Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24987 del 23/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/10/2017, (ud. 18/05/2017, dep.23/10/2017),  n. 24987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 333-2013 proposto da:

B.P., elettivamente domiciliato a RIETI, VIA DELLE

ORCHIDEE, 9, presso lo studio dell’Avvocato CARLA AMADEI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.M., DE.MA., D.L. e

D.E., nella dichiarata qualità di eredi di De.Lu.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA RICCARDO GRAZIOLI LANTE, 76,

presso lo studio dell’Avvocato PIETRO FAUSTO CAROTTI, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5559/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/05/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

De.Lu., con citazione notificata il 10/1/2002, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Rieti, B.P. ed ha lamentato l’illegittima esecuzione da parte di quest’ultimo di alcuni lavori (e, segnatamente, lo sbancamento di una striscia di terreno adiacente ad un immobile di sua proprietà, sito nel Comune di Poggio Bustone, la realizzazione di un muretto di blocchi di cemento che avrebbe ostruito l’apertura lucifera posta a piano terra della sua abitazione e la realizzazione di un muro di sostegno in blocchi di tufo), chiedendo, per l’effetto, la condanna del convenuto all’esecuzione di tutte le opere necessarie al ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento dei danni.

B.P. si è costituito in giudizio contestando la fondatezza della domanda e chiedendone il rigetto.

Il tribunale di Rieti, con sentenza depositata in data 6/4/2005, n. 201, ha rilevato che il tratto in discussione, definito “corte”, è ubicato tra la proprietà del D. e quella del B. e che il muro realizzato dal B. ha illegittimamente determinato la chiusura dell’intercapedine di circa 50 cm ivi riscontrata e lo ha, quindi, condannato a retrocedere il muro di tufo e blocchetti di cemento, costruito nella “corte”, alla distanza di circa 55 cm dalla proprietà dell’attore De.Lu..

B.P. ha proposto appello avverso tale sentenza censurandola per la erronea ricostruzione in fatto e in diritto.

L’appellato si è costituito resistendo al gravame e chiedendone il rigetto.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata in data 23/12/2011, n. 5559, notificata con formula esecutiva il 3/4/2012, dopo aver rilevato che l’intercapedine in questione era stata pacificamente ricavata dal taglio di uno sperone roccioso e che, come accertato con sentenza resa inter partes dal tribunale di Rieti n. 172/1984, passata in giudicato, i relativi lavori, sia pur eseguiti dal D., erano stati assentiti dal B., il quale vi aveva assistito e persino partecipato, ha ritenuto che, a prescindere dalla sua appartenenza all’uno o all’altro dei contendenti, il giudicato formatosi sulla domanda che quest’ultimo aveva proposto nel predetto procedimento, avente ad oggetto la eliminazione dello scavo esistente nell’area comune, ritenuta infondata proprio per la accertata circostanza dell’esecuzione concordata dello scavo, precludesse al B., sia pur in forza del diverso postulato della proprietà della porzione di roccia oggetto di scavo, di riempire, nel preteso esercizio dei diritti previsti dagli artt. 877 e 904 c.c., la predette intercapedine.

In forza di tale rilievo, la Corte ha rigettato l’appello.

B.P., con ricorso notificato, in data 21/12/2012, all’avv. Pietro Carotti, nella dichiarata qualità di “procuratore, difensore e domiciliatario del deceduto, Sig. De.Lu.”, ed, in data 21/12/2012.2/1/2013 (indicata, nel relativo avviso di ricevimento, per mero errore materiale, come “2/1/2012”), a norma dell’art. 140 c.p.c., collettivamente ed impersonalmente agli eredi di De.Lu., deceduto l'(OMISSIS), presso il suo ultimo domicilio, sito in (OMISSIS), e depositato il 7/1/2013, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della Corte d’appello (prodotta in copia autentica in quanto notificata personalmente all’appellante, unitamente ad atto di precetto, in data 29/3.3/4/2012).

Con controricorso, notificato il 4/2/2013 e depositato il 18/2/2013, resistono D.M., De.Ma., D.L. ed D.E., nella dichiarata qualità di eredi di De.Lu..

