Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24975 del 25/11/2011

Cassazione civile sez. I, 25/11/2011, (ud. 28/10/2011, dep. 25/11/2011), n.24975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9364/2010 proposto da:

B.R. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA BAIAMONTI 4, presso l’avvocato LIPPI ANDREA, rappresentata

e difesa dall’avvocato PETTINAU Andrea, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositato il

19/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 26.03.2009, B.R. adiva la Corte di appello di Cagliari chiedendo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 6.11.2009 – 19.02.2010, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, rigettava la domanda della B., per inesistenza del dedotto danno morale, condannandola al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.118,00.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che la B. aveva chiesto l’equa riparazione del danno patrimoniale e non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo in tema di annullamento del provvedimento reso in data 28.07.1994, dal Commissario straordinario dell’USL, e di consequenziali statuizioni economiche, processo da lei con altri introdotto dinanzi al TAR Sardegna, con ricorso depositato il 4.12.1994 e definito con sentenza pubblicata il 30.06.2006, di cui la medesima istante aveva chiesto, il 20.10.2008, la correzione per espunzione del suo nominativo, ottenuta con decreto del 21.01- 9.03.2009;

– che la domanda della B. era stata dichiarata perenta ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 9;

– che l’inerzia mantenuta dalla B. per un lasso di tempo ingiustificabile (dal 1994 al 2006) e l’avvenuta estinzione del giudizio amministrativo per inattività della parte dimostravano la mancanza di un reale interesse dell’istante e la tenuta di una condotta altamente negligente, rilevante come comportamento oggettivo concausa del ritardo.

Avverso questo decreto la B. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi e notificato il 29-31.03.2010 al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che di è limitato a depositare un c.d. atto di costituzione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la B. denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848”.

2. “Eccesso di potere e violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente o contraddittoria motivazione del decreto impugnato, circa la sussistenza del sofferenza morale conseguente alla eccessiva durata del processo”.

Con i due motivi di gravame, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario, la ricorrente si duole, anche per il profilo argomentativo, che i giudici di merito abbiano escluso la sussistenza del suo diritto all’equa riparazione del subito danno non patrimoniale, sostenendo:

che opportuni impulsi sollecitatori, rivolti ad una spedita trattazione della causa, non incidono sul calcolo dei tempi del processo, nè tanto meno sull’an debeatur, ma rilevano seminai, ai fini della quantificazione dell’equa riparazione;

che il giudizio amministrativo aveva subito un ritardo per esclusiva responsabilità della struttura giudiziaria, pari almeno ad 11 anni.

Infatti, depositato il ricorso nel 1994 e chiesta ritualmente la fissazione dell’udienza di discussione, si era dovuto attendere l’anno 2005 perchè la Segreteria del TAR trasmettesse al suo procuratore la richiesta di deposito dell’istanza prevista dalla legge 205/2000, sicchè sino a quel momento non vi era stato alcun comportamento imputabile alla parte che potesse, anche parzialmente, giustificare il ritardo nella definizione del processo;

che il periodo successivo al 2005 e sino alla sentenza che aveva definito il giudizio, avrebbe potuto legittimamente essere sottratto alla durata complessiva del processo, non avendo la ricorrente (anche se non per sua colpa), validamente manifestato interesse alla definizione, così come statuito dalla citata L. n. 205 del 2000, art. 2, ma per gli anni precedenti, intercorsi in assenza di alcuna pronuncia del TAR, sussiste certamente la esclusiva responsabilità della struttura giudiziaria amministrativa.

Le censure meritano favorevole apprezzamento sei sensi in prosieguo precisati.

Va premesso che in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89:

– la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa. La previsione di strumenti sollecitatori, infatti, non sospende nè differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio;

– l’innovazione introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 133, secondo cui la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza “di prelievo” ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, lascia sussistere la irragionevole durata del processo presupposto, ove sussista la violazione delle norme della citata L. n. 89 del 2001, con riguardo al periodo anteriore (cfr., da ultimo, Cass. n. 5317 del 2011).

Va, inoltre, ribadito che l’istituto della perenzione decennale dei ricorsi amministrativi, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9 – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, convertito nella L. 6 agosto 2008, n. 133 – non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull’attualità dell’interesse alla decisione e di manifestarlo. Ne consegue che la mancata presentazione della prevista nuova istanza di fissazione, rendendo esplicito l’attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l’esclusione della sussistenza del danno non patrimoniale per il periodo successivo alla maturazione delle condizioni per la perenzione, ma non impedisce una valorizzazione dell’atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del medesimo danno e del relativo indennizzo (cfr. Cass. n. 6619 del 2010).

Illegittimo, pertanto, si rivela il decretato diniego d’indennizzo per il ritardo irragionevole maturato nel periodo decorso dal 4.12.1994 al 2005, laddove invece infondata era soltanto la postulazione della presenza di un danno dopo l’avveramento delle condizioni per la perenzione. Nei limiti appena indicati, il ricorso deve quindi essere accolto e ben può procedersi sulle esposte premesse, alla cassazione dell’impugnato decreto ed alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Considerando che all’epoca della maturazione delle condizioni per la sua perenzione (2005) il processo amministrativo si era protratto per circa 10 anni (dal 4.12.1994) mentre, invece, anche in linea con i parametri cronologici sovranazionali, avrebbe dovuto essere definito nel tempo ragionevole di tre anni, il periodo d’irragionevole durata può determinarsi in circa 7 anni, periodo per il quale l’indennizzo del danno non patrimoniale, avuto riguardo anche ai relativi standars CEDU, può essere liquidato in ragione di complessivi Euro 5.250,00, con interessi legali dalla domanda, considerando la protratta mancanza d’iniziative sollecitatorie ed il presumibile decrescente interesse della B. alla relativa definizione.

Quanto alla regolamentazione delle spese, a carico dell’Amministrazione soccombente va posto il pagamento delle spese sia del giudizio di merito che del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 873,00 (di cui Euro 445,00, per onorari ed Euro 50,00 per esborsi), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 100,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011

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