente soccombenza”, che, singolarmente, il giudice di prime cure ha inserito come fondamento della parziale compensazione delle spese.

Nulla pertanto è censurabile nell’accoglimento, da parte del giudice d’appello, del gravame incidentale, id est nell’applicazione del principio di soccombenza, in un caso in cui la soccombenza dell’attuale ricorrente era stata integrale.

Anche questa censura, dunque, è priva di consistenza.

12. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Considerata la peculiarità della questione addotta con il primo motivo, si stima sussistano i presupposti per compensare le spese processuali.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA