Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24992 del 06/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24992 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 19581-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2629

contro

PULCRANO RAFFAELA, già elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 110, presso lo studio
dell’avvocato MARANDO FRANCESCA, rappresentata e

Data pubblicazione: 06/11/2013

difesa dall’avvocato MIGLIACCIO BENINO, giusta delega
in atti e da ultimo domiciliata presso la CANCELLERIA
DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– controricorrente

avverso la sentenza o. 5046/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/09/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato FPANCESCA BONFRATE per delega verbale
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

di NAPOLI, depositata il 19/07/2007 R.G.N. 4879/05;

R.G. n. 19581/08
Ud. 19.9.13
Poste Italiane S.p.A. c. Pulcrano

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 19.7.07 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della
pronuncia depositata il 10.5.05 dal Tribunale di Nola, dichiarata la nullità della

clausola di apposizione del termine al contratto stipulato il 9.6.99 da Raffaeia
Pulcrano con Poste Italiane S.p.A., dichiarava l’esistenza fra le parti d’un rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere da tale data, con condanna
della società al pagamento delle retribuzioni maturate dall’avvenuta messa in mora
della società, vale a dire dal 1°.12.02.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a tre
motivi.
La Pulcrano resiste con controricorso
Il Collegio ha deliberato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con il primo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 23 legge n. 56/87 e degli artt. 1362 e ss. c.c. in relazione all’art. 8 CCNL
26.11.94 come integrato dall’accordo del 25.9.97 e dai successivi accordi correlati:
a riguardo sostiene che l’impugnata sentenza è erronea per non avere considerato
che il potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a
termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, stabilito dall’art. 23 legge n.
56/87, può esser esercitato senza limiti di tempo, tenuto conto che tale legge non
prevede alcun limite temporale al riguardo; prosegue la ricorrente con il dire che il
giudice di appello non avrebbe considerato che gli accordi successivi a quello del
25.9.97 avevano valenza ricognitiva della condizione legittimante in fatto il
contratto a termine (ossia la ristrutturazione e riorganizzazione aziendale in atto),
senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo al periodo temporale considerato,
ossia soltanto fino al 30.4.98.
Analoga doglianza viene fatta valere con il secondo motivo sotto forma di vizio di
motivazione.
Tali censure, da esaminarsi congiuntamente perché connesse, sono infondate.

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R.G. n. 19581/08
Ud. 19.9.13
Poste Italiane S.p.A. c. Pulcrano

Questa S.C. ha già più volte statuito che l’art. 23 legge n. 56/87, nel demandare
,

alla contrattazione collettiva la possibilità di concordare — andando oltre le
fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 legge n. 230 del 1962 e dall’art. 8 bis
del d.l. n. 17 del 1983 (convertito in legge n. 79 del 1983) – nuove ipotesi di

apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e
propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali non sono vincolati
all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle
previste per legge (cfr. S.U. 2.3.2006 n. 4588). Poiché in forza di tale delega le parti
sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui
all’accordo integrativo del 25.9.1997, la giurisprudenza considera corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo
attuativo sottoscritto in data 1°.6.98, ha ritenuto che le parti abbiano convenuto di
riconoscere la sussistenza fino al 31.12.97 (e poi, in base al secondo accordo
attuativo, fino la 30.4.98) delle situazioni di fatto legittimanti le esigenze
,

eccezionali menzionate dal detto contratto integrativo. Ne consegue che, avendo le
parti collettive raggiunto originariamente un’intesa priva di termine ed avendo
successivamente stipulato accordi attuativi con fissazione di un limite temporale
alla possibilità di procedere ad assunzioni a temine, fissato inizialmente al 30.1.98 e
poi al 30.4.98, l’indicazione di tale causale legittima l’assunzione a termine solo
ove il contratto venga stipulato non oltre il 30.4.98.
La giurisprudenza di questa S.C. ha anche ritenuto corretta, nella ricostruzione
della volontà delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita
all’accordo 18.1.2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza
dell’ultima proroga, quando il diritto si era ormai perfezionato.
In breve, i contratti stipulati dopo il 30.4.98 (come quello per cui oggi è processo)
sono illegittimi, perché non rientrano nel complesso legislativo-collettivo costituito
dall’art. 23 legge n. 56/87 e dalle successive disposizioni collettive che consentono
la deroga alla legge n. 230/62.

2- Con il terzo motivo di ricorso ci si duole di violazione e falsa applicazione
degli artt. 1217 e 1233 c.c. perché la Corte di merito non avrebbe svolto alcuna
,

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Poste Italiane S.p.A. c. Pulcrano

verifica in ordine all’effettiva messa in mora del datore di lavoro e non avrebbe
tenuto conto della possibilità che il lavoratore abbia anche espletato attività
lavorativa retribuita da terzi una volta cessato il rapporto di lavoro con la società
resistente, disattendendo, peraltro, le richieste della società di ordine di esibizione

,

dei modelli 101 e 740 del lavoratore. La ricorrente formula, quindi, il seguente
quesito di diritto: “Dica la Suprema Corte se per il principio di corrispettività della
prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità
del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni
soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il
datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della
disciplina di cui all’art. 1206 e segg. cod. civ.”.
Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile
ratione temporis al caso di specie) e dell’art. 366 co. 10 n. 4 c.p.c.
Il summenzionato quesito riguarda soltanto l’argomento della mora accipiendi e
risulta del tutto generico, in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle
regole vigenti nella materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse
del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v., fra le altre,
Cass. 4.1.2011 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del
relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidala di questa Corte, deve infatti
essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla
fattispecie dedotta in giudizio (cfr., ad es., Cass. S.U. 5.1.07 n. 36), dovendosi
pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto, è
stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la
cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito
medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza
impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30.10.2008 n.
26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la
sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo
(cfr. Cass. 7.4.2009 n. 8463).
Né può ignorarsi che, nella specie, anche l’illustrazione del motivo risulta
generica — e, quindi, in violazione dell’art. 366 co. 1° n. 4 c.p.c. – perché non
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I.

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chiarisce per quale ragione non costituirebbe rituale offerta della prestazione
lavorativa (come, invece, ritenuto dalla Corte territoriale) la richiesta di tentativo
obbligatorio di conciliazione con cui la controricorrente offriva la propria

4- Le considerazioni sopra svolte assorbono la questione relativa all’eventuale
incidenza, nella vicenda in esame, del sopravvenuto art. 32, commi 5 0 , 6° e 70 ,
legge 4.11.2010 n. 183: per poter applicare nel giudizio di legittimità lo

ius

superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del
rapporto controverso è necessario non solo che quest’ultima sia pertinente alle
questioni oggetto di censura (in ragione della natura del controllo di legittimità, il
cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso: cfr. Cass. 8.5.2006 n.
10547; Cass. 27.2.2004 n. 4070) e che il motivo investa — sia pure indirettamente —
il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, ma che il motivo medesimo sia
ammissibile, ciò che non ricorre nella fattispecie in esame.

5- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di
legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, in data 19.9.13.

controprestazione.

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