Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24986 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 09/11/2020), n.24986

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34859/2018 proposto da:

AZIENDA AGRICOLA M., SOCIETA’ AGRICOLA SOCIETA’ SEMPLICE IN

LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

PATRIZI N. 13, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VOLANTI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA RECAMI;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI NUZZO, e GINO CAVALLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4170/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 23/11/2018, l’Azienda Agricola M. Società Agricola Società Semplice in liquidazione, propone gravame dinanzi a questa Corte, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 4170/2018 della Corte d’Appello di Milano, notificata in data 24/9/2018. Con controricorso resiste Intesa Sanpaolo s.p.a..

Il Pubblico Ministero ha rassegnato le conclusioni scritte di cui all’art. 380-bis.1, c.p.c., chiedendo il rigetto del ricorso.

2. Per quanto qui d’interesse, Intesa Sanpaolo s.p.a. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Vigevano, l’Azienda M. chiedendo di dichiararsi la nullità dell’atto istitutivo del “Trust Azienda Agricola M.” del 13/4/2011 e del successivo atto di vincolo di beni e diritti, ovvero, in via subordinata, di dichiararlo inefficace e revocarlo ex art. 2901 c.c., deducendo di essere creditrice dell’Azienda per complessivi Euro 1.101.808,79 e di avere comunicato, in data 3/5/2011, la revoca di tutti gli affidamenti in essere, intimando alla debitrice il rientro dell’esposizione in allora maturata. Il Tribunale accoglieva la domanda proposta dalla Banca in via subordinata.

3. La Azienda agricola impugnava la pronuncia dinanzi alla Corte d’Appello di Milano che, con la sentenza qui impugnata, ritenendo sussistenti i presupposti ex art. 2901 c.c., confermava la revoca dell’atto di vincolo di beni in trust disposta in primo grado e, per l’effetto, dichiarava l’atto inefficace nei confronti della Banca, condannando l’Azienda al pagamento delle spese processuali. In particolare, per quanto qui interessa, la Corte territoriale ravvisava la sussistenza dell’elemento oggettivo dell’eventus damni, in quanto l’atto di conferimento dei beni in trust aveva determinato una variazione quantitativa del patrimonio del debitore che, trovandosi segregato, non era più aggredibile dai creditori i quali venivano in tal modo privati della garanzia di cui all’art. 2740 c.c.; rilevava, inoltre, che non risultava che il trustee avesse presentato alcun serio programma di liquidazione, nè effettuato alcun pagamento a favore del ceto creditorio o coinvolto i creditori in un programma liquidatorio. Infine, deduceva che, in assenza del vincolo de quo, i creditori avrebbero potuto soddisfarsi, almeno parzialmente, sul patrimonio della M. comprensivo anche di crediti facilmente pignorabili e di pronta liquidazione. In relazione, invece, al presupposto soggettivo del consilium fraudis, rilevava che, essendo l’atto impugnato successivo al sorgere del credito per cui agiva la Banca, e trattandosi di atto a titolo gratuito, era sufficiente la consapevolezza del pregiudizio che l’atto avrebbe arrecato alle ragioni del creditore e, nel caso concreto, era indubbia la conoscenza, da parte della società conferente, dell’effetto che il trust avrebbe prodotto sulle ragioni della Banca attrice.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2901 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto integrato l’elemento oggettivo dell’azione (eventus damni). La ricorrente rileva che, nel caso di specie, l’atto di disposizione non abbia determinato un concreto pericolo di pregiudizio per il ceto creditorio, poichè la variazione quantitativa impressa al patrimonio dell’Azienda M. mediante la costituzione del trust, a livello qualitativo ha comportato il vantaggio della costituzione di una solida garanzia per il ceto creditorio per le obbligazioni contratte dall’impresa agricola, nel rispetto della par condicio creditorum. Infatti, dall’art. 3 dell’atto istitutivo del Trust emergerebbe che esso è dotato di beni e diritti al fine di garantire ai creditori un’ordinata ed equa liquidazione dell’attivo patrimoniale dell’azienda. Inoltre, la Corte d’Appello avrebbe errato nel porre a carico della azienda agricola M. l’onere di dimostrare di aver effettivamente compiuto la programmazione di un’attività liquidatoria secondo l’atto istitutivo del trust, sebbene ex art. 2697 c.c., tale prova incomba sulla Banca attrice che, nel caso concreto, non avrebbe provato l’assenza di attività liquidatoria del trustee, non potendo – per l’effetto – ritenersi raggiunta la prova dell’eventus damni.

