Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24979 del 06/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 06/12/2016, (ud. 22/09/2016, dep. 06/12/2016), n.24979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30005-2011 proposto da:

D.M.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA G. FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO FILIPPO

MARZI, che io rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

temp,rè domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2768/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/04/2011 r.g.n. 2111/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

2/09/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’avvocato MARZI MASSIMO FILIPPO;

udito il P.m. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza dell’8 novembre 2007, previa dichiarazione del difetto di giurisdizione per il periodo in contestazione sino al 30 giugno 1998, per il periodo successivo accoglieva la domanda proposta D.M.A., dipendente dell’Agenzia delle Dogane, inquadrato nella posizione C3S, ex 9^ qualifica funzionale, nei confronti dell’Agenzia medesima, volta ad ottenere l’equiparazione del trattamento stipendiale a quello percepito dal personale del soppresso ruolo ad esaurimento (ispettore generale), e a percepire gli incrementi stipendiali previsti dalla tabella G allegata al CCNL per il personale del comparto ministeri, con condanna dell’Agenzia al pagamento delle differenze retributive maturate oltre accessori.

2. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 2768 del 2011, accoglieva l’impugnazione dell’Agenzia delle Dogane e rigettava l’originaria domanda del lavoratore.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il D.M. prospettando un motivo di ricorso.

4. Resiste l’Agenzia con controricorso.

5. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Nella memoria ex art. 378 c.p.c., il ricorrente, in particolare; dopo aver ribadito di aver svolto mansioni superiori al proprio grado, nonchè rilevanti e prestigiosi incarichi, di avere conseguito più di una idoneità alla dirigenza a seguito del superamento di concorso ad hoc (1A con D.M. 2 agosto 1990 dell’ex Dipartimento Dogane; 2A con Decreto direttoriale 7 luglio 1997 dell’Agenzia delle Dogane), di avere ricevuto encomi e apprezzamenti, deduce che tutto ciò è stato riconosciuto dall’Amministrazione, accertato dalla sentenza del Tribunale di Roma, poi riformata in appello, non contestato con l’atto di citazione in appello, non disatteso dalla sentenza di appello e non contestato nel controricorso, per cui invoca la certezza del passaggio in giudicato.

2. L’esame dell’eccezione di giudicato proposta dal ricorrente è preliminare rispetto all’esame del motivo di ricorso.

La stessa non ha fondamento.

Ed infatti, la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione dell’Agenzia delle Dogane che aveva contestato l’interpretazione della normativa legale e contrattuale seguita dal giudice di primo grado e aveva chiesto la riforma della sentenza e il rigetto della domanda.

La Corte d’Appello, nel non riconoscere il diritto prospettato dal ricorrente non ha riconosciuto neppure i presupposti di fatto dedotti in relazione alla sussistenza del medesimo, per cui sugli stessi non si è formato giudicato.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la sentenza di riforma resa in grado d’appello, infatti, si sostituisce sin dalla pubblicazione alla pronuncia riformata (Cass. n. 13249 del 2014).

Peraltro, il ricorrente indica gli elementi di fatto, su cui prospetta essersi formato giudicato, senza tuttavia indicare in modo specifico gli atti processuali con cui sarebbero stati sottoposti al vaglio del giudice.

Inoltre, a conferma del mancato accertamento in appello di elementi di fatto, va considerato che la Corte d’Appello ha statuito che la sentenza impugnata andava riformata “restando assorbito l’esame di ogni altra questione, ivi compresa quella relativa al mancato accertamento dell’identità delle funzioni svolte dagli appartenenti alle due categoria di personale interessato alla controversia in questione il cui accertamento di fatto è irrilevante, stante la soluzione interpretativa in punto di diritto accolta” (pag. 11 sentenza di appello).

3. Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45; la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25; la violazione degli artt. 3, 36 e 97 Cost.; la violazione dell’art. 1419 c.c.; infrazione norme dell’Unione europea.

