Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24986 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. II, 25/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 122/09) proposto da:

IMPRESA EDILE GEOM. MAURO ORDAZZO S.R.L. (P.I.: (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.

Dondi Anna ed elettivamente domiciliata in Roma, alla v. Celimontana,

n. 38, presso lo studio dell’Avv. Benito P. Pananti;

– ricorrente –

contro

B.M. (C.F.: (OMISSIS)) e B.G. (C.F.:

(OMISSIS)), nella qualità di eredi di B.G.,

rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale a margine del

controricorso (contenente ricorso incidentale), dagli Avv.ti Cappa

Francesco e Ciabattini Lidia ed elettivamente domiciliati presso lo

studio del secondo, in Roma, piazzale Clodio, n. 32;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1637/2008,

depositata il 17 novembre 2008 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 25

ottobre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentiti gli Avv.ti Benito Pananti, per la ricorrente principale, e

Lidia Ciabattini Sgotto, per i ricorrenti incidentali;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale, con il conseguente assorbimento del primo motivo

del ricorso incidentale, e per il rigetto del secondo motivo dello

stesso ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Alessandria, con sentenza n. 579 del 2005, nel pronunciarsi sull’opposizione a decreto ingiuntivo (contenente domanda riconvenzionale) avanzata da B.F. nei confronti dell’impresa edile Ordazzo s.r.l. in ordine alla richiesta del saldo relativo all’esecuzione di un contratto di appalto concernente i lavori di ristrutturazione di un immobile di proprietà dell’opponente sito in (OMISSIS), dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione stessa per sua tardività, confermando il provvedimento monitorio impugnato e rigettando ogni altra domanda formulata dall’opponente.

Interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte del B., nella costituzione della ditta appellata, la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 1637 del 2008 (depositata il 17 novembre 2008), in accoglimento del proposto gravame ed in riforma dell’impugnata decisione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e rigettava ogni altra domanda avanzata dalla società appellata nei riguardi dell’appellante, oltre a respingere la domanda riconvenzionale proposta dalla parte appellante e a compensare, per metà, le spese del doppio grado, condannando l’appellata alla rifusione dell’altra metà in favore dell’appellante.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale ravvisava, in via pregiudiziale, l’ammissibilità della proposta opposizione ex art. 645 c.p.c. in relazione al prescritto termine legale avuto riguardo, essendosi proceduto nelle forme della notificazione del decreto ingiuntivo a mezzo posta, al momento dell’effettiva consegna del relativo plico al destinatario opponente; nel merito, rilevava l’infondatezza sia della pretesa della società appellata in virtù della mancata prova circa l’esatto adempimento della prestazione riconducibile al concluso contratto di appalto che della domanda riconvenzionale formulata dall’appellante in ordine al dedotto danno derivato dall’esecuzione dell’indicato contratto, essendo anch’essa rimasta sfornita di idonei riscontri probatori.

Avverso la menzionata sentenza della Corte piemontese ha proposto ricorso per cassazione l’impresa edite geom. Mauro Ordazzo s.r.l., basato su due complessi motivi, in relazione al quale hanno resistito con controricorso (contenente anche ricorso incidentale riferito a due motivi) B.G. e B.M. (nella già dichiarata qualità di eredi di B.G.). Entrambi i difensori delle parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In primo luogo deve essere disposta la riunione dei ricorsi perchè proposti avverso la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).

2. Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente s.r.l.

Mauro Ordazzo ha dedotto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5) la formazione del giudicato sulla inammissibilità per tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo prospettando la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 e il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’asserita tempestività dell’opposizione, contraddetta dalla datazione dei documenti in atti e, in particolare, dall’avvenuta notifica per compiuta giacenza in data 29 dicembre 2003 e dal ritiro del plico presso l’ufficio postale di (OMISSIS) in data 4 febbraio 2004.

A corredo di tale complessa doglianza la suddetta ricorrente ha formulato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella specie), il seguente duplice quesito di diritto: 1) “qualora la sentenza di primo grado dichiari l’inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo per tardività della stessa e le conclusioni dell’appellante-opponente richiedano in appello declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo per la non avvenuta notifica dello stesso in termini di legge, è conforme a diritto ritenersi formato il giudicato in relazione alla predetta declaratoria di inammissibilità per intempestività dell’opposizione e violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato qualora il giudice di secondo grado revochi il decreto ritenendo l’opposizione tempestiva?; 2) “nell’ipotesi di mancato reperimento del destinatario alla propria residenza, è conforme a diritto il ritenere che il termine perii notificato di opposizione ex art. 641 c.p.c., decorra dalla consegna del plico da parte dell’ufficio postale (ove tale consegna sia successiva alla scadenza del termine per compiuta giacenza e l’ufficio abbia conservato il plico per gg.

