Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2498 del 01/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 01/02/2018, (ud. 02/11/2017, dep.01/02/2018),  n. 2498

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il giudice del lavoro del Tribunale di Macerata dichiarò la decadenza dall’azione ai sensi della L. n. 438 del 1992, art. 4, e l’inammissibilità della domanda di S.L. ad ottenere, nell’interpretazione del giudice, il riconoscimento del diritto alla pensione di anzianità a decorrere dal primo giugno 1995 e la condanna dell’INPS al pagamento della somma di Euro 46.697,52. Con sentenza del 28/6/12, la Corte d’appello di Ancona, nel rigettare l’impugnazione della S., ha osservato che la domanda non era stata qualificata correttamente in quanto si trattava di richiesta di risarcimento del danno scaturito da errata comunicazione dei dati essenziali dell’estratto conto assicurativo con valore certificativo ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 54; nonostante l’erronea qualificazione, l’appello era comunque infondato giacchè non vi era prova del danno asseritamente patito posto che al tempo della presentazione della domanda la ricorrente era ancora in attività lavorativa dipendente e, quindi, difettava un requisito essenziale per il riconoscimento del diritto. Peraltro, dalla disamina della consulenza tecnica espletata la Corte aveva ravvisato un periodo di scopertura contributiva compreso tra il primo settembre 1975 ed il 31.12.1976 che non rendeva integrato il requisito richiesto dalla L. n. 335 del 1995, all’epoca della comunicazione in oggetto.

Per la cassazione della sentenza ricorre S.L. con un solo motivo.

L’Inps ha depositato procura speciale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente propone con un unico motivo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè la violazione degli artt. 1218,1176,1223 e 1226 c.c., in quanto oggetto dell’appello sarebbe stata esclusivamente l’errata qualificazione della domanda da parte del primo giudice, mentre in punto di merito non era stata formulata alcuna censura (neppure dall’INPS), di modo che arbitrariamente la Corte d’appello avrebbe esaminato gli aspetti concernenti l’esistenza della responsabilità e della quantificazione del danno. Contesta, inoltre, a correttezza in fatto delle circostanze accertate dalla Corte a proposito del calcolo dei contributi.

1. Il motivo va rigettato. La ricorrente sostiene che la comunicazione dell’Inps del 15 ottobre 1996, che espresse il diniego alla domanda di concessione della l’estensione sul rilievo del mancato raggiungimento del numero dei contributi necessario, abbia valore certificativo e l’erroneità dei dati ivi contenuti, che il giudice di primo grado aveva accertato a seguito di c.t.u. seppure contraddittoriamente avesse poi dichiarato la parte decaduta, esporrebbe l’Inps al risarcimento del danno procurato all’interessata per violazione degli artt. 1175 e 1176 c.c., oltre che della L. n. 88 del 1989, art. 54, essendo unici elementi costitutivi della domanda risarcitoria l’erroneità dei dati comunicati e l’imprescrittibilità del diritto a pensione.

3. Va rimarcato che la sentenza impugnata ha fondato la decisione sulla considerazione che: a) oggetto della domanda fosse, essendo solo incidentale l’accertamento dell’obbligo dell’Inps di corrispondere la pensione di anzianità, la richiesta di risarcimento del danno da errata comunicazione dei dati essenziali dell’estratto conto assicurativo ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 54; b) pur così qualificata la domanda, la stessa fosse infondata per mancanza di prova del danno risarcibile in quanto vi era stata permanenza dell’attività lavorativa ancora al tempo di presentazione della domanda (12 settembre 1996) e sino al 1997 e che la lettura corretta dei dati contributivi emersi in sede di c.t.u. di primo grado, contrariamente alle conclusioni della stessa, evidenziava una scopertura contributiva tra il 1.9.1975 ed il 31.12.1976.

4. A fronte di tale motivazione, che si fonda sulla prevalenza della ragione di più evidente rilevanza costituita dall’assenza di danno concretamente risarcibile (per difetto del diritto che si assume leso) quale conseguenza della errata comunicazione dell’Inps, la ricorrente invoca una tutela risarcitoria non rispondente alla specifica previsione della L. n. 88 del 1989, art. 54, ma alla comune azione derivante dall’art. 1218 c.c., che dovrebbe, invece, essere compendiata dalla sola (accertata dal primo giudice ma negata dalla sentenza impugnata) mera comunicazione all’interessata di dati erronei. Si tratterebbe, dunque, di una fattispecie di inadempimento meramente formale i cui elementi costitutivi si ridurrebbero alla circostanza della erroneità dei dati considerati dall’Ente nel momento in cui comunicò il rigetto della domanda di trattamento pensionistico di anzianità.

5. Come si legge nella parte espositiva dei motivi d’appello trascritti in ricorso alla pagina 6 oltre che nella sentenza impugnata, la parte aveva affermato la natura comunque certificativa della comunicazione di rigetto della domanda e lamentato la violazione della regola fissata dalla L. n. 88 del 1989, art. 54, mentre ricorre in cassazione lamentando la generica violazione del generale obbligo di correttezza nelle comunicazioni che coinciderebbe con tutte le ipotesi di erroneo rigetto di prestazioni pensionistiche e la violazione del principio della domanda per avere la Corte d’appello esaminato questioni non devolute in quel giudizio.

