Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24979 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/10/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 07/10/2019), n.24979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13436/2018 proposto da:

L.C.A., domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato NICOLETTA CORRERA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso

lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 918/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/03/2018 R.G.N. 3388/2017.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza n. 669 del 2014 il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Roma dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato in data 14 aprile 2012 a L.C.A. da Poste Italiane spa, di cui era dipendente ed adibita in distacco, all’epoca dei fatti in causa ((OMISSIS)), presso l’Ufficio Postale di (OMISSIS) ove si occupava dello sportello di “(OMISSIS)”, perchè a seguito di accertamento condotti sulla giacenza dei “Gratti e vinci”, era stata ravvisata una discordanza di Euro 530,00, ricondotta all’uso non autorizzato di alcuni di essi e perchè era stato accertato il mancato rinvenimento di prodotti “(OMISSIS)” per un valore complessivo di Euro 5.229,62, ricondotto all’opera di ignoti sotto il profilo fattuale ma riconducibile alla responsabilità solidale della L.C. e del Direttore dell’Ufficio.

2. La Corte di appello di Roma, con la pronuncia n. 5027 del 2015, respingeva il gravame interposto dalla società.

3. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 18282/2017, cassava la decisione di secondo grado con rinvio alla medesima Corte territoriale affinchè si pronunciasse sulla sussistenza della giusta causa in relazione anche a quanto complessivamente contemplato dalla contrattazione collettiva e, quindi, con riguardo alla previsione contenuta nel comma 6 dell’art. 54 CCNL Poste Italiane del 14.4.2011, circa il licenziamento senza preavviso nel caso di illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o di beni di spettanza o di pertinenza della società o ad essa affidati, o per connivente tolleranza di abusi commessi da dipendente o da terzi in relazione i soli tagliandi in questione, che risulterebbero essere stati personalmente utilizzati dalla L.C.; inoltre si rappresentava di tenere conto che la giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo, con la conseguenza che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e che, per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.

4. Riassunto il giudizio ad iniziativa di L.C.A., la Corte di appello di Roma, quale giudice di rinvio, con sentenza n. 318 del 2018, rigettava la originaria domanda di impugnativa del licenziamento proposta dalla lavoratrice, ritenendo legittimo il recesso.

5. Avverso tale ultima decisione ha presentato ricorso per cassazione la L.C. affidato a tre motivi cui ha resistito con controricorso Poste Italiane spa.

6. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denunzia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2730 c.c. e/o all’art. 2697, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito erroneamente riconosciuto valore confessorio alle dichiarazioni rese dalla L.C. in sede di procedimento disciplinare, relativamente alla avvenuta sottrazione di tagliandi da parte di essa dipendente, in quanto la presenza dell’avverbio “probabilmente” all’interno della dichiarazione era incompatibile con la portata potenzialmente confessoria della dichiarazione medesima.

2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di contratto o accordi collettivi nazionali di lavoro, in relazione all’art. 54 del CCNL Poste Italiane del 14.4.2011, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte territoriale erroneamente ricondotto la fattispecie concreta alla ipotesi di cui all’art. 54, capo VI, lett. a) del CCNL (che prevede l’applicazione della sanzione del licenziamento senza preavviso) e non all’ipotesi di cui all’art. 54 capo II lett. f) del CCNL medesimo (che prevede l’applicazione di sanzione conservativa), anche in considerazione del discrimen, tra le due ipotesi, determinato dall’utilizzo della locuzione “tenuo valore”. In particolare, si sostiene che erroneamente era stato ritenuto che i beni sottratti dalla L.C. rientrassero nella definizione di cui all’art. 54, capo VI, lett. a) del CCNL (“somme o beni di spettanza o di pertinenza della Società o ad essi affidati”) e non invece in quella prevista dall’art. 54, capo II, lett. f) (“materiali o beni strumentali di tenue valore”).

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere ritenuto erroneamente i giudici del rinvio il fatto oggetto di addebito di gravità tale da determinare la configurabilità di una giusta causa di recesso, senza considerare le circostanze del caso che deponevano a sfavore di una ipotesi di dolo, anche tenuto conto dell’assenza, per l’incolpata, di precedenti disciplinari per 25 anni di carriera.

4. In via preliminare, deve osservarsi che non si ravvisano profili di responsabilità nei confronti di un componente del Collegio che ha esaminato il precedente ricorso per cassazione nell’ambito del medesimo giudizio (sent. 18282/2017).

5. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno affermato che qualora una sentenza del giudice di rinvio formi oggetto di un nuovo ricorso per cassazione, il Collegio ben può essere composto anche con magistrati che abbiano partecipato al precedente giudizio conclusosi con la sentenza di annullamento, ciò non determinando alcuna compromissione dei requisiti di imparzialità e terzietà del giudice (Cass. n. 24128/2013).

6. Ciò perchè, per il giudice che abbia partecipato al precedente giudizio di legittimità, non sussiste la concreta possibilità che sia meno libero di decidere o sia condizionato dalla volontà di difendere la precedente decisione di legittimità.

7. Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile perchè la censura consiste in una prospettazione di difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 23.12.2009 n. 27162; Cass. 6.3.2008 n. 6064) che non è consentito in sede di legittimità.

8. Nel caso in esame la Corte territoriale ha individuato le fonti del proprio convincimento, riportandole, le ha valutate e, scegliendo tra le varie risultanze probatorie (facendo riferimento non solo alla valenza confessoria delle dichiarazioni rese in sede disciplinare ma anche a quelle rese in sede di libero interrogatorio e alle deposizioni testimoniali), ha specificato quelle idonee a dimostrare in fatti in discussione.

9. Tanto basta per escludere qualsiasi sindacato della Corte di Cassazione che si risolverebbe in un inammissibile riesame della ricostruzione in fatto della vicenda.

10. Il secondo motivo è infondato.

11. Preliminarmente, ai fini di stabilire la natura dei tagliandi cd. “gratta e vinci”, occorre sottolineare che gli stessi vanno inquadrati giuridicamente nell’ambito delle lotterie istantanee.

12. La lotteria istantanea è riconducibile nell’area normativa di cui all’art. 1935 c.c., caratterizzandosi in tale spazio per il fatto che la vincita non è subordinata, come nelle lotterie tradizionali, all’evento futuro ed incerto dell’estrazione del numero del biglietto vincente, ma è predeterminata a monte, prima dell’immissione dei biglietti nel circuito di vendita, attraverso l’inserimento casuale, nei lotti diffusi sul mercato, dei tagliandi vincenti.

13. Questa peculiarità della potenziale vincita, celata prima dell’acquisto da un accorgimento che nasconde la combinazione casuale immessa, consente di qualificare la natura giuridica dei suddetti tagliandi quali valori e, quindi, beni di pertinenza o di spettanza della società, con un determinato equivalente economico, ma non certo quali materiali o beni strumentali, di cui all’art. 54, capo II lett. f), che evidentemente riguardano quelle attrezzature, mobili, macchinari e computers che vengono utilizzati in modo diretto per l’esercizio dell’attività lavorativa e che, certamente, non sono destinati alla vendita al pubblico.

14. Conseguentemente, la problematica del “tenue valore” dei beni strumentali non acquista alcuna rilevanza, non essendo tali i suddetti tagliandi.

15. Il terzo motivo è anche esso infondato.

16. La Corte di merito, conformemente a quanto previsto dalla sentenza rescindente, secondo cui alla ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva non può conseguire automaticamente il giudizio di legittimità del licenziamento, ma occorre sempre che la fattispecie tipizzata contrattualmente sia riconducibile alla nozione di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto della lavoratrice, ha verificato tale requisito precisando che la condotta addebitata integrasse senz’altro una manchevolezza che per la sua gravità risultava sanzionabile con il licenziamento, da considerarsi, quindi, sanzione proporzionata al fatto.

17. Sotto questo profilo, occorre ricordare che la giusta causa di licenziamento e la proporzionalità della sanzione disciplinare sono nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama; tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici (Cass. 9.7.2015 n. 14234; Cass. 26.4.2012 n. 6498).

18. La contestazione del giudizio valutativo operato dal giudice di merito non si deve limitare, pertanto, per essere ammissibile in sede di legittimità, ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma deve contenere, invece, una specifica denunzia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards” conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.

19. Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati alla L.C. fossero di gravità tale da integrare l’ipotesi della giusta causa di licenziamento e da giustificare, quindi, l’applicazione della massima sanzione espulsiva osservando che la particolare gravità della condotta, associata alla delicatezza delle funzioni attribuite, portavano a ritenere il comportamento della dipendente idoneo a vulnerare, in maniera irreparabile, il peculiare vincolo di fiducia con la società e, quindi, a considerare il licenziamento sorretto da giusta causa; in ordine alla proporzionalità ha, poi, precisato che la rilevante gravità della condotta contestata, che appariva sotto ogni profilo comportamento riprovevole assunto in violazione dei principi tutelati dal nostro ordinamento, rendeva la misura adeguata.

20. Inoltre, la Corte di merito ha specificato che le condotte poste in essere erano connotate da palese ed intensa intenzionalità e che tanto il riconoscimento degli addebiti quanto il pagamento, eseguito per ripianare l’ammanco contestatole, erano stati effettuati nella certezza di non subire danni maggiori: ciò comportava una compromissione irreparabile della fiducia ed affidabilità del datore di lavoro nel proprio dipendente.

21. Si tratta di una valutazione in fatto, adeguatamente motivata, coerente sul piano logico, rispettosa dei principi giuridici in precedenza indicati e corretta sotto il profilo della sussunzione con le disposizioni contrattuali collettive.

22. Il giudizio operato dalla Corte territoriale non è stato, del resto, sottoposto a specifiche censure, idonee ad evidenziare la non coerenza del predetto giudizio agli “standards” di valutazione esistenti nella realtà sociale, limitandosi, in realtà, la ricorrente a ripercorrere la valutazione di merito e a contrapporre ad essa la propria diversa valutazione.

23. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

24. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

25. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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