47) anzichè decorrere dal compimento del termine di compiuta giacenza presso l’ufficio postale ove il plico è rimasto depositato dal 19 dicembre 2003 al 4 febbraio 2004, data del ritiro dello stesso da parìe del notificato?”.

2.1. Il motivo, così come riportato, è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

In primo luogo, è destituita di fondamento la prima parte della doglianza con la quale si prospetta la sussistenza del vizio di extrapetizione con riferimento alla sentenza di appello (a cui viene correlata la supposta formazione del giudicato in ordine alla pronuncia di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo statuita all’esito del giudizio di primo grado) poichè gli appellanti (per quanto desumibile dallo stesso contenuto della sentenza della Corte territoriale e dalle specifiche conclusioni in essa riportate) non si erano limitati ad invocare la dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo per assunta tardività della sua notificazione (profilo da intendersi implicitamente respinto dalla Corte torinese con l’esame delle altre questioni che ne facevano presupporre la valutazione di infondatezza), ma avevano chiesto anche la revoca del provvedimento monitorio, sul presupposto che la notifica dell’atto di opposizione non fosse stata eseguita oltre il termine di legge, dovendosi intendere che quest’ultimo decorreva dal perfezionamento della notifica del decreto ingiuntivo al notificatario (ovvero all’originario ingiunto, loro dante causa) da valutare in relazione al procedimento notificatorio attuato a mezzo del servizio postale e con la modalità della cd. “compiuta giacenza”.

Con riguardo al secondo aspetto della prima doglianza in esame si ritiene che esso sia ugualmente infondato.

Il ricorrente denuncia l’assunta violazione della L. n. 890 del 1982, art. 8 e il vizio di motivazione della sentenza impugnata con la quale non era stato considerato che la data di avvenuta notificazione del decreto ingiuntivo (dalla quale computare la decorrenza del termine necessario per formulare l’opposizione) andava riferita a quella relativa al compimento della compiuta giacenza presso l’ufficio postale di Valenza Po e non a quella inerente l’avvenuta consegna del plico al destinatario, come tale, invece, ritenuta effettivamente rilevante dalla Corte territoriale, avuto riguardo anche al principio della scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio sancito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2004 ed alla stregua dell’intervenuta declaratoria di incostituzionalità (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998) della L. n. 890 del 1982, art. 8, commi 2 e 3, in tema di notifica per compiuta giacenza.

Bisogna, innanzitutto, chiarire – come ha rilevato la Corte piemontese – che la notificazione del decreto ingiuntivo (richiesta nel 2003) in questione ricadeva temporalmente nell’ambito di applicazione della disciplina di cui alla citata L. n. 890 del 1982, art. 8, inciso dalla richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998, con la conseguente irrilevanza della successiva modificazione normativa introdotta dal D.L. n. 35 del 2005, conv., con modif. nella L. n. 80 del 2005. Nella fattispecie, per quanto documentalmente accertato (anche in virtù dell’ ultima lettera in senso cronologico della Direzione dell’ufficio postale di (OMISSIS), acquisita in atti e richiamata testualmente anche nel controricorso, in ossequio al principio di autosufficienza), è emerso che l’avviso di tentato recapito del plico contenente il decreto ingiuntivo in discorso presso la residenza del destinatario fu lasciato il 18 dicembre 2003, l’avviso di giacenza dei plico fu depositato il giorno successivo e il ritiro del plico – senza che fosse stato eseguito alcun ulteriore adempimento da parte dell’ufficio postale notificatore – avvenne l’11 febbraio 2004, con fa conseguente notificazione dell’atto di opposizione entro il termine di venti giorni (“ratione temporis” applicabile).

Ciò posto, con riguardo al regime normativo a cui era sottoposta la disciplina della notificazione degli atti a mezzo del servizio postale dopo l’intervento della suddetta sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998, la giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 21409 del 2004; Cass. n. 11929 del 2006; ma già prima cfr. Cass., S.U., n. 1729 del 1996) aveva statuito come, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, in caso di rifiuto di ricevimento da parte delle persone abilitate, ovvero di mancanza, inidoneità o assenza delle stesse, oppure di temporanea assenza del destinatario (L. n. 890 del 1982, art. 8), bisognasse distinguere il perfezionamento della notificazione nei riguardi del notificante da quello nei confronti del destinatario, identificandosi il primo con il momento in cui veniva completata l’attività incombente sul notificante (alla quale poteva essere collegato il rispetto di un termine posto dalla legge a suo carico), coincidente, nella notificazione a mezzo posta, con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario (Corte cost. n. 477 del 2002 e n. 28 del 2004), ed il secondo con il momento in cui si realizzava il risultato della conoscenza, o l’effetto di conoscenza, dell’atto per il destinatario, coincidente, nel sistema di cui alla L. n. 890 del 1982, richiamato art. 8, con il ritiro del piego ovvero con gli altri elementi previsti per facilitare la conoscenza dell’atto (ivi compreso il decorso del tempo, nell’ipotesi della cosiddetta “compiuta giacenza”).