1.1. Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte.

1.2. Oggetto della domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare) non è il bene in sè, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità del bene a esecuzione. Il bene dismesso con l’atto revocando viene in considerazione, rispetto all’interesse dei creditori dell’alienante, soltanto per il suo valore (v. da ultimo, Cassazione Civile, Sez. Un., 24 giugno 2020, n. 12476).

1.3. La Corte di merito, sul punto, ha considerato che la finalità di soddisfacimento del ceto creditorio, sebbene emergente dall’art. 3, dell’atto istitutivo del trust, è totalmente affidata al trustee che, nel caso concreto, coincide con il settlor, ovvero con il soggetto gravato dai debiti; inoltre, per i creditori non è prevista un’ autonoma iniziativa per l’attuazione della finalità liquidatoria impressa al trust o per incidere sulla sua gestione, affidata invece al debitore trustee e a un guardian che ne controlla la gestione secondo le finalità. La previsione si risolve, ex latere debitoris, in una unilaterale dichiarazione di intenti di voler soddisfare in modo ordinato i creditori. Senonchè, ex latere creditoris, da un lato, essa non costituisce nessuna garanzia perchè un tale effetto possa verificarsi; dall’altro, prevale l’effetto di segregazione della garanzia patrimoniale generica rappresentata dal patrimonio del debitore, senza riconoscimento di alcun potere cautelativo o amministrativo a soggetti diversi dal diretto beneficiario del Trust, Settlor e Trustee al tempo stesso.

1.4. La valutazione svolta dalla Corte di merito è da condividersi alla luce del principio sopra citato, poichè la destinazione data al patrimonio da parte del debitore con il Trust in esame, se solo la si raffronta con altri istituti posti a garanzia dei creditori, ugualmente presenti nel nostro ordinamento, non risulta idonea a realizzare la finalità dichiarata.

1.5. Si consideri, ad esempio, l’effetto tipico che si realizza con il contratto di cessione dei beni ai creditori ex artt. 1977 c.c. e segg. (cessio bonorum), mediante il quale la segregazione del patrimonio ceduto a fronte delle iniziative dei creditori cessionari (arg. ex art. 1980 c.c., comma 2) trova il proprio fondamento nell’amministrazione del patrimonio del debitore, oggetto della garanzia patrimoniale generica, direttamente da parte dei creditori (art. 1979 c.c.) e nella sua indisponibilità da parte del debitore cedente, effetto invece che non si realizza con il trust in parola. Affinchè possa parlarsi di contratto di cessione dei beni ai creditori, poi, non è sufficiente che il debitore dichiari di mettere i suoi beni a disposizione dei creditori, come nel Trust qui in analisi, ma che il debitore medesimo – mediante una inequivoca manifestazione di volontà conferisca ai creditori un mandato a liquidare i suoi beni e a soddisfarsi con il ricavato di tale liquidazione (v. Sez. 5, Sentenza n. 20580 del 24/10/2005; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4135 del 25/6/1981).

1.6. Analogo ragionamento va svolto con riguardo alle procedure concorsuali che, pur evitando l’aggressione individuale dei beni del debitore da parte dei singoli creditori, prevedono la nomina di un organo terzo che provveda alla loro amministrazione e liquidazione, a fini satisfattivi per il ceto creditorio e nel rispetto della par condicio. Nel caso concreto, poi, è pacifico che le procedure concorsuali non si pongono quale possibile alternativa nè per l’azienda agricola in forma di società semplice, nè nei confronti del Trust che istituisce una forma di patrimonio segregato e destinato secondo la volontà del disponente (Settlor). Dunque per il creditore non sarebbe comunque garantito il passaggio a tale fase di diretto soddisfacimento del credito.

