Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24974 del 07/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 07/10/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 07/10/2019), n.24974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8896/2018 proposto da:

A.D., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato GIANNI LANZINGER;

– ricorrente –

contro

ORIENTAL BODY & MIND DI C.F. & C S.A.S., in persona del

legale rappresentante pro tempore, C.F., in proprio e in

qualità di socio accomandatario ditta ORIENTAL BODY MIND DI

C.F. & C. S.A.S., domiciliati ope legis presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’Avvocato

ELENA VALENTI, ALBERTO VALENTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 55/2017 della CORTE D’APPELLO TRENTO – SEZ.

DIST. DI BOLZANO, depositata il 13/01/2018 R.G.N. 68/2016;

Il P.M., ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che:

1. il Tribunale di Bolzano, all’esito della svolta istruttoria, in accoglimento dell’opposizione proposta da A.D., accertava che, tra il 18.12.2013 ed il 7.1.2014, era intercorso tra la stessa e la società Oriental Body & Mind s.a.s. un rapporto di lavoro subordinato con inquadramento delle lavoratrice nel 6 livello del CNNL per i dipendenti di imprese artigiane di parrucchieri, barbieri ed estetisti ed, accertata l’inefficacia del licenziamento intimato alla ricorrente il 7.1.2014, condannava la società resistente alla reintegrazione di quest’ultima nel posto di lavoro ed alla corresponsione, in favore della stessa, in solido con C.F., a titolo di risarcimento del danno, della retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum;

2. la Corte di appello di Trento – sez. distaccata di Bolzano -, con sentenza del 13.1.2018, in riforma della impugnata decisione, disattendeva le domande della D. e condannava la stessa alla rifusione delle spese del doppio grado;

3. la Corte, richiamata la giurisprudenza della S.C. in relazione agli elementi distintivi del rapporto di lavoro subordinato ed agli indici sussidiari di rilevazione della subordinazione, sulla base di valutazioni in ordine all’attendibilità dei testi escussi, alla considerazione dei periodi di constatazione diretta dei fatti da parte degli stessi nei periodi di riferimento della vicenda lavorativa e, sulla base delle contraddizioni emerse tra alcune delle testimonianze rese, nonchè della valutazione di risultanze dei verbali ispettivi redatti in occasione di accertamento compiuto presso il salone ove era stata presente l’appellante, riteneva non provato l’elemento della eterodirezione della prestazione e la correlativa soggezione della lavoratrice al potere disciplinare e sanzionatorio del datore di lavoro;

4. osservava che non era emersa la prova anche degli indici sussidiari della subordinazione, quali l’obbligatorietà della prestazione, con connessa necessità di giustificazione delle assenze, predeterminazione degli orari e delle modalità di svolgimento della prestazione da parte del datore, corresponsione di retribuzione fissa periodica, e che, pertanto, doveva ritenersi indimostrato il rapporto quale configurato dall’appellata;

5. di tale decisione domanda la cassazione A.D., affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resistono la società ed il socio accomandatario;

6. Il P.G. ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo, sono dedotte omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, ex art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, sostenendosi che la teste Z.L. non era dotata di piena affidabilità in quanto socia accomandataria, responsabile in solido ex artt. 2318 e 2324 c.c., ed evidenziandosi che tale qualità, rilevante ai fini dell’attendibilità della predetta, era stata eccepita in verbale di udienza del Tribunale del 29.10.2014; si assume che, ove tale circostanza fosse stata presa in considerazione, diverso sarebbe stato l’esito del giudizio e che la mancanza di ogni motivazione sul punto rifluiva in termini di violazione del minimo costituzionale della stessa come prescritto dalla norma processuale richiamata;

2. omessa valutazione, sotto diverso profilo, di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, ex art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, è ascritta alla decisione con il secondo motivo, sul rilievo della rilevanza dell’accertamento ispettivo che aveva evidenziato che la società aveva effettivamente occupato alle proprie dipendenze A.D. e che la retribuzione spettante alla D. per il dicembre 2013 era di Euro 643,00 e per il mese di gennaio 2014 di Euro 556,01, per lavoro in nero, sostenendosi che al verbale erano state allegate le dichiarazioni spontanee rese da Z.L., D.B.D. e C.I., confermative dell’assunto del lavoro in nero;

3. nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., è dedotta nel terzo motivo, per le vistose aporie che ne compromettono la stabilità logica, in relazione alla valutazione compiuta con riguardo all’attendibilità di alcuni testi;

4. il quarto motivo attiene alla denuncia di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., art. 2094 c.c., artt. 2727 e 2729 c.c., assumendosi che nella specie non era controversa la natura subordinata, ovvero autonoma del rapporto con la D., sebbene la verifica della attualità di un rapporto lavorativo con la suddetta, in termini di inserimento della stessa nella struttura organizzativa con rapporto di lavoro connotato da onerosità e non limitato alla presenza nel salone giustificata da motivi amichevoli o di cortesia;

5. nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione delle stesse norme di cui al precedente motivo, nonchè dell’art. 115 c.p.c., è addebitata alla sentenza impugnata nel quinto motivo, evidenziandosi che le violazioni dedotte rifluiscono in termini di violazione del minimo costituzionale della motivazione e dell’obbligo di esporre le ragioni di fatto e di diritto della decisione ai sensi del richiamato art. 132 c.p.c.; si adombra anche il sovvertimento dell’onere della prova;

