Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24984 del 09/11/2020

Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 09/11/2020), n.24984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 580/2017 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 1, (FAX 0698933754 – TEL 0644233842), presso lo studio

dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SALVATORE STARA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA SARDEGNA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1876/2016 del TRIBUNALE di CAGLIARI,

depositata il 17/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 15/12/2016, l’avv. S.S. propone gravame innanzi a questa Corte, affidandolo a sei motivi illustrati da memoria, avverso la sentenza n. 1876/2016 del Tribunale di Cagliari, pubblicata in data 17/6/2016 e non notificata. La parte intimata, Ministero della Giustizia si è costituita con controricorso, mentre Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. non ha svolto difese in questa sede.

2. Con atto di citazione, l’attuale ricorrente conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cagliari, il Ministero della Giustizia ed Equitalia Sardegna s.p.a. (poi Equitalia Centro s.p.a., ora Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a.) proponendo opposizione avverso due cartelle esattoriali che gli sono state notificate il 5/11/2005 per importi dovuti alla Cassa delle Ammende, a titolo di spese di giustizia e accessori riferite agli anni 2009, emesse da Equitalia Sardegna su due richieste di pagamento dell’Ufficio recupero crediti del Tribunale di Cagliari e una richiesta dell’Ufficio recupero crediti della Corte d’Appello di Cagliari. L’opponente deduceva che le cartelle erano illegittime ed inefficaci in quanto generiche e inidonee a comprendere quale fosse il sotteso titolo di addebito; che egli non era, in ogni caso, debitore non essendogli stato notificato alcun provvedimento di condanna da parte della Corte d’Appello di Cagliari; che, comunque, il preteso credito sarebbe prescritto; che le richieste gli avevano arrecato un ingiusto danno patrimoniale e non patrimoniale di cui chiedeva ristoro.

3. Il Tribunale rigettava l’opposizione rilevando come la difesa erariale avesse provato che i titoli sottesi alle cartelle fossero costituiti da provvedimenti giurisdizionali penali di questa Corte, legittimanti l’iscrizione a ruolo una volta pronunciati, sicchè era da ritenersi legittima la conseguente esecuzione esattoriale, che imponeva la sola notifica della corrispondente cartella la quale, a sua volta, risultava decifrabile con esigibile diligenza.

Diritto

CONSIDERATO

che:

PREMESSA: prima di passare al vaglio dei singoli motivi, occorre premettere che in questa sede sono ammissibili, e verranno pertanto scrutinati, solo i profili di opposizione ex art. 617 c.p.c., poichè ogni deduzione afferente all’inesistenza del titolo, traducendosi in opposizione ex art. 615 c.p.c., non è suscettibile di ricorso “per saltum” a questa Corte. Ciò in ragione dell’appellabilità delle pronunce sulle opposizioni all’esecuzione, secondo la disciplina applicabile “ratione temporis” della L. 18 giugno 2009, n. 69, ex art. 49, comma 2 (essendo stata pubblicata la sentenza dopo il 4 luglio 2009).

1. Con il primo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 132 e 277, poichè il Tribunale avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione, formulata nella comparsa conclusionale e richiamata nella memoria di replica, con cui era stata dedotta la nullità della notifica delle cartelle, risultando la relata in testa alle stesse e non in calce.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. E’ opportuno precisare – riprendendo quanto sopra detto in premessa – che lo scrutinio qui ammissibile è in merito alla omessa pronuncia (sulla nullità della notificazione del titolo) che costituisce ragione di opposizione agli atti, mentre, là dove l’omessa pronuncia riguardi un motivo di opposizione all’esecuzione, la deduzione avrebbe dovuto logicamente essere svolta con atto di appello, e non direttamente in sede di legittimità (v. Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3722 del 14/2/2020; Sez. 3, Sentenza n. 14661 del 18/7/2016).

1.3. Il ricorrente afferma di aver sollevato la questione di nullità della relata di notificazione in sede di comparsa conclusionale, e non nell’iniziale ricorso, dimostrando pertanto di avere formulato l’eccezione tardivamente rispetto ai motivi cristallizzati nell’opposizione agli atti esecutivi, come tali non modificabili oltre il termine, perentorio, stabilito dall’art. 617 c.p.c.. Sul punto, questa Corte (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18761 del 7/8/2013), ha chiarito che nel giudizio de quo si ha “mutatio libelli” quando si avanzi un motivo di contestazione della regolarità formale di un atto del processo esecutivo diverso da quello posto a fondamento dell’atto introduttivo dell’opposizione, facendo così valere una “causa petendi” fondata su un vizio dell’atto non prospettato prima, con l’effetto di porre un nuovo tema di indagine; con la conseguenza che il motivo di opposizione agli atti esecutivi proposto nel corso del processo è inammissibile, a prescindere dal fatto che attenga ad un vizio dello stesso atto opposto e comporti identico “petitum” di annullamento del medesimo atto, restando irrilevante anche l’eventuale presenza, nel ricorso, di una riserva apposta a tal fine dalla parte, che non può legittimare “ex se” la proposizione di motivi nuovi.