1.7. Nel caso di specie, a parte l’evocazione di una finalità a beneficio dei creditori, nulla di analogo a quanto regolato dal legislatore a garanzia dei creditori è ravvisabile nel Trust in considerazione (Trust in favore dei creditori), in quanto la segregazione del patrimonio del debitore e la costituzione di un vincolo di destinazione su un patrimonio che si rende autonomo rispetto a quello del debitore non risultano atti confacenti all’obbligo di mantenimento della garanzia patrimoniale generica che grava sul debitore ex art. 2740 c.c.. Pertanto, la lesione della garanzia patrimoniale dei creditori – id est: l’eventus damni – risulta evidente sin dalla costituzione del Trust, non rendendo percorribile per i creditori, per di più senza alcun opportuno bilanciamento, l’esecuzione sui beni del debitore ex art. 2910 c.c., comma 1.

1.8. La valutazione di cui sopra, peraltro, prescinde persino dall’accertamento, in concreto, circa la mancata attivazione di una iniziativa liquidatoria da parte del Trustee a fronte della richiesta di rientro del debito espressa dalla banca: tale circostanza, difatti, costituisce solo un elemento ulteriore di valutazione circa la correttezza dell’argomentazione di cui sopra, valida già solo in considerazione della causa della disposizione in parola e del pregiudizio che genera all’interesse dei creditori di rivalersi direttamente sul patrimonio del debitore. Pertanto, ogni disquisizione sull’identificazione del soggetto gravato dall’onere della prova della mancata attivazione di una attività liquidatoria e satisfattiva, nel caso concreto, è del tutto ininfluente ai fini della decisione.

1.9. La conclusione circa il pregiudizio che si determina alle ragioni dei futuri creditori già con la sola costituzione del Trust” in favore del creditori”, privo degli effetti tipici della cessio bonorum, peraltro, si pone in linea con un principio già affermato in relazione all’istituto di cui all’art. 2645-ter c.c., secondo cui l’atto di costituzione di un vincolo sui beni del debitore, benchè non determini il trasferimento della loro proprietà, nè la costituzione su di essi di diritti reali in senso proprio, è comunque idoneo a sottrarre i beni vincolati all’azione esecutiva dei creditori, ha effetti connotati dal carattere della “realità” in senso ampio, essendo oggetto di trascrizione, ed è conseguentemente idoneo a pregiudicare le ragioni creditorie, come nelle analoghe (anche se non identiche) situazioni della costituzione del fondo patrimoniale e della costituzione e dotazione di beni in “trust” (Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 29727 del 15/11/2019).

2. Con il secondo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del consilium fraudis, quandanche fosse da escludere in capo alla società disponente (e per essa ai suoi soci ed amministratori) l’intento di arrecare pregiudizio ai creditori, essendo il trust finalizzato al loro soddisfacimento.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. La Corte di merito ha ritenuto che nel caso di specie è inconferente l’asserita mancanza dell’intento di arrecare un pregiudizio ai creditori, posto che in tema di revocatoria ordinaria, ai fini della configurabilità del “consilium fraudis”, per gli atti di disposizione a titolo gratuito compiuti dal debitore successivamente al sorgere del credito non è necessaria l’intenzione di nuocere ai creditori, ma è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore stesso, del pregiudizio che, mediante l’atto di disposizione, è arrecato alle ragioni creditorie.

2.3. L’atto in questione non può essere valutato alla stregua dei motivi soggettivi dichiarati da chi lo pone in essere, dovendosi considerare la posizione soggettiva del disponente rispetto all’effetto del negozio sull’aspettativa dei creditori di confidare sul patrimonio del debitore. Sicchè, ove l’atto sia successivo al sorgere del credito, quel che rileva, ai fini dell’azione revocatoria di atti a titolo gratuito, qual è la costituzione di un trust (v. Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 9320 del 4/4/2019; Sez. 3 -, Sentenza n. 19376 del 3/8/2017) e il conseguente conferimento di beni in questo (Cfr., Cass., Sez. 5 -, Sentenza n. 975 del 17/1/2018), è la mera conoscenza dell’oggettivo pregiudizio che tale atto può arrecare al ceto creditorio ex art. 2901, comma 1, n. 1), prima parte, c.c. (Cfr., Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14274 del 18/12/1999).

2.4. Nel caso concreto, poi, si verte in fattispecie ex art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), prima parte, ossia di revocatoria di atto a titolo gratuito successivo al credito della Banca, sicchè il requisito dell’intento pregiudizievole – id est: della “dolosa preordinazione” – sarebbe stato necessario solo ove l’atto fosse stato anteriore al sorgere del credito (art. 2901 c.c., comma 1, n. 1), seconda parte).

3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore della parte resistente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 10.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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