Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24985 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 09/11/2020), n.24985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21866/2018 proposto da:

REGIONE SICILIANA, ASSESSORATO ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

CENTRO CLINICO DIAGNOSTINO GB M. SRL (GIA’ ISCAS M. NORD

SRL, CASA DI CURA), RAPPRESENTATO E DIFESO UNITAMENTE E

DISGIUNTAMENTE DALL’AVV. EMILIO SALVATORE CASTORINA, E DALL’AVV.

LUCA ENRICO CASTORINA;

– controricorrente –

e contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI CATANIA SUCCEDUTA AZIENDA USL

(OMISSIS) CATANIA e REGIONE SICILIANA, RAPPRESENTATI E DIFESI

DALL’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 315/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 18/7/2018, l’Assessorato alla Salute della Regione Siciliana, nonchè la Regione Siciliana, propone ricorso dinanzi a questa Corte, affidato a due motivi, assistiti da memoria, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 315/2018 pubblicata il 13/2/2018. Con controricorso notificato il 9/10/2018, resiste il Centro Clinico Diagnostico G.B. M. s.r.l. (già ISCAS M. Nord s.r.l. Casa di Cura), assistito da memoria. Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria chiedendo l’accoglimento del ricorso.

2. Per quanto qui d’interesse, la controversia nasce dall’azione proposta dall’allora ISCAS volta ad ottenere il pagamento degli importi fatturati relativi alle prestazioni sanitarie dalla stessa rese in favore degli assistiti del servizio sanitario della Regione Sicilia. Il Tribunale di Catania, con ordinanza ex artt. 702-bis c.p.c. e segg., accoglieva la domanda nei confronti dell’Assessorato, condannandolo a corrispondere alla ISCAS la somma di Euro 2.493.673,62, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo calcolati D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5, a fronte del tardivo pagamento degli importi di cui alle fatture prodotte dalla Casa di Cura per le prestazioni sanitarie rese.

3. L’Assessorato impugnava l’ordinanza dinanzi alla Corte d’Appello di Catania che, con la sentenza qui gravata, confermava integralmente la pronuncia di prime cure.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, art. 11, comma 1. Il ricorrente ritiene illegittima la sentenza per aver riconosciuto alla Casa di cura gli interessi di mora di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, sebbene detta disciplina non possa applicarsi alla fattispecie per cui è causa, poichè il credito riguarda una convenzione stipulata prima dell’8 agosto 2002. Rileva, sul punto, potersi fare riferimento solo a tale convenzione e che la controparte non avrebbe prodotto in giudizio i contratti di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies, da cui potere desumere uno specifico patto sugli interessi di mora.

2. Con il secondo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c.. Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello, sebbene abbia rilevato la mancata produzione in giudizio dei contratti in questione, ha ritenuto di poter prescindere da tale adempimento probatorio, sull’assunto che non fosse contestato che i corrispettivi per cui è causa sono stati pagati negli anni compresi tra il 2004 e il 2009 e, dunque, non potendo che essere sorretti da accordi contrattuali inter partes successivi all’8 agosto 2002. Tanto rileva, il ricorrente, ai fini del contrasto con il principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c. e in ordine alla violazione dell’art. 2729 c.c., in quanto il fatto posto dal giudice a fondamento della statuizione non presenterebbe i necessari caratteri di gravità, precisione e concordanza.

3. Le censure dedotte sono strettamente connesse, attenendo alla medesima questione relativa all’applicabilità o meno alla fattispecie per cui è causa degli interessi commerciali previsti dal D.Lgs. n. 231 del 2002. Dunque, i motivi possono essere trattati congiuntamente e sono fondati per le ragioni di cui appresso.