1.4. Pertanto, non vi è alcun interesse del ricorrente a dedurre un’omissione sul punto da parte del Tribunale, stante la tardività della deduzione.

1.5. Con il medesimo motivo, sub BB) si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in rapporto all’art. 617 c.p.c., la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e dei principi correlati; dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000; artt. 24 e 111 Cost., in punto di diritto alla difesa e al contraddittorio e di equo processo e dei principi in proposito della giurisprudenza di legittimità. Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nel non rilevare la carenza di motivazione delle cartelle, valutando erroneamente i documenti prodotti dalla difesa erariale in giudizio, ritenuti inidonei ad integrare “a posteriori” la componente motivazionale dell’atto amministrativo opposto. In particolare, il giudice di merito avrebbe valorizzato gli estratti di due pronunce della Corte di Cassazione, che avevano dichiarato inammissibili altrettanti ricorsi del deducente condannandolo al pagamento delle spese processuali e di somme in favore della Cassa delle ammende le quali, di contro, avrebbero dovuto essere espunte dal giudizio, posto che le cartelle indicavano come Ente creditore la Corte d’Appello.

1.6. Il motivo è inammissibile.

1.7. Come anticipato, non vengono qui in rilievo, nè sarebbero comunque scrutinabili, contestazioni sull’esistenza del titolo, vertendosi in punto di ragioni deducibili e dedotte ex art. 617 c.p.c., sicchè non è in delibazione l’affermazione del Tribunale che, in base agli estratti dichiarati conformi dei due provvedimenti di questa Corte (in sede penale), ha concluso per l’esistenza dei “titolo all’origine dei crediti” riferiti alle due cartelle impugnate.

1.8. Il Tribunale, sul punto, non ha utilizzato gli estratti in questione per integrare la motivazione delle cartelle in tesi ritenuta insufficiente, bensì ha valorizzato quella produzione della difesa erariale per negare l’inesistenza del credito sotteso all’esecuzione.

1.9. In questo senso la censura non coglie la ratio decidendi e la portata della correlativa statuizione aggredita, mentre la sufficienza della motivazione è oggetto di diverso esame da parte del Tribunale, nonchè oggetto di specifico motivo di ricorso (sesto), al cui scrutinio di rimanda.

2. Con il secondo motivo si censura – ex art. 360, comma 1, n. 3 – in relazione all’art. 617 c.p.c., la violazione e falsa applicazione, in rapporto all’art. 617 c.p.c., degli artt. 666-670 c.p.c. e dei principi di cui alle pronunce Cass., Pen., nn. 12472 e 30737/2008; degli artt. 127,611 c.p.c., art. 615 c.p.c., comma 3, art. 625 c.p.c., comma 2, art. 626 c.p.c. e dei principi di cui alle pronunce Cass. Pen. nn. 14451/2003 e 35559/2008; degli artt. 15 e 18 reg. esec. c.p.c.; della pronuncia Cass. Pen. 45773/2008; dell’art. 208 testo unico spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002); nonchè delle disposizioni e dei principi della Convenzione 23 settembre 2010 stipulata tra il Ministro della Giustizia ed Equitalia Giustizia s.p.a.. In tesi, il Tribunale avrebbe errato nell’omettere di considerare le seguenti circostanze: la riserva di cognizione del giudice penale, ritenuta rilevante trattandosi di decisioni riferibili alla Corte di Cassazione in sede penale, non poteva estendersi alla delibazione della contestazione inerente alla mancata notifica del titolo, mancata identificazione dello stesso nella cartella esattoriale, carenza stessa del titolo; la lettura del dispositivo, ritenuta decisiva per affermare l’esistenza del titolo, non poteva aver rilievo posto che si trattava, secondo le risultanze degli stessi estratti, di pronunce in Camera di consiglio non partecipata (ossia senza la presenza delle parti); da una parte, poi, gli estratti presupponevano la pubblicazione del provvedimento in forma integrale e, dall’altra, l’iscrizione a ruolo non poteva avvenire in base al solo estratto e prima della notifica del titolo impositivo esecutivo.