Pertanto, sulla scorta di tale principio, la Corte territoriale, valorizzando gli effetti della citata sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998 (comunque improntata a garantire il risultato dell’effettività della conoscenza dell’atto da parte del destinatario e dell’esercizio del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.) e della successiva evoluzione della stessa giurisprudenza costituzionale in materia di notificazione a mezzo posta, ha rilevato che bisognava porre riguardo, ai fini della individuazione della decorrenza del termine per la proposizione dell’opposizione da parte del destinatario, al momento certo – in difetto dell’espletamento di altri atti idonei a garantirne la conoscibilità ad opera dell’ufficio postale (come implicato dalla più volte richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 346 del 1998 e come recepito in sede normativa con le modifiche sopravvenute nel 2005 incidenti proprio sulla L. n. 890 del 1982, art. 8) e non essendo stato ancora restituito il plico al notificante a seguito del compimento complessivo del periodo della cd. “compiuta giacenza”, la cui durata parziale fino al ritiro del plico stesso è stata, perciò, ritenuta ragionevole in funzione della predetta conoscibilità – della consegna dell’atto al notificatario.

Sulla scorta, quindi, dell’adesione da parte della Corte territoriale, con motivazione logica e sufficiente, ai riferiti principi “ratione temporis” applicabili, dettati anche dai risultati conseguiti allo sviluppo in materia della giurisprudenza della Corte costituzionale, la doglianza dedotta dalla ricorrente sul punto deve essere respinta.

2. Con il secondo motivo (formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) la ricorrente principale ha denunciato, in via subordinata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1460, 1667 e 2697 c.c., congiuntamente al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione relativa al mancato riconoscimene in favore del resistente, della debenza delle somme riconducibili all’appalto di cui è causa, motivazione contraria alla lettera della citazione in opposizione avversaria oltre all’insufficiente e contraddittoria motivazione relativa all’onere probatorio di adempimento gravante sulla controparte a fronte della eccezione di inadempimento sollevata da essa ricorrente. A fondamento di detta doglianza la predetta ricorrente ha esposto, ai sensi del richiamato art. 366 bis c.p.c., il seguente duplice quesito di diritto: 1) “stante l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. fondata sulla presenza di pretesi vizi ex art. 1667 c.c. è conforme al diritto richiedere che la prova dell’assenza di tali vizi spetti all’appaltatore opposto o, ai sensi dell’art. 2697 c.c., la parte committente che solleva l’eccezione ex artt. 1667 e 1460 c.c. è onerata dalla relativa prova e, pertanto, la prova della sussistenza dei vizi veniva a gravare sull’opponente-committente?”; 2) “in merito all’intero rapporto, stante la comunicazione di sospensione dei lavori da parte dell’impresa a fronte di mancate forniture di materiali e mancato pagamento dello stato avanzamento lavori, stante il riconoscimento della controparte della propria posizione debitoria nei confronti della ricorrente, è conforme al dettato dell’art. 1460 c.c. affermare che la parte che per prima oppone l’eccezione di inadempimento sia tenuta comunque all’adempimento della propria obbligazione ed è conforme al dettato dell’art. 116 c.p.c. negare che l’affermazione della controparte “a fronte di Euro 210.000,00 (n.d.r. dovuti dal B.), l’opponente B. ha già pagato Euro 194.829,00″ costituisca riconoscimento di debito?”.

2.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento e deve, quindi, essere respinto. Rileva il collegio che, in primo luogo, non sussiste il dedotto vizio motivazionale con riferimento all’esercizio del potere di valutazione delle prove da parte della Corte territoriale avendo quest’ultima, con un percorso argomentativo logico ed essenziale (e, perciò, complessivamente adeguato), valutato l’aspetto dell’adempimento da parte della società appaltatrice correlandolo alla complessiva ed unitaria prestazione sulla stessa incombente sul piano contrattuale, escludendone la sussistenza con riferimento al mancato assolvimento dell’onere, alla medesima accollato, della prova circa l’avvenuta esecuzione completa dei lavori appaltati. A tal proposito, la stessa Corte di appello, con motivazione ugualmente sufficiente, ha rilevato che non potesse ritenersi sussistente un riconoscimento, da parte del committente, della suddetta circostanza di integrale esecuzione dell’opera oggetto dell’appalto, il quale, anzi, l’aveva idoneamente contestata, rappresentando, appunto, alla ditta appaltatrice la mancata ultimazione dei lavori contrattualmente previsti (verificata anche dal Direttore dei lavori) ed imputandole l’ingiustificato abbandono del cantiere, non potendo, perciò, fornirsi alcuna valenza univocamente significativa sotto il profilo probatorio, per asseverare l’assunto della s.r.l. Ordazzo, alla fattura richiamata in ricorso (qualificantesi, invero, come atto di provenienza meramente unilaterale e, comunque, non accettato).