3.1. Il giudice di secondo grado, nell’accogliere l’impugnazione dell’Agenzia, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità, ed ha affermato che non poteva invocarsi il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 nè il principio di discriminazione. Proprio il potere di classificazione professionale e di regolamentazione economica demandato dalla legge ai contratti collettivi rende le scelte compiute in proposito dalla contrattazione collettiva non suscettibili di sindacato da parte del giudice.

3.2. Con il motivo di impugnazione, espone il ricorrente che la disparità di trattamento economico previsto dal CCNL tra personale del ruolo ad esaurimento e personale della ex 9^ qualifica non può ritenersi giustificata da alcuna norma di legge e tanto meno dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25.

Ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma 2, la pubblica amministrazione deve garantire parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi. Tale disposizione è inderogabile in quanto dettata a tutela dell’efficienza e della imparzialità dell’azione amministrativa.

Pertanto, erroneamente la Corte d’Appello aveva ritenuto non sussistere contrasto con detta norma, che non può essere violata dalla contrattazione collettiva, le cui previsioni, qualora difformi, dovevano essere dichiarate nulle ex art. 1419 c.c.. Ed infatti il giudice può sindacare le scelte della contrattazione collettiva in ragione dei vincoli posti alla stessa dagli artt. 36 e 97 Cost., atteso che il contratto collettivo pubblico è funzionale all’interesse pubblico sancito dal citato art. 97 Cost., e l’obbligo della parità di trattamento è imposto anche alle parti sociali. Pertanto, a parità di inquadramento e di mansioni svolte deve sussistere la stessa retribuzione e nella specie si è in presenza di una discriminazione non sorretta da alcun motivo plausibile, non potendosi fare riferimento al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 25.

Il mantenimento negli anni del trattamento differenziato ha determinato nel tempo, non solo un trattamento stipendiale superiore rispetto a quello goduto dal personale della ex 9^ qualifica funzionale, ma ha consentito, nel prosieguo, l’attribuzione di ulteriori vantaggi agli ispettori generali e ai direttori di divisione, per cui la differenziazione di trattamento operata ha assunto un carattere non temporaneo.

Con riguardo agli ulteriori vantaggi discriminatori, gli stessi sarebbero contrari a precise disposizioni dell’UE (art. 157 del Trattato dell’Unione europea, direttiva2006/54/CE, Risoluzione 10 febbraio 2010 del Parlamento europeo, sentenza CGUE C.577/08) e formano oggetto di censura da parte delle istituzioni UE.

Infine rileva il ricorrente che non è in contestazione che esso medesimo, ex 9^ qualifica funzionale, sia stato inquadrato nell’area C-posizione economica C3, come il personale proveniente dai ruoli ad esaurimento. E’ altresì assodato, perchè accertato dalla sentenza di primo grado e non contestato dall’Agenzia nè in primo grado, nè in appello, che esso ricorrente ha svolto le medesime mansioni del personale del ruolo ad esaurimento, ispettore generale, talvolta anche con mansioni superiori, tenuto conto anche delle mansioni del personale dell’ex 9^ qualifica e del personale dei ruoli ad esaurimento.

Pertanto, sussisteva il diritto alla parità di trattamento retributivo tra le due qualifiche professionali in esame.

4. Il motivo di ricorso non è fondato.

4.1. La questione oggetto del presente ricorso ha già costituito oggetto di esame da parte di questa Corte che con numerose sentenze (ex multis, Cass., n. 1037 del 2014, n. 472 del 2014, n. 26140 del 2013, n. 10105 del 2013, 9313 del 2011, n. 11982 del 2010) ha affermato che, in materia di pubblico impiego privatizzato, il principio espresso dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 45 secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete.