3.1. La Corte d’Appello ha confermato la condanna dell’Assessorato Regionale al pagamento degli interessi D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5, sulla base di tale assunto: “sebbene la ricorrente casa di cura non abbia prodotto in atti i contratti del D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 8-quinquies, sono tuttavia in atti e non è contestato che i corrispettivi sui quali sono richiesti gli interessi commerciali oggetto dell’odierna controversia si riferiscono e sono stati pagati dallo stesso Assessorato in relazione agli anni compresi tra il 2004 ed il 2009. Consegue che l’avvenuto e non contestato pagamento dei corrispettivi dovuti a prestazioni eseguite in tale arco temporale non possono che essere sorretti da accordi contrattuali inter partes successivi all’8 agosto 2002”. Dunque, seguendo il ragionamento del giudice di secondo grado, l’avvenuto pagamento dei corrispettivi richiesti, relativi agli anni tra il 2004 e il 2009, proverebbe l’esistenza di contratti governati del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8-quinquies e dunque successivi all’8 agosto 2002, corrispondente alla data in cui sono divenuti applicabili gli interessi commerciali di derivazione comunitaria, stante il disposto di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 11, comma 1, per cui “le disposizioni del presente decreto non si applicano ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002”.

3.2. Tuttavia, la conclusione cui la Corte territoriale perviene è in palese contrasto con le stesse premesse del suo ragionamento: difatti, nella parte precedente della motivazione, richiamando la giurisprudenza di legittimità, lo stesso giudice di merito ha sottolineato la necessità dell’esistenza di un contratto ex art. 8-quinquies, nell’ambito di una fattispecie a formazione progressiva nella quale intervengono prima l’autorizzazione amministrativa, poi l’accreditamento e infine l’accordo (è la sequenza procedimentale delle cd. “tre A”).Proprio seguendo questa precisa sequenza il contratto non potrebbe non esserci, poichè esso deve rivestire a pena di nullità la forma scritta ad substantiam.

3.3. Più precisamente, “Nel caso di prestazioni sanitarie erogate, in favore dei fruitori del servizio, da strutture private preaccreditate con lo Stato, il diritto di queste ultime a vedersi corrispondere dal soggetto pubblico gli interessi di mora, nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002, sorge soltanto qualora, in data successiva all’8 agosto 2002, sia stato concluso, tra l’Ente pubblico competente e la struttura, un contratto avente forma scritta a pena di nullità, con il quale l’Ente abbia assunto l’obbligo, nei confronti della struttura privata, di retribuire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di cura da essa erogate (Nell’affermare questo principio la S.C. non ha riconosciuto valore contrattuale al decreto emesso dal Direttore Sanitario della Regione siciliana, con il quale era stabilito l’ammontare dei corrispettivi e le modalità di remunerazione per le prestazioni erogate dalle varie case di cura in regime di preaccreditamento: così, Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 20391 dell’11/10/2016; in senso conforme, v. anche Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 17665 del 2/7/2019).

3.4. Peraltro, questa Corte ha pure precisato che, ai sensi del citato art. 8-quinquies, in ogni caso non possono validamente concludersi accordi contrattuali per “facta concludentia”, atteso che, in base al disposto del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17, tutti i contratti con la P.A. devono rivestire, a pena di nullità, la forma scritta (Cass., Sez. 3 -, Ordinanza n. 7019 dell’11/3/2020; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 12392 del 3/6/2014).

3.5. Stante la necessità della sussistenza di un contratto scritto, da un lato, lo stesso – in quanto fatto costitutivo della pretesa attorea – deve essere prodotto in giudizio; dall’altro, imponendo la legge la forma scritta ad substantiam, la relativa prova deve necessariamente essere documentale e non può essere data nè per testimoni, nè per presunzioni (artt. 2725 e 2729 c.c.), per mezzo dei quali potere inferire l’esistenza di un valido contratto scritto.

3.6. Sicchè dal pagamento degli importi contrattuali in un determinato periodo o dalle semplici fatture emesse non può evincersi alcun argomento di prova in ordine alla riferibilità dei contratti de quibus al periodo di vigenza del D.Lgs. n. 231 del 2002.

3.7. Per tali ragioni la Corte, in accoglimento del ricorso quanto al primo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, affinchè decida anche in relazione alle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso quanto al primo motivo, assorbito il secondo; per l’effetto cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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