3. Con il terzo motivo si prospetta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in rapporto all’art. 617 c.p.c., la violazione e falsa applicazione, in rapporto all’art. 617 c.p.c., artt. 127,221,222,610 c.p.c. e art. 615 c.p.c., comma 3; degli artt. 1365,1366 e 1367 c.c. e dei principi ivi enunciati in punto di interpretazione. Il Tribunale sarebbe incorso nella violazione delle norme de quibus per aver omesso di considerare che la querela di falso proposta dal deducente avverso gli estratti dei provvedimenti, era rilevante perchè la falsità poteva sussistere per essere stato formato, l’estratto, prima della pubblicazione dei provvedimenti, solo con l’annotazione della decisione sul ruolo d’udienza da parte del Presidente del collegio, sicchè l’estratto stesso era a maggior ragione inidoneo a legittimare la riscossione che, invece, presupponeva la notifica del provvedimento integrale originante il credito.

4. Con il quarto motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in rapporto all’art. 617 c.p.c., la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12,25 e 49; D.P.R. n. 600 del 1997, art. 36-bis; artt. 212 e 226 del Testo Unico spese di giustizia; degli artt. 479 e 480 c.p.c.; del principio relativo al divieto di duplicazione del titolo esecutivo; del principio di subordinazione delle norme regolamentari alle norme di legge; dei principi affermati delle pronunce Cass. Pen. nn. 45773 e 7429 del 2008 e Cass. Civ. nn. 22398/2009 e 8267/2010; dei principi di cui agli artt. 3,24 e 111 Cost.. Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nell’omettere di considerare che la cartella, svolgente la funzione di precetto, non era stata preceduta dalla formazione del sotteso titolo impositivo esecutivo e dalla sua notifica, della quale la cartella medesima non dava atto, senza la cui sequenza legale, dunque, non avrebbe potuto procedersi alla iscrizione a ruolo e alla conseguente riscossione esattoriale, altrimenti costringendosi il debitore, con ermeneutica peraltro incostituzionale in quanto irragionevolmente lesiva, a pagare senza aver avuto conoscenza delle ragioni del debito in ipotesi anche insussistenti. Lo stesso ruolo, quale mero atto di riscossione, avrebbe dovuto essere pertanto configurato quale titolo esecutivo derivato, inidoneo a surrogare o duplicare il provvedimento giurisdizionale che aveva legittimato l’iscrizione e che come tale avrebbe dovuto notificarsi quale proprio titolo esecutivo di cui il debitore avrebbe dovuto così avere piena e legale conoscenza. Nè la constatata notifica dell’invito al pagamento, prevista da norma regolamentare poi abrogata e comunque disapplicabile quando in contrasto con norme primarie avrebbe potuto assorbire o sanare l’esigenza imposta dal generale regime esecutivo ordinario, pena l’incostituzionalità dell’ermeneutica seguita.

4.1. Il secondo, terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi. Essi risultano tutti inammissibili.

4.2. Nel caso concreto, i crediti sottesi all’esecuzione esattoriale trovano la loro fonte in provvedimenti giurisdizionali di questa Corte in sede penale. Il recupero delle spese di giustizia e delle somme statuite in favore della Cassa delle ammende avviene, come osserva pure il ricorrente, ex art. 227-ter, comma 1, Testo Unico spese di giustizia, a mente del quale “entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l’obbligo (…), l’ufficio (…), procede all’iscrizione a ruolo”.

4.3. La norma, del resto, non è mutata neanche per effetto delle modifiche normative successivamente intervenute, a decorrere dall’introduzione dell’art. 227-ter, per mezzo del del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 52, conv. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133.

4.4. Si evidenzia che, nel caso in esame, il procedimento di riscossione mediante ruolo è stato avviato successivamente alla Convenzione – prevista dalla stessa norma a seguito della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009 e stipulata inizialmente il 23 settembre 2010 – con cui la quantificazione del credito e la formazione del ruolo sono state affidate alla società Equitalia Giustizia s.p.a.. Il tutto dopo la trasmissione, da parte degli uffici recupero crediti (Urc) delle articolazioni giudiziarie, della nota di trasmissione (digitalizzata) contenente le informazioni necessarie alla formazione del ruolo medesimo. Prima della stipula della citata Convenzione, invece, gli Urc dei vari uffici giudiziari quantificavano il credito e, formato il ruolo, lo trasmettevano (in estratto) per la riscossione al concessionario.