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’appello ritenuto che la questione dell’appartenenza della porzione di roccia oggetto di scavo e dell’intercapedine che ne era stata ricavata non fosse suscettibile di riesame in quanto già decisa con la sentenza del tribunale di Rieti n. 172 del 1984, passata in giudicato, con la conseguente preclusione del dedotto e del deducibile, laddove, al contrario, difetta, rispetto al presente giudizio, l’identità di causa petendi e di petitum, nè in quel giudizio sono stati compiuti accertamenti su un punto di fatto o di diritto costituenti la premessa necessaria del presente giudizio.

Nel giudizio definito con la sentenza del 1984, infatti, ha osservato il ricorrente, il B., come emerge dal relativa parte narrativa, aveva dedotto che il D. aveva eseguito, su un terreno di sua proprietà e contro la sua volontà, uno scavo che aveva arrecato danni, dei quali, pertanto, aveva chiesto il risarcimento, per equivalente ed in forma specifica attraverso la condanna al ripristino dello stato dei luoghi.

La sentenza, rigettando la domanda, si è limitata ad accertare che i lavori in questione erano stati concordati, senza, tuttavia, svolgere alcun altro accertamento, come, in particolare, quello relativo alla proprietà interessata dallo scavo.

Nessuna preclusione, quindi, il giudicato formatosi sul rigetto di quella domanda poteva determinare nel presente giudizio, avente ad oggetto la domanda risarcitoria proposta dal D. per una condotta posta in essere dal B..

D’altro canto – ha aggiunto il ricorrente – il muro è stato realizzato dal B. nel 1993, e, quindi, in epoca successiva alla pronuncia del 1984, ed in modo legittimo, vale a dire nell’esercizio del diritto potestativo previsto dall’art. 877 c.c., realizzando, nell’intercapedine di sua proprietà, un muro in aderenza.

In definitiva, l’accertamento che lo scavo era stato realizzato con il consenso del B. non ha potuto certo determinare l’estinzione dei diritti, spettanti a quest’ultimo, sulla relativa area.

I controricorrenti, dal loro canto, hanno eccepito la sussistenza della preclusione rilevata dalla Corte d’appello.

Il tribunale di Rieti, infatti, con la sentenza n. 172/1984, ha dichiarato l’infondatezza della domanda volta all’eliminazione dello scavo esistente nell’area comune e tale giudicato, estendendosi agli accertamenti in fatto o in diritto che costituiscono la premessa necessaria della decisione, ne preclude il riesame in un successivo giudizio, sia pure a finalità differenti.

Nel caso in esame, la sentenza, avendo espressamente statuito in ordine alla comune proprietà dell’area sulla quale è stata creata l’intercapedine ed oggi insiste il muro, è irretrattabile, precludendo, quindi, l’eccezione, avanzata dal B., con la quale lo stesso, sull’incompatibile presupposto di esserne l’esclusivo proprietario, ha dedotto la legittimità del muro che ha realizzato: il quale, al contrario, essendo stato realizzato non in aderenza al confine ma su un’area comune, non è riconducibile alla norma dell’art. 877 c.c..

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, contestando la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata per avere la Corte d’appello disatteso tutte le emergenze dell’istruttoria orale e documentale le quali, invece, come la consulenza tecnica d’ufficio, hanno dimostrato che lo scavo è stato realizzato dal D., che il muro è stato realizzato dal B. nello scavo, su un terreno di sua esclusiva proprietà ed in aderenza alla proprietà del medesimo D., in funzione di contenimento e/o di sostegno.

I controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del motivo, rilevando che, in realtà, la Corte d’appello non ha affatto disatteso le evidenze istruttorie ma ha ritenuto di non poter procedere al loro esame per effetto della preclusione determinata dal giudicato, ed, in ogni caso, ribadendo la illegittimità delle opere eseguite dal B..

3. Il primo motivo – con il quale il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto che l’esame della questione dell’appartenenza della porzione di roccia oggetto di scavo e dell’intercapedine che ne era stata ricavata fosse precluso dalla sentenza del tribunale di Rieti n. 172 del 1984, passata in giudicato, laddove, al contrario, tale sentenza, rigettando la domanda del B. di eliminazione dello scavo, si era limitata ad accertare che i lavori in questione erano stati concordati, senza, tuttavia, svolgere alcun altro accertamento, come, in particolare, quello relativo alla proprietà della all’area interessata dallo scavo – è fondato.