In punto di diritto si osserva, altresì, che, secondo la condivisa giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 3472 del 2008 e, da ultimo, Cass. n. 936 del 2010), in tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 c.c., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorchè il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale B.M. e B.G. hanno prospettato – avuto riguardo anche al primo motivo proposto con il ricorso principale – la violazione dell’art. 650 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sul diritto dell’opponente a proporre opposizione tardiva ove fosse risultata intempestiva quella proposta. Al riguardo risulta formulato il seguente quesito di diritto: “qualora il giudice di appello ometta di pronunciarsi su una delle conclusioni proposte da una parte in causa e qualora tale omissione riguardi una pronuncia che potrebbe ugualmente decidere il processo, è ammissibile riproporre alla Corte di cassazione la domanda su cui il giudice dell’appello ha omesso di pronunciarsi?”.

3.1. L’esame di questa doglianza avanzata dai ricorrenti incidentali deve essere ritenuta assorbita per sopravvenuto difetto di interesse degli stessi B. in conseguenza del rigetto del primo motivo del ricorso principale attinente alla principale questione pregiudiziale della tempestività della formulata opposizione a decreto ingiuntivo, logicamente antecedente rispetto a quella involta dal motivo attinente alla mancata pronuncia sull’ammissibilità dell’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c. (da intendersi, perciò, superata per effetto della ravvisata infondatezza di quella principale).

4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è stata prospettata (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1382 e 2689 c.c., nonchè dell’art. 279 c.p.c., formulandosi a proposito il seguente quesito di diritto: “qualora in causa risulti provato l’inadempimento di una obbligazione (l’appalto) e qualora risulti documentalmente provato che anche per il semplice ritardo nell’adempimento della stessa obbligazione sia dovuta una penale e cioè un forfetario risarcimento del danno, il giudice deve o no condannare al risarcimento del danno almeno nel limite della penale, anche in assenza di prova specifica di altro danno? O non deve, quanto meno, esprimere la condanna generica al risarcimento ex art. 279 c.p.c.?”.

4.1. Il motivo si prospetta infondato e va, perciò, rigettato.

Anche con riferimento a questo aspetto della vicenda contrattuale dedotta in controversia la Corte territoriale, con motivazione congrua ed ispirata ad idonei criteri logici, ha accertato, nell’esercizio del suo autonomo potere valutativo di merito del complessivo quadro probatorio acquisito, che il committente (sull’individuazione del relativo onere probatorio cfr., ad es., Cass. n. 5677 del 1994 e Cass. n. 14039 del 2007) non aveva fornito alcuna prova del danno assunto come subito (ed asserito come riconducibile al maggior costo delle opere da terminare e al costo della eliminazione dei difetti, oltre che ai maggiori costi per l’appalto dei lavori residui ad altra ditta e per le connesse ulteriori prestazioni professionali) nè aveva invocato propriamente una condanna generica. Altrettanto correttamente la Corte piemontese ha escluso che, nella fattispecie, potesse riconoscersi l’operatività della clausola penale, da ritenersi incompatibile con la richiesta risoluzione del vincolo contrattuale e considerato, in ogni caso, come accertato il definitivo mancato completamento dell’opera. Oltretutto, ad avviso della più acuta giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 5828 del 1984 e, da ultimo Cass. n. 23706 del 2009), va evidenziato che, sul presupposto che la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni soltanto in relazione alla ipotesi pattuita, che può consistere nel ritardo o nell’inadempimento, ne consegue che, ove sia stata stipulata per il semplice ritardo (come nella specie) e si sia verificato l’inadempimento, essa non è operante nei confronti di questo secondo evento.

5. In definitiva, alla stregua delle esposte complessive ragioni, il ricorso principale deve essere respinto, così come va rigettato il secondo motivo del ricorso incidentale, mentre il primo motivo di quest’ultimo ricorso deve considerarsi assorbito per effetto della reiezione della prima doglianza del ricorso principale. In virtù della reciproca soccombenza delle parti nella presente fase, le spese del presente giudizio vanno dichiarate interamente compensate.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale; dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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