Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24986 del 15/09/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 15/09/2021), n.24986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. ROSSETTI Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2869-2019 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VASCELLO

16, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI ROCCHI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VALTER POMPEO

AZZOLINI;

– ricorrente-

contro

POSTE ITALIANE SPA ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso lo studio dell’avvocato DORA DE ROSE, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MARIA LINA GALANTE;

– controricorrente –

e contro

FALLIMENTO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1621/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

ROSSETTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2010 B.L. convenne dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia la società Poste Italiane s.p.a., esponendo che:

-) nella sua qualità di amministratore e legale rappresentante della società (OMISSIS) s.r.l. aveva emesso un assegno postale per l’importo di Euro 68.599,35;

-) la società Poste Italiane il 30 luglio 2008 “elevava il protesto” (così il ricorso; deve ritenersi, rectius, che rifiutò il pagamento del titolo provocando la levata del protesto), sul presupposto che la firma di traenza fosse “illeggibile e non corrispondente allo specimen”;

-) sebbene la Camera di Commercio di Milano, su istanza dell’interessato, provvide alla cancellazione del protesto il 3 novembre 2008, sia l’attore che la società da lui amministrata avevano subito ingenti danni, indicati complessivamente nella misura di Euro 500.000 (poi ridotta in appello ad Euro 250.000), in conseguenza della levata del suddetto protesto.

Chiese pertanto la condanna della società convenuta al relativo risarcimento.

La Poste Italiane si costituì sollevando varie eccezioni pregiudiziali di rito, che non vengono in rilievo in questa sede, e negando comunque la propria responsabilità.

2. Con sentenza 29 novembre 2012 n. 2036 il Tribunale di Reggio Emilia rigettò la domanda.

A fondamento della propria decisione il Tribunale adottò due rationes decidendi:

a) nessun discredito commerciale era potuto derivare all’attore dalla levata del protesto, avvenuta per una irregolarità formale (illeggibilità della firma di traenza e sua non conformità allo specimen), e non per mancanza di fondi;

b) la società convenuta aveva eccepito di avere, prima di levare il protesto, cercato più volte di contattare il traente per avere informazioni, ma invano a causa della irreperibilità di quello; tale circostanza di fatto, non essendo stata contestata tempestivamente dall’attore, si doveva dare per ammessa, con conseguente esclusione di qualsiasi profilo di colpa nella condotta della Poste Italiane.

3. La sentenza venne appellata dalla parte soccombente in via principale, e dalla Poste Italiane in via incidentale.

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 15 giugno 2018 n. 1621 rigettò ambo gli appelli.

Per quanto in questa sede ancora rileva, a fondamento della propria decisione di rigetto dell’appello proposto da Luciano B. la Corte d’appello affermò che la società convenuta non era in colpa per due ragioni:

-) sia perché ai fini della legittimità della levata del protesto è sufficiente una difformità prima facie tra la firma di traenza e lo specimen, senza necessità che l’istituto di credito proceda a particolari accertamenti,

-) sia perché nel caso di specie doveva ritenersi provato ex art. 115 c.p.c. che la Poste Italiane avere tenuto una condotta diligente, avendo cercato di contattare il traente senza riuscirvi per fatto ad essa non imputabile.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da B.L. con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso la Poste Italiane.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c..

Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere la colpa della Poste Italiane sul presupposto che questa, prima di levare il protesto, avrebbe cercato, ma inutilmente, di contattare il traente.

Tale circostanza di fatto, prosegue il ricorrente, venne ritenuta dalla Corte d’appello provata ex art. 115 c.p.c. in base all’assunto che, una volta dedotta dalla Poste italiane nella propria comparsa di costituzione e risposta, non era stata prontamente contestata in modo specifico e circostanziato dall’attore.

Deduce il ricorrente, in primo luogo, che quella circostanza era stata da lui puntualmente contestata; e comunque che si trattava di un c.d. “fatto secondario”, come tale sottratto all’onere di espressa contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c..

1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di decisività.

La Corte d’appello, infatti, ha fondato la prova decisione su due distinte rationes decidendi, e cioè:

a) l’assenza di colpa della Poste Italiane, derivante dal fatto che la società trattaria cercò inutilmente di contattare il traente prima di rifiutare il pagamento del titolo;

b) l’assenza di colpa della Poste Italiane in quanto, una volta riscontrata la difformità tra la firma di traenza e lo specimen, il trattatario legittimamente doveva rifiutare il pagamento del titolo, senza compiere nessun ulteriore accertamento (così la sentenza impugnata, p. 4, quarto capoverso dei “Motivi della decisione”).

Questa seconda ratio decidendi, come si dirà, non è stata validamente impugnata, con la conseguenza che essa è divenuta definitiva.

La definitività dell’accertamento della non corrispondenza tra firma di traenza e specimen rende dunque superfluo stabilire sia se la Poste Italiane avesse o non avesse cercato di contattare il traente prima di rifiutare il pagamento del titolo, sia se tale deduzione in fatto fu validamente contestata dall’odierno ricorrente.

La suddetta difformità, infatti, costituiva di per sé motivo sufficiente a rifiutare il pagamento del titolo e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del trattario per il mancato pagamento.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di “insufficiente motivaione circa un fatto decisivo”, formalmente richiamando la previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Deduce che, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la firma di traenza presente sul titolo protestato era conforme allo specimen; che tale conformità risultava da una perizia di parte trascurata dalla Corte d’appello; che era onere della società convenuta accertare “con diligente esame” l’autenticità della firma e dare in giudizio la relativa prova.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La Corte d’appello, sia pure in modo telegrafico, ha ritenuto “legittima e corretta” la valutazione con cui il giudice di primo grado aveva, a sua volta, reputato conforme a diritto il rifiuto del pagamento del titolo, a causa della difformità tra lo specimen depositato dal traente e la fitina di traenza apposta sul titolo.

Non vi fu, dunque, da parte della Corte d’appello alcun omesso esame di fatti decisivi.

Lo stabilire, poi, se la firma apposta su un titolo di credito sia conforme o difforme dallo specimen depositato per effetto della convenzione di assegno costituisce un accertamento di fatto, che la Corte di appello non ha omesso, ed il cui esito è riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna B.L. alla rifusione in favore di Poste Italiane s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 5.700, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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