Ed infatti, premesso, per quanto rileva in questa sede, che:

– la pronuncia sul contenuto e sui limiti di un giudicato esterno (qual è quello formatosi, nella specie, tra le stesse parti, nel procedimento definito dalla sentenza del tribunale di Rieti n. 172 del 1984) può essere oggetto di ricorso per Cassazione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 c.c. e dei principi in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata (Cass. n. 2976/2005, in motiv.);

– il giudicato esterno è assimilabile agli “elementi normativi”, sicchè la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell’esegesi delle norme, non già degli atti e dei negozi giuridici, e la sua portata va definita dal giudice sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge, potendosi far riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione (Cass. n. 24952/2015);

– il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno, con cognizione piena, che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass. n. 21200/2009);

– l’efficacia preclusiva conseguente al giudicato copre non solo il “dedotto”, ma anche il “deducibile”, nel senso che l’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza del diritto azionato (petitum), così come identificato in relazione ai soggetti (personae) ed al fatto costitutivo (causa petendi), una volta che sia coperto dall’autorità del giudicato, non può essere messo in discussione in altro processo, tra le stesse parti o i loro eredi o aventi causa, con domanda giudiziale di accertamento della sua inesistenza o, rispettivamente, della sua esistenza, ovvero con la proposizione, in un altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con il diritto accertato (cfr. su quest’ultimo punto, Cass. n. 112/2004, in motiv.);

– il giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c. si forma, però, soltanto su ciò che ha costituito oggetto della decisione, ricomprendendosi in esso anche gli accertamenti di fatto che abbiano rappresentato le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico per l’emanazione della pronuncia, restando, invece, fuori dal giudicato gli accertamenti di fatto che non abbiano integrato antecedenti logici necessari della decisione e che pertanto non hanno costituito oggetto di quest’ultima nel senso sopra precisato (Cass. n. 9954/2017, in motiv.);

– il giudicato, invece, non si estende ad ogni proposizione contenuta in una sentenza con carattere di semplice affermazione incidentale, atteso che per aversi giudicato implicito è necessario che tra la questione decisa in modo espresso e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, e dunque che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza attenga a questioni che ne costituiscono necessaria premessa ovvero presupposto logico indefettibile (Cass. n. 16824/2013);

rileva la Corte, quanto al caso di specie, che la sentenza del tribunale di Rieti n. 172 del 1984, prodotta in giudizio e direttamente esaminata dalla Corte, dimostra, in effetti, come, in quel giudizio, da un lato, B.P. ha domandato la condanna di De.Lu. alla esecuzione di tutte le opere necessarie ed indispensabili per la eliminazione dello scavo operato da quest’ultimo in una porzione di terreno di “proprietà comune”, e, dall’altro, che il tribunale ha rigettato tale domanda, ritenendola infondata, sul presupposto che, alla luce delle prove raccolte in giudizio, l’attore aveva assistito ai lavori e addirittura vie aveva partecipato.

Il tribunale di Rieti, quindi, ha dichiarato l’infondatezza della domanda proposta dal B. volta all’eliminazione dello scavo esclusivamente per aver accertato, secondo il criterio della ragione più liquida, che i relativi lavori erano stati dallo stesso acconsentiti, ma non ha in alcun modo accertato, neppure in via incidentale, che la proprietà dell’area interessata era effettivamente comune alle parti: avendo acconsentito a quelle opere, infatti, l’attore, quale che fosse la proprietà dell’area (comune o di sua esclusiva proprietà), non poteva per ciò stesso e per ciò solo pretendere la condanna di De.Lu. alla esecuzione di tutte le opere necessarie ed indispensabili per la eliminazione dello scavo che quest’ultimo aveva realizzato.

L’affermazione contenuta nella sentenza in ordine all’area comune” (sulla quale è stata creata l’intercapedine ed oggi insiste il muro) non costituisce, pertanto, l’espressione di un accertamento svolto dal tribunale sulla proprietà della stessa, tale, evidentemente, da precludere, nel presente giudizio, la proponibilità dell’eccezione, avanzata dal B., con la quale lo stesso, sul presupposto di esserne l’esclusivo proprietario, ha dedotto la legittimità del muro che ha realizzato nell’esercizio dei diritti previsti dagli artt. 877 e 904 c.c..

4. Il secondo motivo è assorbito.

5. La sentenza, quindi, in relazione al motivo accolto, dev’essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, anche ai fini della liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017

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