6. in via subordinata, per il caso di non accoglimento dei precedenti motivi, si deduce violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per travisamento della prova, osservandosi che è stata ritenuta maggiormente affidabile la deposizione resa dalla soda accomandataria rispetto a tutte le altre prove raccolte in sede istruttoria, ciò che aveva condotto ad una esito della controversia di segno opposto a quello che doveva conseguire ad corretto esame delle emergenze istruttorie;

7. con riferimento al primo motivo, va osservato che la deposizione resa dalla teste indicata è stata valutata anche intrinsecamente contraddittoria e non rappresenta una testimonianza decisiva, essendo stata la stessa richiamata sia come dichiarazione resa ai verbalizzanti in sede ispettiva, come tale liberamente valutabile, sia come conforme alla deposizione resa dalla teste C.I. e vagliata nel coacervo delle altre testimonianze acquisite ed esaminate;

8. quanto alla evidenziata incapacità a testimoniare della stessa, derivante dalla coesistenza della qualità di parte, anche virtuale, e di testimone, la stessa doveva essere eccepita dalla parte interessata al momento dell’espletamento del mezzo di prova o nella prima difesa successiva, altrimenti la nullità dell’assunzione resta definitivamente sanata per acquiescenza; deve, invero, ritenersi inammissibile, in quanto concernente una questione per la prima volta dedotta in sede di legittimità, il motivo di ricorso per cassazione con il quale ci si dolga che non sia stata ritenuta l’incapacità testimoniale di un teste, allorchè la sentenza impugnata non tratti di tale questione e il ricorrente non deduca di avere tempestivamente eccepito la nullità della deposizione (indicando, nell’osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale verbale d’udienza o atto abbia sollevato la questione), e di averla riproposta con l’atto d’appello (cfr. Cass. 19.3.2004, nonchè, tra le altre, Cass. 30.10.2009 n. 23054, Cass. 543/2002, e, sotto il profilo del difetto di interesse all’impugnazione, qualora la testimonianza non sia stata assunta come decisiva ai fini della risoluzione della controversia, Cass. 10.10.2014 n. 21418);

9. in ordine al valore da attribuire alle dichiarazioni spontanee rese in sede ispettiva, sul quale si incentra il secondo motivo di ricorso, poichè le stesse sono liberamente valutabili a livello indiziario, in conformità a tale principio il giudice del merito ha conferito valore probatorio ai fini di causa alle dichiarazioni, di diverso tenore rispetto alle originarie, rese dalle stesse persone in sede giudiziale, nel contraddittorio delle parti, e tale procedere non è in contrasto con alcun principio che regola la valutazione delle prove, e segnatamente con gli artt. 115 e 116 c.p.c., la cui violazione non è neanche dedotta nello stesso motivo;

10. il terzo motivo si limita a contestare la valutazione delle prove effettuata dal giudice del gravame, senza rilevare la decisività della deposizione della teste indicata, per la parte ritenuta manipolata, ai fini di una diversa soluzione della controversia, salvo affermare in termini affatto generici che la motivazione della sentenza risulta priva in tal modo di un proprio fondamentale sostegno: ciò senza considerare che il fatto decisivo non è rappresentato dalle risultanze istruttorie e dalla relativa valutazione da parte del giudice del merito, ma da un fatto storico, individuabile secondo le indicazioni fornite al riguardo da Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053;

11. la violazione di legge denunciata con il quarto motivo postula l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n. 12984/2006): ed allora il motivo che pretenda di desumere tale violazione dall’erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le suddette indicazioni;

12. peraltro, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160);

13. quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c., la stessa è configurabile solo allorchè il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. U, n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste egualmente non sussistenti nel caso in esame;

14. il difetto di motivazione dedotto nel quinto motivo non è riscontrabile nella sentenza impugnata, in quanto la motivazione sussiste e non può parlarsi di apparenza: il vizio di mancanza di motivazione è riscontrabile solo quando lo stesso sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione; mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto, oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum: nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame, atteso che, al di là di ogni valutazione sulla conformità ai principi applicabili in materia, la valutazione delle circostanze processuali effettuata è idonea a dare contezza dell’iter logico argomentativo seguito dalla Corte del merito nel pervenire alla soluzione adottata;

15. non si verte nell’ipotesi di una violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nei casi, che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza, di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, alla cui esclusiva verifica è attualmente circoscritto (oltre alla possibilità di deduzione del vizio di motivazione per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia) il sindacato di legittimità sulla motivazione (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940): sicchè, a fronte di un percorso argomentativo a sostegno della decisione assunta, il mezzo di impugnazione consiste in un’evidente contestazione della valutazione probatoria del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892);

16. per il resto, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; – abbia invertito gli oneri probatori. E poichè, in realtà, nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste: nella specie, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

17. il sesto motivo è del tutto generico e non supportato da riferimenti puntuali alle circostanze di fatto asseritamente valorizzate in maniera erronea e, peraltro, il vizio dedotto è mal prospettato in termini di violazione delle norme di legge indicate in relazione alle violazioni denunziate;

18. in conclusione, deve pervenirsi alla declaratoria di complessiva inammissibilità del ricorso;

19. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;

20. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2019

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