4.5. L’iscrizione a ruolo, ora come allora, espressamente non prevede la notifica del provvedimento giudiziario sotteso. E ciò in coerenza con la funzione svolta, nella fattispecie, dalla notifica della cartella esattoriale che costituisce notificazione di un omologo del precetto riferito a un titolo esecutivo rappresentato, a sua volta, dal sotteso ruolo (arg., del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 49, comma 1: cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15345 del 12/6/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 3021 dell’8/2/2018).

4.6. Nel caso in esame, quindi, l’ufficio addetto al recupero crediti, competente in base al combinato disposto dell’art. 208, comma 1, lett. b), Testo Unico spese di giustizia e art. 665 c.p.c. – trattandosi, come visto, di provvedimenti giurisdizionali penali definitivi adottati dalla Corte di cassazione -, ha formato il ruolo sotteso dalla cartella esattoriale notificata.

4.7. Il ricorrente tuttavia deduce in particolare che, escludendosi la necessità di previa notifica del provvedimento giurisdizionale (in forma integrale), il debitore sarebbe irragionevolmente costretto a pagare senza conoscere le ragioni dell’obbligazione passiva.

4.8. Questa Corte, al riguardo, ha già chiarito che, nel caso di omessa notifica dell’atto giudiziale sotteso quando, cioè, la cartella costituisca il primo atto con cui si portano a conoscenza del destinatario quei contenuti, la cartella di pagamento deve contenere “gli elementi minimi per consentire” all’obbligato “di individuare la pretesa impositiva, e di difendersi nel merito” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3707 del 25/2/2016, pag. 15).

4.9. Questa ricostruzione della funzione della normativa in questione, logicamente, rende manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità indicati dal ricorrente al riguardo, posto che la scelta legislativa effettuata non si pone in contrasto con il diritto di difesa, rimettendo a un accertamento in punto di fatto la verifica della sua concreta attuabilità. Assicurato il rispetto del nucleo minimo e fondante proprio del diritto difensivo, rientra cioè nella tipica discrezionalità legislativa la variazione di regime in riferimento a fattispecie differenti come dimostra, anche nel caso di crediti diversi da quelli qui in discussione, la disciplina dell’art. 654 c.p.c., comma 2, che prevede una notifica del precetto senza nuova notifica, a fini pre-esecutivi, del sotteso decreto ingiuntivo.

4.10. In questa cornice la questione si risolve, pertanto, nella suddetta verifica, resa oggetto anche dell’ultimo motivo di ricorso (il quinto), senza che possano residuare vuoti di tutela.

4.11. A proposito dei riparti connessi a tale tutela – e in relazione ad alcune affermazioni contenute sia nel ricorso che in sentenza – va ribadito che se, per un verso, l’impugnazione di cartelle di pagamento relative a spese processuali e somme dovute alla Cassa delle ammende rientra nella giurisdizione ordinaria non vertendosi in tema di tributi (cfr., ad es., Cass., Sez. U -, Ordinanza n. 18979 del 31/7/2017, n. 9), per altro verso, il riparto con la cognizione del giudice penale, quando siano sottesi provvedimenti adottati da questo, è stato chiarito, nel senso che al giudice civile spetta la contestazione che non metta in discussione, come per quanto qui rileva, la sussistenza e la portata della statuizione in sè dell’omologo penale (v. Cass., Sez. U. penali, n. 491 del 12/1/2012).

4.12. Infine, nel quadro dell’opposizione ex art. 617 c.p.c., risultano del tutto irrilevanti – e quindi inammissibili – le questioni afferenti alla querela di falso degli estratti dei provvedimenti del giudice penale (inammissibili anche per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo riportato il testo della querela) posto che, da una parte, l’iscrizione a ruolo avviene sulla base del provvedimento giurisdizionale definitivo e non dell’estratto; e, dall’altra, la questione della prova dell’esistenza di un tale provvedimento giudiziale originante il credito è tema di opposizione all’esecuzione.

4.13. Quanto detto assorbe ogni altro profilo delle censure qui scrutinabili, e in particolare quella attinente alla pretesa decadenza del D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 25, in quanto motivo di opposizione all’esecuzione, peraltro infondato alla luce dei chiarimenti già esplicitati da questa Corte in ordine al perimetro propriamente tributario della norma richiamata (cfr. Cass., Sez. 3 -, Sentenza n. 28529 dell’8/11/2018).

5. Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in rapporto all’art. 617 c.p.c., la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17; del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 12 e 25; degli artt. 3,24,97 e 111 Cost.; nonchè dei principi di cui agli artt. 1365,1366 e 1367 c.c.. Il ricorrente adduce che il Tribunale avrebbe errato, utilizzando gli estratti prodotti tardivamente dalla difesa erariale, nel ritenere identificabili i titoli sottesi alle immotivate cartelle che, invece, erano inintelligibili, in specie per il comune cittadino, tenuto conto, soprattutto, che: tali atti non riportavano il numero dei correlativi provvedimenti giurisdizionali ma, in tesi, solo dei corrispondenti procedimenti; quelle del giudice di merito sarebbero solo congetture, sostanzialmente ricostruttive “a posteriori”; la risposta negativa ricevuta dall’ufficio copie della Corte di cassazione, alla richiesta del deducente in ordine all’individuazione dei provvedimenti, confermerebbe l’inidoneità dei dati della cartella all’identificazione; il deducente, comunque, non avrebbe avuto alcun obbligo giuridico di attivarsi, come preteso dal giudice di prima istanza, presso l’ufficio indicato in cartella, e quindi presso il responsabile del procedimento amministrativo da cui, infatti, nulla di più dei dati presenti nella medesima cartella avrebbe potuto sapersi.

5.1. Il motivo è inammissibile.

5.2. Si premette che non risulta riportato il contenuto, in “parte qua”, delle cartelle, con conseguente vizio di specificità ovvero autosufficienza delle censure ex art. 366 c.p.c., n. 6. Tale rilievo di inammissibilità risulta del tutto assorbente.

5.3. Ad abundantiam, sì osserva che dal tenore della motivazione non emerge alcun sintomo delle violazioni di legge indicate, atteso che il Tribunale, con accertamento in fatto in questa sede insindacabile, ha ritenuto sufficiente l’indicazione dei provvedimenti giurisdizionali cui erano riferite le cartelle, attraverso i dati in esse presenti, ovvero attraverso la loro motivazione per relationem, coincidente con la prova, data dai relativi estratti, della sussistenza dei provvedimenti giurisdizionali originanti i crediti.

5.4. In particolare, il Tribunale, senza incorrere in contraddizioni o in violazioni di legge, ha rimarcato la sufficienza dei riferimenti all’ufficio formante il ruolo e alla data di esecutività, alla natura del credito e relativa partita, ed alla data del provvedimento. In altri termini, la concreta sussistenza della discussa conoscibilità è oggetto di un effettuato accertamento in fatto, come tale sindacabile, in sede di legittimità, solo ex art. 360 c.p.c., n. 5, nei limiti di ammissibilità di questo. In questa chiave, sul punto la censura mira quindi a una rilettura istruttoria attraverso deduzioni di errori “in iudicando”, con conseguente rilievo di inammissibilità.

5.5. Ciò che comunque deve garantire la cartella, come sopra osservato, non è la piena conoscenza del contenuto del titolo del credito, bensì la sua identificabilità finalizzata alla possibilità di difendersi nel merito, sicchè la parte che sostenga la nullità della stessa per questa ragione, deve anche allegare e dimostrare il concreto pregiudizio conseguentemente patito (cfr., nello stesso senso, in tema di pretese tributarie, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18224 dell’11/7/2018, pag. 3). E’ questo il senso dell’indirizzo giurisprudenziale che ha ripetutamente chiarito, anche in altri e contigui ambiti, che nella cartella esattoriale non è indispensabile l’indicazione degli estremi identificativi o della data di notifica dell’accertamento precedentemente emesso, al quale detti atti facciano riferimento, essendo sufficiente l’indicazione di circostanze univoche che consentano l’individuazione di quell’atto, al fine di tutelare il diritto di difesa del destinatario rispetto alla verifica della procedura di riscossione promossa nei suoi confronti (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25343 dell’11/10/2018).

5.6. Al contempo, per quanto sopra detto, il ricorrente ha inammissibilmente impugnato la cartella anche ex art. 615, c.p.c., deducendo di non essere tenuto al pagamento e comunque deducendo la prescrizione del preteso credito.

6 Tanto rilevato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese come di seguito liquidate a favore della parte costituita.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese in favore del Ministero, liquidate in Euro 1.400,00, oltre accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020

 

 

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