6. Il motivo, così proposto, è inammissibile per varie ragioni: a) non si confronta con la espressa qualificazione della domanda operata dalla Corte di merito che, proprio accogliendo il relativo motivo d’impugnazione, ha dato atto che era stata prospettata la violazione della L. n. 88 del 1989, art. 54, (pag. 3 della sentenza impugnata) ed anzi, illustrando la violazione di un generico inadempimento contrattuale si sottrae al confronto con la specificità della violazione degli obblighi di comunicazione con preciso carattere certificativo che caratterizza la regola comportamentale imposta dalla L. n. 88 del 1989, art. 54, esaminata nei gradi di merito; b) il motivo è privo di sufficiente specificità laddove per contrastare l’affermazione contenuta in sentenza in ordine alla erroneità delle conclusioni del c.t.u. sulla pienezza della necessaria contribuzione si richiama ad alcuni passi della stessa relazione senza trascriverne i contenuti ed allegarne copia e laddove denuncia la violazione del principio della domanda (art. 112 c.p.c.), derivante dall’essersi la Corte del merito spinta oltre le questioni devolute, senza neanche trascrivere integralmente i contenuti dell’atto d’appello e della memoria di costituzione dell’Inps.

7. Il motivo, inoltre, è anche infondato laddove contrasta nella impostazione in diritto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità formatasi sul punto della responsabilità dell’Inps in ipotesi in cui errate certificazioni abbiano indotto l’interessato a cessare il rapporto di lavoro sul presupposto erroneo della sussistenza della contribuzione utile a fruire del trattamento pensionistico (cfr. Cass. 8 novembre 1996, n. 9776; 18 novembre 2000, n. 14953; 19 maggio 2001, n. 6867; 22 maggio 2001, n. 6995; 17 dicembre 2003, n. 19340; 28 marzo 2008, n. 8118; 30 marzo 2010, n. 7683; 3 febbraio 2012, n. 1660; 1 marzo 2012, n. 3195 e le più recenti Cass. 16 dicembre 2013, n. 28023; 8972/2014 e n.23282 del 2016), secondo cui: l’obbligo che fa carico all’Istituto, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, di comunicare all’assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica determina responsabilità contrattuale nel caso di inosservanza che generi danno, posto che la norma prevede che “La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta”; la violazione dell’obbligo di comunicazione cui fa riferimento la norma di cui all’art. 54. cit., presuppone una specifica richiesta dell’interessato, e proprio per la indicata funzione attribuita dalla legge alla comunicazione cui l’ente previdenziale è tenuto in ordine alla situazione previdenziale e pensionistica dell’assicurato, legittimamente costui fa affidamento sulla esattezza dei dati a lui forniti; senza specifica richiesta, quindi, si versa fuori della fattispecie prevista dalla legge.

8. Alla luce degli indicati principi e conformemente al dettato normativo, posto che la ricorrente non ha mai dedotto di aver formulato tale specifica richiesta ma solo di aver ricevuto comunicazione di diniego del trattamento pensionistico contenete dati ritenuti erronei, deve affermarsi che la comunicazione dalla quale S.L. pretende di far derivare un danno non ha mai assunto valenza certificativa e che, l’eventuale, proprio convincimento dell’esistenza del diritto avrebbe dovuto indurla a chiedere l’accertamento del diritto a pensione, con relativa decorrenza, in sede giudiziaria.

9. Infatti, l’obbligo di comunicare informazioni esatte tutela l’affidamento che l’assicurato ripone nella correttezza delle informazioni stesse e genera responsabilità quando sulla base delle stesse l’assicurato effettui la scelta di risolvere anzitempo il proprio rapporto lavorativo, ma tale fattispecie di induzione in errore non caratterizza il caso in esame dove l’interessata assume semplicemente di aver diritto al trattamento pensionistico di anzianità a partire da una certa data.

10. Quindi, alcun obbligo aveva l’Inps di comunicare, attraverso il provvedimento del 30/10/96 di rigetto della domanda di pensione di anzianità, i dati della contribuzione che avrebbero consentito all’istante di beneficiare della stessa prestazione in data antecedente a quella della successiva liquidazione.

In definitiva, la responsabilità contrattuale dell’ente previdenziale per erronee od omesse informazioni da fornire all’assicurato può configurarsi solo ove queste siano rese od omesse su specifica domanda dell’interessato e si riferiscano a dati di fatto concernenti la sua posizione assicurativa, che sono gli unici che l’ente è tenuto a comunicare L. n. 88 del 1989, ex art. 54, (in senso analogo v. anche Cass. Sez. 6 – L, ordinanza n. 1660 del 3.2.2012).

10. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo tenendo conto che la difesa dell’Inps è stata limitata alla sola discussione orale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 2 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2018

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