In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che la distinzione in termini stipendiali prevista dalla contrattazione collettiva fra il personale appartenente a ruoli ad esaurimento di ispettore generale o di direttore di divisione del Ministero dell’economia e gli altri dipendenti della ex 9^ qualifica funzionale, tutti ormai inseriti nell’area contrattuale “C” dai CCNL, lungi dal determinare una violazione di legge, costituisse attuazione della norma transitoria contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3).

A tale principio si intende dare continuità, non rinvenendosi nel motivo di ricorso, come illustrato anche nella memoria, argomenti che incidano la suddetta statuizione.

4.2. La distinzione in termini stipendiali fra il personale appartenente a ruolo ad esaurimento e gli altri dipendenti della ex 9 qualifica funzionale, tutti ormai inseriti nell’area contrattuale “C” dai CCNL, lungi dal determinare una violazione di legge da parte della contrattazione collettiva, costituisce, anzi, attuazione della norma transitoria contenuta nello stesso D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 3, in virtù della quale i dipendenti delle qualifiche ad esaurimento di cui al D.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, artt. 60 e 61 (e successive modificazioni ed integrazioni) e quelli di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 15, in presenza della soppressione dei ruoli, conservano le qualifiche medesime “ad personam”: ciò significa che tali qualifiche costituiscono una consapevole eccezione legislativa rispetto all’assetto ordinario, eccezione prevista dallo stesso testo (il D.Lgs. n. 165 del 2001) cui appartiene la norma (art. 45) che il ricorrente assume essere stata violata o falsamente applicata.

Dunque, l’interpretazione sistematica impedisce l’invocata estensione del trattamento stipendiale corrispondente a tali qualifiche sopravvissute “ad personam”, pena lo svuotamento dello stesso portato precettivo della summenzionata previsione transitoria, in un capovolgimento del normale rapporto tra norme transitorie e disposizioni a regime che comporterebbe un sostanziale (e inedito) allineamento (in termini di conseguenze sul piano retributivo) delle seconde alle prime.

Sotto ulteriore angolazione visuale, va ricordato che questa S.C. ha già avuto modo di statuire più volte, con orientamento cui va data continuità, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 cpv. non vieta ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, ma solo quelli contrastanti con specifiche previsioni normative, restando escluse dal sindacato del giudice le scelte compiute in sede di contrattazione collettiva.

In altre parole, il principio di parità di trattamento nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico, sancito dal cit. art. 45, vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in quella sede.

A fortiori, non sarebbe ipotizzabile nel caso di specie un contrasto della pattuizione collettiva con il principio di non discriminazione, inidoneo a vietare ogni trattamento differenziato nei confronti delle singole categorie di lavoratori, rilevando sotto tale profilo solo le specifiche previsioni normative contenute nell’ordinamento (citata Cass., n. 10105 del 2013).

Questa Corte ha, altresì, affermato che il principio di parità nasce storicamente non solo e non tanto dall’esigenza di recuperare uguaglianza o, meglio, esatta giustizia distributiva, quanto dalla necessità di regolare l’uso d’un potere privato all’interno d’una comunità organizzata.

Questo bisogno si manifesta – cioè – per colmare il vuoto di “contraddittorio” ove manchi istituzionalmente la possibilità che il soggetto in posizione subalterna faccia valere le proprie ragioni contro le scelte discrezionali del soggetto in posizione preminente. Ma ciò non si verifica rispetto alla contrattazione collettiva, in cui le parti operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato.

Anche in ragione della suddetta giurisprudenza di legittimità, non si ravvisa nella complessiva disciplina, legale e convenzionale, che viene in esame la violazione di disposizioni comunitarie e, segnatamente, della direttiva comunitaria 2000/78 CE, nonchè dei principi di cui alla sentenza 577/08, che attiene al diverso ambito del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (direttiva 79/7/CEE).

Non sono, quindi, ravvisabili nella sentenza della Corte d’Appello di Roma, che, peraltro, ha richiamato i principi enunciati nella sentenza n. 11982 del 2010, i vizi prospettati.

5. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro duemilacinquecento per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2016

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